La pandemia condiziona anche il commercio mondiale di vino, comunque in misure diverse. Così, mentre per la Francia si prospetta una chiusura del 2020 con le sue esportazioni ridotte di quasi il 18%, per l’Italia il calo sarà contenuto nel 4,6% e, pertanto, il valore delle vendite dei nostri vini all’estero risulterà ancora superiore ai sei miliardi di euro.
Un quadro confortante, se si considera l’aumento delle quote di mercato guadagnate dal “vigneto Italia”; allarmante, invece, se si tiene conto dell’asimmetria di un dato generale che cela forti ribassi in diverse fasce, a partire dalle piccole imprese ad alto livello qualitativo.
In termini assoluti, la contrazione stimata del valore delle importazioni mondiali di vino sarà di oltre tre miliardi di euro rispetto al 2019, soprattutto per effetto delle mancate vendite per più di 1,7 miliardi di euro da parte del market leader, la Francia. La previsione per l’Italia, invece, mostra una diminuzione di 300 milioni di euro, grazie anche al boom delle esportazioni nel primo bimestre dell’anno (+15%), che ha attenuato il passivo annuale.
L’Italia, dunque, è stata in grado di opporre anticorpi efficaci alla crisi. Il rapporto qualità-prezzo, una più variegata diversificazione dei canali di vendita e lo scampato pericolo dei dazi aggiuntivi negli Stati Uniti hanno consentito di ridurre le perdite all’estero, ma il rovescio della medaglia è fatto di tante piccole e medie aziende del vino che, al contrario delle altre, hanno perso i propri riferimenti commerciali – in particolare dell’horeca (hotel, ristoranti, catering) – e stanno pagando uno scotto molto più rilevante della media. Infatti, se le aziende italiane maggiormente presenti sui canali di vendita della Gdo (grande distribuzione) tengono e, talvolta, incrementano; calano, invece, anche oltre il 50%, le medio-piccole orientate sui canali retail e nell’horeca.
L’Italia, in ogni caso, sta aumentando sensibilmente le quote di mercato nei suoi due principali mercati esteri, che sono gli Stati Uniti (esportazioni 2020 a 1,7 miliardi di euro) e la Germania (918 milioni). Un risultato che rappresenta una mezza vittoria se si considera il calo generale del 10,1% delle importazioni da parte degli Usa e del 7,7% della Germania. Stop significativo, però, nel Regno Unito, con i produttori italiani e francesi che perderanno rispettivamente il 12,1% e il 16,7%, a fronte di una variazione positiva di quasi il 5% della domanda. Intanto prosegue la contrazione del mercato cinese (-29%) e di quello giapponese, che vira in negativo (-15,1%) dopo l’exploit del 2019, così come del Canada (-7,7%). Giù anche la domanda australiana (-3,8%) e russa. Comunque, la performance italiana risulta generalmente meno deficitaria rispetto ai concorrenti grazie alla tenuta di alcune piazze di peso, come la Svizzera (+4,3%) e la Svezia (+2,2%).
Quanto al 2019, Eurostat ha censito che la produzione venduta di vino (inclusi spumante, porto e mosto d’uva) nell’Ue è stata di circa 16 miliardi di litri. I maggiori produttori sono stati Italia, Spagna e Francia, seguiti da Portogallo, Germania e Ungheria. Gli Stati membri hanno esportato 7,1 miliardi di litri di vino, quasi la metà in Paesi extracomunitari (3,1 miliardi di litri), principalmente nel Regno Unito (0,69 miliardi di litri) e negli Stati Uniti (0,65 miliardi di litri), in Russia (0,28 miliardi) e Cina (0,25 miliardi di litri).
L’Italia è stata di gran lunga il primo esportatore di vino nel 2019, con vendite di 1,1 miliardi di litri fuori dalla Ue, che rappresentano il 34% delle esportazioni vinicole degli Stati comunitari.
Il nostro Paese ha preceduto anche la Francia (0,8 miliardi di litri) e la Spagna (0,7 miliardi di litri). Guardando poi i flussi di importazione, emerge che gli Stati Ue hanno importato un totale di 4,8 miliardi di litri di vino nell’anno passato. E solo il 16% di questi proveniva da Paesi extra Ue, in particolare dal Cile (0,17 miliardi di litri) e dal Sud Africa (0,16 miliardi di litri).
Il Piemonte è un’eccellenza del vino italiano.
Lo conferma anche l’ultima pagella di Bibenda, la Guida ai vini italiani edita dalla Fondazione Italiana Sommelier. Infatti, Bibenda ha collocato il Piemonte al primo posto per numero di vini premiati quest’anno (142), superiore anche a quello della Toscana, (129 premi). Fra l’altro, lasciando a molta distanza, le regioni inseguitrici, guidate dalla Sicilia (41 i vini premiati con i cinque grappoli), dal Veneto, quarto con 36 e l’Alto Adige quinto con 35. Non solo: le aziende della regione Piemonte sono riuscite a portare a casa più di un premio, segno della alta qualità e continuità della loro produzione.
Torino sul podio nazionale dei brevetti, il Piemonte subito sotto, al quarto posto. L’anno scorso sono stati 271 i brevetti fatti registrare dalla provincia di Torino all’Epo (European Pantent Office) e 395 quelli dell’intera regione subalpina.
Rispetto al 2010, l’incremento è stato del 9% per Torino (i brevetti registrati erano 248) e dell’1% per il Piemonte (390). Tassi molto più bassi di diverse altre città e regioni italiane; ma, comunque, sufficienti a mantenere le stesse posizioni di dieci anni fa. Come allora, infatti, Torino è stata preceduta soltanto da Bologna (300 brevetti nel 2019) e Milano (703); il Piemonte dal Veneto (574), dall’Emilia-Romagna (741) e dalla Lombardia (1.382).
Comunque, quasi 6mila dei 40mila brevetti italiani depositati in Europa nell’ultimo decennio utilizza la tecnologia dei robot. A mostrarlo è l’analisi effettuata da Unioncamere–Dintec.Questa tecnologia, ad alto tasso di innovazione, sta progressivamente invadendo tutti i principali settori in cui tradizionalmente si esercita la capacità innovativa di imprese, enti e singoli inventori. Incluso il comparto delle tecnologie medicali, primo ambito di brevettazione italiana, le cui domande all’Epo sono cresciute del 30% rispetto a 10 anni fa.
Ciò ha contribuito molto a mantenere. anche nel 2019, l’Italia, con le sue 4.242 invenzioni pubblicate, al quarto posto della classifica europea per numero di brevetti, alle spalle di Germania, Francia e Paesi Bassi. Una posizione ragguardevole, quindi, che però potrebbe presto essere sottratta al nostro Paese dalla Svezia, che sta crescendo con ritmi ben più incalzanti di quelli italiani (circa il 2,2% contro il nostro 1% annuo).
In questi anni, l’Italia ha puntato molto sulle Ket (Key Enabling Technologies), le tecnologie che la Commissione Europea ha definito abilitanti: comprendono “sistemi di produzione e servizi, processi, automazione, robotica, sistemi di misurazione, elaborazione delle informazioni cognitive, segnali, elaborazione e controllo della produzione mediante sistemi di informazione e comunicazione ad alta velocità”.
La prima tra le sei categorie che raggruppano le Ket (biotech, fotonica, materiali avanzati, nano e micro–elettronica, nanotecnologie e manifattura avanzata) è quella dell’advanced manufacturing, le tecnologie che afferiscono al mondo della robotica in senso lato, nella quale l’Italia ha depositato quasi 6.000 domande all’Epo.
La regione battistrada in questa sfida sulle frontiere dell’automazione industriale, dei robot e dell’intelligenza artificiale è l’Emilia- Romagna (1.586 domande dal 2010 al 2019), seguita dalla Lombardia (1.519), dal Veneto (692), dal Piemonte (537) e dalla Toscana (458).
L’altra grande componente tecnologica sulla quale l’Italia sta fortemente investendo negli ultimi anni è quella green: le relative domande nazionali di brevetto europeo sono il 7% di quelle presentate nel decennio.
Quanto ai settori medicale e degli imballaggi restano, ormai da più di quindici anni, gli ambiti nei quali si è trasferita maggiormente l’innovazione italiana in Europa.
Nell’ambito medico, in particolare, l’anno scorso, si sono contate 437 domande di brevetto europeo provenienti dal nostro Paese; nel campo degli imballaggi, invece, sono state 278, mentre in terza posizione si collocano i brevetti legati ai veicoli (203).
Nel periodo considerato, inoltre, crescono soprattutto gli strumenti di misurazione prove, che recuperano ben due posizioni rispetto al 2010 e rubano il podio alla chimica organica, precipitata alla quindicesima posizione nel 2019.
Sabato 27 novembre, per la prima volta in diretta streaming a causa della pandemia che stiamo vivendo, si sono riuniti importanti nomi della politica, dell’economia e non solo per analizzare con estrema lucidità e concretezza la situazione della nostra città a partire dalla pubblicazione del nuovo Rapporto Rota.
Un eccellente Rapporto quello di quest’anno, come è stato definito dagli ospiti presenti, che ha posto al centro della sua analisi il deficit dell’attrattività del nostro territorio.
Affrontare il tema, scelto ben prima dell’emergenza sanitaria, dell’attrattività come fattore competitivo dell’area torinese, in un momento in cui prevalgono lockdown, chiusura dei confini, blocco delle attività e rinvio di molti progetti, non è stato semplice. La speranza è che quest’analisi possa essere utile per capire come ripartire quando lo stato di emergenza sarà superato, o come adattarsi a esso se dovesse protrarsi.
Ne ha parlato una platea importante, nomi altisonanti della città come l’economista Elsa Fornero, gli Assessori Alberto Tronzano e Marco Pironti, i Presidenti della Compagnia di San Paolo e della Camera di Commercio Francesco Profumo e Dario Gallina, Beppe Facchetti, Presidente del Centro Einaudi, Luca Davico, Coordinatore del Rapporto che, insieme al nostro Amministratore Delegato e Direttore Generale Camillo Venesio, hanno analizzato la situazione e ipotizzato nuovi scenari.
“Abbiamo le capacità per reagire, come quando ci inventammo l’expo nazionale dopo che la capitale fu spostata da qui a Firenze, la città deve individuare una squadra che coinvolga componenti economiche e culturali su una visione di ripresa e sviluppo. La leggerezza amministrativa non è d’aiuto, governare bene è difficile ma non può essere un alibi” – Camillo Venesio.
La Banca del Piemonte ha ricevuto il “Future Bancassurance Awards 2020”, premio attribuito alle eccellenze bancarie e assicurative in Italia.
Il riconoscimento alla Banca del Piemonte, quest’anno, è stato assegnato “per la completezza del servizio assicurativo”.
Il premio, assegnato da una giuria formata da professionisti con grande esperienza nel settore bancario e assicurativo, è stato ritirato da Camillo Venesio, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Banca del Piemonte.
Dopo avere ringraziato ed espresso la sua soddisfazione per il nuovo riconoscimento all’Istituto che guida dal 1983, Camillo Venesio ha sottolineato che la Banca del Piemonte considera un valore strategico la consulenza alla sua clientela: “per noi – ha detto – è una qualità fondamentale la consulenza complessiva ai Clienti e, all’interno di questa, in particolare la consulenza per la protezione assicurativa, che ha e avrà un’importanza sempre maggiore”.
“Sulla consulenza – ha aggiunto Camillo Venesio – abbiamo investito e stiamo investendo molto, in formazione, organizzazione, innovazione. A fianco delle Filiali, in Piemonte e Lombardia, a disposizione di famiglie e imprese, abbiamo una rete di una settantina di specialisti, che garantiscono una consulenza di alta qualità per gli aspetti economici, finanziari e per la protezione assicurativa. Con risultati decisamente positivi. Grazie anche a partner come Italiana Assicurazioni, compagnia del gruppo Reale Mutua”.
L’Amministratore Delegato e Direttore Generale di Banca del Piemonte ha spiegato: “Con Italiana Assicurazioni ci troviamo molto bene, perchè sono persone come noi, concrete, pragmatiche, professionali, eticamente corrette: caratteristiche basilari, che i nostri clienti apprezzano e che favoriscono lo sviluppo progressivo della Banca”.