Nuova struttura commerciale nei centri storici della nostra Regione
Meno negozi, più bar e ristoranti.
Nei centri storici dei capoluoghi provinciali del Piemonte sta cambiando la struttura commerciale, in conseguenza anche della crisi economica, che influisce sui consumi e le abitudini.
Alla fine del 2020, nei centri dei capoluoghi della regione sono state censite, complessivamente, 4.344 attività di commercio al dettaglio, mentre erano ancora 5.052 al 31 dicembre 2012.
Da allora ne sono scomparse 708, cioè il 14%. Un tasso che giustifica l’aggettivo “desolante” usato dal Centro studi di Confcommercio per commentare la sua analisi sulla “Demografia d’impresa delle città italiane”, la quale ha evidenziato un “processo di desertificazione commerciale”, essendo sparite nelle città del nostro Paese, tra il 2012 e il 2020, oltre 77.000 attività di commercio al dettaglio e quasi 14.000 imprese di commercio ambulante.
Il fenomeno ha riguardato, sia pure in misura diversa, il “cuore” di tutti i capoluoghi provinciali piemontesi: tra il 2012 e l’anno scorso, le attività di commercio al dettaglio sono diminuite da 799 a 665 ad Alessandria, da 590 a 460 ad Asti, da 448 a 348 a Biella, da 346 a 340 a Cuneo, da 602 a 472 a Novara, da 1.838 a 1.619 a Torino, da 238 a 179 a Verbania e da 291 a 261 a Vercelli.
Però, il Centro studi di Confcommercio ha rilevato, nello stesso periodo, anche l’aumento di un’altra componente degli esercizi pubblici fondamentale per la vita dei centri storici delle nostre città, quella formata da bar, ristoranti e alberghi.
Nell’insieme dei centri dei capoluoghi piemontesi, bar, ristoranti e alberghi alla fine del 2020 sono risultati 2.836, il 10% in più rispetto ai 2.575 di fine 2012. Ma la crescita non ha riguardato tutti i centri; infatti, Biella e Novara hanno denunciato un calo: da 174 a 165 a Biella e da 309 a 297 a Novara. Invece, sono passati da 374 a 432 ad Alessandria, da 244 a 260 ad Asti, da 138 a 161 a Cuneo, da 1.097 a 1.264 a Torino, da 127 a 130 a Verbania e da 112 a 118 a Vercelli.
Va subito aggiunto, tuttavia, che anche per il comparto formato da bar, ristoranti e alberghi il quadro è destinato a essere modificato dalla pandemia, che sta acuendo le tendenze negative e sfavorevoli.
Come sottolineato dallo stesso Centro studi di Confcommercio, nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre a un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà, per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni, anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%).
Quindi, le città saranno non solo con meno negozi, ma anche con meno attività ricettive e di ristorazione, mentre hanno più farmacie, diventate ormai luoghi per sviluppare la cura del sé e non solo tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali (+19,7%) e più negozi di informatica e comunicazioni (+18,9%). “Il rischio di non “riavere” i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico”.
A livello nazionale, per il commercio in sede fissa, è emerso che tiene, in una qualche misura, la numerosità dei negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%).
Il resto dei settori merceologici, invece, è in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici e che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina.
Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), il futuro è molto incerto per alberghi e pubblici esercizi, che pure, nel periodo 2012-2020, hanno registrato rispettivamente +46,9% e +10%.