L’Italia ha raggiunto per la prima volta, nella storia recente, l’autosufficienza nella bilancia alimentare: le esportazioni di cibi e bevande nazionali hanno superato in valore le importazioni dall’estero, sotto la spinta del cambiamento nei consumi e nel commercio determinati dall’emergenza Covid. E’ quanto emerge da un recente studio della Coldiretti. Nel primo semestre di quest’anno, infatti, le esportazioni agroalimentari Made in Italy hanno raggiunto il valore record di 24,81 miliardi (+12% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), mentre il valore delle importazioni è stato di 22,95 miliardi.
“Un cambiamento senza precedenti – ha commentato la Coldiretti – realizzato sotto la spinta della “fame” di Made in Italy all’estero, nonostante le difficoltà determinate dalle chiusure della ristorazione in tutto il mondo, ma anche dalla scelta patriottica nei consumi degli italiani, che hanno privilegiato la qualità dei prodotti nazionali anche per sostenere l’economia e il lavoro del Paese. Infatti, nelle case degli italiani nell’anno del Covid sono cresciuti del +7,6% gli acquisti di prodotti che riportano in etichetta un legame con il Belpaese, superando così gli 8,4 miliardi di euro”.
All’estero le vendite del Made in Italy sono sostenute soprattutto dai prodotti base della dieta mediterranea, come il vino, la frutta e verdura, fresca e trasformata, che l’Italia produce in quantità superiori al fabbisogno interno. Ma non mancano casi eclatanti di successo, tra le new entry, come il caviale Made in Italy, le cui esportazioni sono addirittura triplicate nell’ultimo anno (+187%).
“Tuttavia – sottolinea la Coldiretti – a livello nazionale resta da colmare il pesante deficit produttivo in molti settori importanti, dalla carne al latte, dai cereali fino alle colture proteiche necessarie per l’alimentazione degli animali negli allevamenti. In Italia, infatti, è necessario potenziare la produzione per coprire il deficit del 64% del frumento tenero e del 40% per il frumento duro destinato alla produzione di pasta, per il quale si è registrato un calo di autosufficienza in seguito alle massicce importazioni dal Canada. Per quanto riguarda il mais, fondamentale per l’alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi Dop, l’Italia copre circa la metà (53%) delle proprie necessità”.
Il trend negativo riguarda anche la soia, visto che si produce circa 1/3 (31%) del fabbisogno interno. In Italia, inoltre, si munge nelle stalle nazionali il 75% del latte consumato nel Paese e si produce il 55% del fabbisogno di carne, con l’eccezione positiva per la carne di pollo e per le uova, per le quali il Paese ha raggiunto l’autosufficienza e non ha bisogno delle importazioni dall’estero.
Con la pandemia da Covid si sono ridotti gli scambi commerciali, provocando accaparramenti, speculazioni e incertezze, fattori che hanno spinto la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per la popolazione. Un fenomeno che ha fatto salire i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale ai massimi da quasi sette anni. Fra l’altro, i timori sugli approvvigionamenti di cibo hanno convinto la stessa Unione Europea a lanciare una consultazione pubblica per realizzare un piano finalizzato a conquistare l’autosufficienza in diversi settori chiave.
Comunque, l’emergenza globale provocata dalla pandemia ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità e sicurezza. “Per questo – ha dichiarato Ettore Prandini, il presidente nazionale della Coldiretti – servono sistemi di etichettatura trasparenti sull’origine delle materie prime e che non siano ingannevoli; nello stesso tempo, non possiamo pensare a un modello dove vi sia spazio per l’artificio e i cibi sintetici, dove si assista alla concentrazione eccessiva dei fattori produttivi, dove prevalga l’interesse particolare delle grandi multinazionali che spingono per l’omologazione su un modello dove il cibo sia sempre e solo una commodity”.
Ciclomotori, scooter, moto. Dopo le bici – a pedalata assistita e non – e i monopattini elettrici, anche le due ruote a motore conquistano, sempre di più, i piemontesi e non solo.
Una conferma del fenomeno arriva dagli ultimi dati dell’Ancma (Associazione nazionale ciclo motociclo accessori). Ad agosto, infatti, il mercato nazionale delle due ruote a motore è ancora cresciuto del 21,1% rispetto allo stesso mese del 2019 (il confronto con agosto 2020 è fuorviante per gli effetti della pandemia), così che il totale dei mezzi targati dall’inizio dell’anno è salito a 227.467, con un incremento del 31,2% rispetto ai primi otto mesi del 2020 e del 17,4% rispetto allo stesso periodo del 2019.
In Piemonte, in particolare, sono state 739 le immatricolazioni di moto e scooter ad agosto e 12.832 dal primo giorno di gennaio, più che nell’intero 2020 e poche meno di tutto il 2019, quando sono risultate 13.787. A far registrare il maggior numero di immatricolazioni nei primi otto mesi di quest’anno è stata, naturalmente, la provincia di Torino (6.315),seguita da quelle di Cuneo (2.137) e Alessandria (1.323). Nel Novarese ne sono state contate 1.125, nell’Astigiano 614, nel Verbano-Cusio-Ossola 534, nel Biellese 438 e nella provincia di Vercelli 346.
Paolo Magri, presidente dell’associazione dei costruttori, ha sottolineato che “la lettura dei nuovi dati infonde fiducia al settore e conferma il grande desiderio di due ruote nel nostro Paese: la passione e una nuova domanda di mobilità alimentano un andamento del mercato per certi versi sorprendente, che vede il consolidarsi di modelli accessibili e fruibili anche dal pubblico più giovane e del gradimento di cilindrate intermedie, che in meno di due anni hanno conquistato quasi il 40% del solo mercato moto. Una tendenza che, insieme all’andamento positivo degli scooter, contribuisce indubbiamente ad allargare la platea degli utenti e a interessare nuovi motociclisti”.
Dall’analisi dei dati nazionali emerge che in agosto sono stati immessi sul mercato complessivamente 15.605 veicoli, fra ciclomotori e targati. Quanto ai primi otto mesi 2021, sono stati venduti 13.363 ciclomotori, pari auna crescita del 5,2%, gli scooter hanno raggiunto quota 119.232 (+31,4%) e sono state 94.872 le nuove moto targate 94.872 (+35,7%). Rispetto ai primi otto mesi del 2019 si registra un complessivo aumento del mercato del 17,4%.
Dall’Ancma segnalano anche che, in particolare, i veicoli elettrici a due ruote consegnati ad agosto sono stati 806 (-27% rispetto allo stesso mese 2020) e con 7.146 dall’inizio dell’anno (+22,8%). Rispetto ai primi otto mesi del 2019, la crescita del settore si attesta al 135,2%.
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In base ai dati Istat, nel 2020, in Italia, il numero dei lettori di libri è aumentato leggermente rispetto al 2019, certamente anche per via del lockdown. Le persone di età superiore ai sei anni che leggono almeno un libro all’anno (a prescindere da studio o lavoro) sono risultati il 41,4%, mentre nel 2019 erano il 40%. La crescita riguarda in particolare le donne fra i 25 e i 34 anni (+4,7%). E se le donne tendono a leggere più degli uomini (nel 2019 la percentuale delle lettrici è stata del 44,3% e quella dei lettori del 35,5%), i giovani leggono decisamente più degli adulti; infatti,nella fascia di età compresa fra i 6 e i 24 anni i lettori sono il 53,7%.
Venendo alla produzione libraria, secondo le rilevazioni Istat, nel 2019 sono stati pubblicati in media 237 libri al giorno, di cui 58,4% novità e 8,5% nuove edizioni. Prende piede la lettura digitale, ma resta il cartaceo a farla da padrone con il 77,2% dei lettori che legge solo libri cartacei, a fronte del 7,9% che legge solo e-book o libri on line.
Se si considerano i canali di commercializzazione utilizzati dagli editori, al primo posto ci sono gli store on-line italiani (59,9%) e le librerie indipendenti (59,3%). Le librerie facenti parte di catene sono di contro il canale più utilizzato da grandi e medi editori (82,9% grandi, 70,7% medi, sul 36% del totale), mentre la vendita diretta e quella on-line sono invece i canali più usati dai micro-editori (55,6%).
Stando all’elaborazione di Cribis, su un totale di 4.661 librerie, la regione dove se ne contano di più è la Lombardia (13%), seguita dal Lazio (12,3%) e dalla Campania (9%). Subito dopo ci sono Emilia-Romagna (8%), Toscana (7,8%), Sicilia (7,6%) e Piemonte 7,5% (la quota della Liguria è del 3,2% e dello 0,3% quella valdostana).
Le librerie italiane sono spesso in mano a imprese individuali (56,8%) e società di persone (23,9%), danno lavoro a diverse migliaia di persone. Sfortunatamente, l’emergenza sanitaria ha portato a una diminuzione dei dipendenti tra il 2019 e il 2020, passati da 6.217 a 5.867.
Il 2020 ha rappresentato per le librerie un anno complesso, come per quasi tutti gli altri settori. In attesa dei dati ufficiali sul fatturato, che necessariamente risentirà delle chiusure e delle restrizioni imposte per il contenimento dei contagi, è bene ricordare che nel 2019 il fatturato aveva segnato il segno più: crescendo da 1,100 miliardi di euro nel 2018 a 1,113 miliardi.
Nel 2020 tante librerie si sono attrezzate per la vendita onlinee la consegna a domicilio. L’emergenza Covid, infatti, ha sottolineato quanto la digitalizzazione e l’innovazione possano fare la differenza in situazioni di crisi. Ed è proprio quella la grande sfida delle librerie, dal momento che a oggi presentano una bassa attitudine alla digitalizzazione (75,43% dei casi) e una ridotta propensione all’innovazione (47,58% del totale).
“C’è ancora molto da fare dunque su questo fronte – ha commentato Massimiliano Solari, direttore generale Cribisi – non resta che accelerare i processi di rinnovamento, pur mantenendo un rapporto privilegiato e di fiducia coi lettori perché anche e soprattutto nei periodi complicati il ruolo di presidio culturale svolto dalle librerie è fondamentale e imprescindibile”.
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Parmigiano Reggiano, Gorgonzola, Caciocavallo, Provolone, Ricotta, Mozzarella e Pecorino sono solo alcuni dei formaggi italiani più amati all’estero e che, quest’anno, stanno spopolando sui mercati internazionali. Nei primi cinque mesi, fra l’altro, le esportazioni verso gli Stati Uniti sono ammontate a circa 13.635 tonnellate, con un balzo di oltre il 120% nel solo maggio. “Un’accelerazione che posiziona l’Italia al primo posto tra gli esportatori di formaggio negli Usa” secondo l’ultima indagine effettuata da un’autorevole società di consulenza e servizi per il settore lattiero-caseario.
Ma quello statunitense non è l’unico mercato estero a far registrare un’impennata delle importazioni di formaggi italiani, tra i quali figurano diversi piemontesi particolarmente apprezzati per la loro specifica qualità, quali il Castelmagno, il Bra, il Murazzano, la Raschera, il Taleggio, la Robiola di Roccaverano e le diverse Tome. Infatti, sempre da gennaio a maggio, l’export verso Australia e Canada ha fatto registrare un incremento appena al di sotto del 30% sullo stesso periodo del 2019. In particolare, si è raggiunto il miglior risultato dal 2016 sul mercato canadese, con 2.627 tonnellate esportate (+27,6% rispetto allo stesso periodo del 2020).
A proposito dell’impennata dell’export in Canada, come spiegato dal presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, è stata stimolata dal Ceta, l’accordo economico e commerciale tra Unione Europea e Canada. “Il Ceta è vantaggioso per l’agricoltura italiana” ha detto Giansanti, sottolineando che “gli accordi commerciali sottoscritti dalla UE sono, in generale, un valido strumento per supportare la crescita delle esportazioni agroalimentari italiane, anche per la tutela assicurata alle indicazioni geografiche. Prima del Ceta, per esempio, le denominazioni Prosciutto di Parma e Prosciutto San Daniele non potevano essere utilizzate sul mercato canadese”.
Proprio questo nuovo accordo evoca il fenomeno dell’”italian sounding”, molto preoccupante: i nostri prodotti sono conosciuti in tutto il mondo, simbolo di qualità a partire dalle materie prime e per questo spesso vengono “contraffatti” o si utilizza la nostra eredità gastronomica per vendere i prodotti senza alcun legame con il nostro Paese, ingannando i consumatori e provocando danni alla nostra economia, ai produttori originali oltre che alla reputazione del Made in Italy.
A taroccare il cibo italiano – evidenzia la Coldiretti – sono soprattutto i Paesi emergenti e i più ricchi, dalla Cina all’Australia, dal Sud America agli Stati Uniti.
Negli Usa – ha denunciato la Coldiretti – il 99% dei formaggi di tipo italiano sono “tarocchi”, nonostante il nome richiami esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese. E sul mercato dell’italian sounding si è buttata anche la Russia, dove l’embargo ai prodotti italiani per il braccio di ferro con l’Unione europea ha favorito la nascita e la proliferazione di brutte copie locali del Made in Italy.
Fra le brutte copie dei prodotti caseari italiani nel mondo, in cima alla classifica c’è la mozzarella, seguita dal Parmesan, dal provolone, dalla ricotta e dal Romano, realizzato però senza latte di pecora. “La pretesa di chiamare con lo stesso nome prodotti profondamente diversi è inaccettabile, secondo la Coldiretti, anche perchè costituisce concorrenza sleale. E Confagricoltura ha invocato un salto di qualità della politica commerciale della UE non solo nell’ottica della sostenibilità ambientale e della protezione delle risorse naturali, ma anche con l’inserimento della clausola di reciprocità negli accordi con i Paesi terzi. In sostanza, il mercato unico può essere aperto soltanto ai prodotti ottenuti con regole compatibili con quelle europee in materia di sicurezza alimentare, diritti dei lavoratori, sostenibilità ambientale, benessere degli animali e, per quanto riguarda la certificazione ambientale dei prodotti, il presidente di Confagricoltura ha aggiunto che bisogna “cominciare a lavorare per il varo di un sistema di certificazione ambientale dei prodotti agricoli: per il Made in Italy sarebbe un riconoscimento aggiuntivo, oltre a quello consolidato e indiscutibile della qualità, per conquistare nuove posizioni sul mercato mondiale”.
Tornando ai numeri, va ricordato che nel primo quadrimestre di quest’anno l’Istat ha censito un balzo del 7,5% dell’export di formaggi italiani, per un valore di oltre un miliardo di euro, facendo segnare il record storico. Circa i 2/3 delle esportazioni sono dirette all’interno dell’Unione Europea, dove si è verificato un aumento dell’8,8% mentre gli Stati Uniti sono il principale mercato di sbocco fuori dai confini comunitari con il balzo del 12%. Un risultato favorito dall’entrata in vigore, l’11 marzo 2021, dell’accordo tra il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen e il presidente Usa, Joe Biden, sulla sospensione di tutte le tariffe relative alle controversie Airbus-Boeing, fra l’altro con l’eliminazione dei dazi aggiuntivi del 25% sulle esportazioni dei grandi formaggi italiani in Usa.