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Sprint delle auto elettriche in Europa

Sprint delle auto elettriche in Europa

Sprint delle auto elettriche in Europa. Nel secondo trimestre di quest’anno, le immatricolazioni di vetture a ricarica elettrica hanno continuato a crescere nell’Unione Europea. La quota di mercato dei veicoli elettrici a batteria è più che raddoppiata: dal 3,5% nel secondo trimestre del 2020 al 7,5% di quest’anno, mentre le ibride plug-in hanno rappresentato l’8,4% di tutte le vendite del periodo. Anche la domanda di auto ibride è fortemente aumentata dall’inizio di aprile alla fine di giugno, rappresentando il 19,3% delle immatricolazioni di auto nell’UE. Contestualmente si è ridotta la quota di mercato dei carburanti tradizionali (benzina e gasolio), che insieme rappresentano il 62,2% delle auto nuove vendute. In particolare, il diesel detiene ora una quota di mercato del 20,4%, in calo dal 29,4% del secondo trimestre del 2020 e, analogamente, la quota di mercato delle auto a benzina si è contratta dal 51,9% di aprile a giugno 2020 al 41,8% quest’anno, nonostante gli aumenti della domanda nella maggior parte dei mercati dell’UE.

 

Nel secondo trimestre di quest’anno, le immatricolazioni di veicoli elettrici a batteria (BEV) sono aumentate del 231,6%, risultando 210.298. Questo aumento è stato aiutato da guadagni sostanziali in tutti e quattro i maggiori mercati, in particolare in Spagna (+372,7%) e Germania (+357%).

 

I veicoli elettrici ibridi plug-in (PHEV) hanno avuto un secondo trimestre del 2021 ancora più impressionante, con immatricolazioni che sono balzate del 255,8% a 235.730 unità. L’Italia è stata di nuovo tra i mercati in più forte crescita, con 21.647 auto plug-in immatricolate da aprile a giugno, con un aumento su base annua del 659,3%. Anche gli altri tre principali mercati dell’UE hanno registrato guadagni impressionanti nel segmento PHEV: Spagna (+430,3%), Francia (+276,4%) e Germania (+269,9%).

 

Con 541.162 unità vendute nell’UE durante il secondo trimestre dell’anno, i veicoli elettrici ibridi (HEV) sono rimasti la più grande categoria di auto a propulsione alternativa in termini di volume. Tutti i mercati dell’UE hanno registrato guadagni percentuali di due o anche tre cifre durante questo periodo, compresi i quattro principali. Di conseguenza, le immatricolazioni ibride sono più che triplicate da aprile a giugno, con un aumento del 213,5% rispetto a un anno fa.

 

La domanda di veicoli a gas naturale (GNV) nell’Unione Europea è aumentata del 41,8% a 13.497 unità nel secondo trimestre, sostenuta principalmente dalla notevole crescita in Italia (+94%), che da sola rappresenta il 75% di tutte le vendite dell’UE di questo segmento e

le immatricolazioni di auto alimentate a GPL sono più che raddoppiate (+134,1%) per un totale di 59.363 unità, sostenute da una buona performance in Italia (+89,5%) e Francia (+266%), i due maggiori mercati europei per le auto a GPL.

 

Comunque, secondo una nuova ricerca dell’Associazione europea dei produttori di automobili (Acea), le forti variazioni nazionali nelle vendite di auto elettriche nella Ue sono chiaramente correlate al tenore di vita di un Paese.

 

Le auto elettriche a batteria e ibride plug-in hanno rappresentato il 10,5% di tutte le auto nuove vendute nell’Unione europea lo scorso anno; tuttavia, dieci Stati membri avevano ancora una quota di mercato inferiore al 3%. L’analisi dimostra che l’adozione da parte dei consumatori di auto elettriche è direttamente collegata al Pil pro capite nazionale, indicando che l’accessibilità economica rimane un problema importante.

Come nel caso della distribuzione delle infrastrutture di ricarica, c’è una chiara divisione nell’accessibilità delle auto elettriche tra l’Europa centro-orientale e l’Europa occidentale, nonché un pronunciato divario Nord-Sud” ha spiegato Eric-Mark Huitema, direttore generale dell’Acea.

 

I Paesi con una quota di mercato totale delle auto elettriche inferiore al 3% hanno un Pil medio inferiore a 17.000 euro. È il caso, peresempio, dei Paesi dell’Europa centrale e orientale e della Grecia. Inoltre, i cinque Paesi con la più bassa diffusione sul mercato di auto elettriche hanno anche pochissimi punti di ricarica, inferiori all’1% del totale Ue.

 

Dall’altra parte, una quota di mercato superiore al 15% per le auto elettriche si trova solo nei Paesi più ricchi del Nord Europa con un Pil medio di oltre 46.000 euro. Quasi tre quarti di tutte le vendite di auto elettriche dell’Ue sono concentrate in quattro Paesi dell’Europa occidentale con alcuni dei Pil più alti: Svezia, Paesi Bassi, Finlandia e Danimarca. Il restante quarto delle vendite è distribuito in 23 Stati membri.

 

Come mostrano i recenti dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, i pesanti investimenti dell’industria automobilistica in veicoli a basse emissioni stanno dando i loro frutti. Con le vendite di auto elettriche triplicate tra il 2019 e il 2020, le emissioni medie di CO2 sono diminuite del 12% lo scorso anno (record). Il direttore generale dell’Acea ha spiegato: “Per continuare questo progresso sulla strada dello zero, la Commissione europea deve garantire urgentemente che ci siano tutte le giuste condizioni e che nessun Paese o cittadino venga lasciato indietro. I veicoli a zero emissioni devono essere accessibili e convenienti per tutti”. Le case automobilistiche europee chiedono, quindi, adeguati incentivi a lungo termine per stimolare le vendite di tali veicoli e obiettivi infrastrutturali vincolanti per ciascuno Stato membro dell’Europa unita.

 

Ecco i cinque Paesi della Ue con la quota più alta di auto elettriche (tra parentesi il loro Pil pro capite annuo medio): Svezia: 32,2% (45.610 euro), Paesi Bassi: 25% (45.790 euro), Finlandia 18,1% (42.940 euro), Danimarca: 16,4% (53,470 euro), Germania 13,5% (40.070) e i cinque Stati membri con la quota più bassa: Cipro: 0,5% (23.580 euro), Lituania: 1,1% (17.460), Estonia: 1,8 % (20.440 euro), Croazia: 1,9% (12.130 euro), Polonia: 1,9% (13.600 euro).

 

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Bello e Ben fatto

Bello e Ben fatto

Il “Bello e Ben Fatto” italiano vale 135 miliardi di euro all’anno, rappresenta una parte consistente delle esportazioni complessive dell’Italia ed è trasversale a tutti i principali comparti del Made in Italy, seppure in maniera più marcata nei settori afferenti alle tre “F” di Fashion, Food and Furniture. È quanto emerge dall’analisi del rapporto Esportare la Dolce Vita, realizzato dal Centro Studi Confindustria.

 

Le eccellenze italiane si dirigono prevalentemente verso i mercati avanzati, che insieme ne assorbono per circa 114 miliardi di euro.

 

Supera invece i 20 miliardi di euro il valore del quantitativo di eccellenze esportato verso i Paesi emergenti, che, per il loro dinamismo offrono margini di crescita maggiori, però di rischi più elevati.

 

Comunque, secondo il rapporto del Centro Studi di Confindustria, c’è un margine potenziale di incremento delle esportazioni del “Bello e Ben Fatto” pari a 82 miliardi di euro rispetto alle posizioni fin qui acquisite. Il potenziale si ripartisce per oltre tre quarti nei Paesi avanzati (62 miliardi di euro) e per la restante parte negli emergenti (20 miliardi di euro).

 

I Paesi avanzati domandano con maggiore intensità i beni del Bello e Ben Fatto. Gli Stati Uniti sono il mercato con il più alto potenziale in termini assoluti, con 15,5 miliardi di euro di possibile export aggiuntivo. Ma il potenziale è elevato anche per Francia, Germania e Regno Unito, che, complessivamente, valgono un potenziale di 13,7 miliardi di euro.

 

L’Italia presidia bene i mercati più dinamici: il primo Paese per potenziale è la Cina con 3,9 miliardi di euro di export aggiuntivo possibile. Nel dettaglio, a fronte di un potenziale totale di 8,6 miliardi, l’export già realizzato è il 60% circa (4,7 miliardi), mentre è ancora sfruttabile il 40% del potenziale di crescita del Bello e Ben Fatto. Fra l’altro, tra i paesi emergenti, la Cina è quello che offre maggiori margini di miglioramento anche nel medio-lungo termine. Le stime sullo stock attuale della classe media benestante e sull’aumento dei nuovi ricchi al 2025 e 2030, mostrano che i mercati asiatici sono gli assoluti protagonisti tra i mercati emergenti. La Cina si colloca al primo posto sia per dimensione attuale della classe benestante (265,6 milioni) che per la crescita nel prossimo quinquennio (70,2 milioni).

 

La Cina, tuttavia, si conferma anche come principale competitor dell’Italia. Insieme a Germania, Usa, Francia e Spagna è infatti tra i principali competitor nelle categorie merceologiche del Bello e Ben Fatto. Le eccellenze italiane restano abbastanza protette, ma l’upgrading dei prodotti cinesi è sempre più pressante. Nel 2020, la Cina è stato uno dei pochi paesi al mondo a registrare una crescita positiva (oltre il 2%) e, secondo le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale, nell’anno in corso farà registrare un tasso di crescita del Pil superiore all’8%.

 

Il rapporto dell’Ufficio Studi di Confindustria evidenzia anche che gli effetti della pandemia non hanno risparmiato il Bello e Ben Fatto, che ha subito pesanti ripercussioni. In particolare, i settori legati alla Moda sono stati tra i più colpiti; ma, nonostante tutto, alcune eccellenze del made in Italy hanno continuato a crescere anche nel 2020 e si sono mostrati particolarmente resilienti.

 

Nel 2020, comunque, la pandemia ha avuto un impatto significativo sul commercio internazionale. L’impatto della crisi è stato generalizzato e asimmetrico al tempo stesso. A partire da marzo 2020 le esportazioni del Bello e Ben Fatto italiano sono state significativamente inferiori allo stesso mese dell’anno precedente (85% dei valori del 2019); ma da luglio le esportazioni hanno ripreso a crescere a un ritmo comparabile, e leggermente superiore, allo stesso periodo del 2019. In generale, nel 2020 le esportazioni di prodotti italiani belli e ben fatti hanno tenuto rispetto alle esportazioni di altri grandi Paesi manifatturieri europei.

 

Ma l’Italia ha dimostrato di essere forte. “La nostra forza è rappresentata dall’indiscutibile qualità e riconoscibilità dei nostri prodotti. Il Made in Italy è vivo e lotta” ha commentato Barbara Beltrame Giacomello, vice presidente di Confindustria per l’Internazionalizzazione. E ha aggiunto: “La sfida ora è capire come trasformare le nostre imprese: rafforzare i canali di vendita digitale, stabilizzare le relazioni internazionali e preservare e aumentare la riconoscibilità del Made in Italy”.

 

Banca del Piemonte è vicina alle aziende del suo territorio ed offre una consulenza specializzata per sviluppare un programma di crescita commerciale all’estero con Credito Global e con programmi specifici di supporto all’internazionalizzazione delle aziende.

 

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Attenzione: Campagna phishing con uso fraudolento del nome della Banca d’Italia

Attenzione: Campagna phishing con uso fraudolento del nome della Banca d’Italia

La Banca desidera segnalare che il Computer Emergency Response Team (CERT) della Banca d’Italia ha recentemente rilevato numerosi SMS di phishing e siti web fraudolenti volti alla sottrazione indebita di dati personali relativi a carte di credito.

 

I messaggi risultano apparentemente inviati dalla società di servizi di pagamento digitali NEXI S.p.A. e riportano un link che si è invitati a cliccare per verificare i dettagli di un presunto pagamento anomalo. Il link porta a un sito web che richiede di inserire i dati della propria carta di credito e sfrutta il logo della Banca d’Italia allo scopo di guadagnare maggior credibilità nei confronti del visitatore.

 

Segnaliamo che sia gli SMS sia i siti web da essi referenziati non provengono e non sono autorizzati in alcun modo né dalla Banca d’Italia né dalla società NEXI S.p.A; invitiamo tutti pertanto a diffidare di tali messaggi e a non accedere ai link ivi riportati.

 

Per maggiori informazioni consultare il sito di Banca d’Italia.

 

Che cos’è il phishing?

 

È una particolare tipologia di truffa realizzata sulla rete Internet attraverso l’inganno degli utenti.

Si concretizza principalmente attraverso messaggi di posta elettronica o SMS ingannevoli con l’invio di una comunicazione a prima vista proveniente da istituti finanziari (banche o società emittenti di carte di credito) o da siti web che richiedono l’accesso previa registrazione (web-mail, e-commerce ecc.).

 

Il messaggio invita, riferendo problemi di registrazione o di altra natura, a fornire i propri riservati dati di accesso al servizio. Solitamente nel messaggio, per rassicurare falsamente l’utente, è indicato un collegamento (link) che rimanda solo apparentemente al sito web dell’istituto di credito o del servizio a cui si è registrati.  In realtà il sito a cui ci si collega è stato artatamente allestito identico a quello originale. Qualora l’utente inserisca i propri dati riservati, questi saranno nella disponibilità dei criminali.

 

Banca del Piemonte consiglia di:

 

  • Non inserire mai i dati personali su pagine raggiunte tramite link (o allegati) di e-mail;
  • Imparare a riconoscere le false e-mail;
  • Non cliccare sui link sospetti e non scaricare file allegati;
  • Segnalare l’accaduto alla propria Filiale o all’Autorità Giudiziaria o alla Polizia.
Nuove dinamiche socio-culturali di consumo del vino

Nuove dinamiche socio-culturali di consumo del vino

L’Area Studi Mediobanca, l’Ufficio Studi di Sace e Ipsos hanno pubblicato il primo report congiunto sul settore vino & spirits italiano, dedicato all’analisi dei mercati e allo studio delle dinamiche socio-culturali di consumo.

 

Il 2020 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un calo di fatturato del 4,1% (-6,3% il mercato interno e -1,9% l’estero). L’incidenza del risultato netto sul fatturato, comunque, ha performato bene, con il leggero calo dal 4,2% al 4,1%. I vini frizzanti hanno perso più terreno (- 6,7%) dei vini fermi (-3,5%). Le cooperative hanno contenuto la flessione al 2%. Il canale Gdo (Grande distribuzione organizzata) ha visto la propria incidenza salire al 38% rispetto al 35,3% del 2019 (a valore è cresciuto del 2,3%), quello Ho.Re.Ca. (hotel, ristoranti, cafè) si contrae dal 17,9% al 13,4% (-32,7%), mentre wine bar ed enoteche passano dal 7% al 6,7% (-21,5%).

 

L’online è esploso durante la pandemia: +74,9% le vendite sui portali web di proprietà, +435% per le piattaforme online specializzate e +747% i marketplace generalisti. Gli investimenti dei maggiori produttori di vino nel digital sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi e del 13,4% della spesa pubblicitaria.

 

Sugli scudi il bio, con vendite 2020 in aumento del 10,8%, per una quota di mercato del 2,3%; tiene il vino vegan (+0,5%, anch’esso al 2,3% del totale). Non fanno ancora presa i vini biodinamici, in caduta del 21,9% e confinati allo 0,1% del mercato. C’è stato uno sviluppo del 5,8% per i vini confezionati in contenitori alternativi al vetro (brick, lattine, bag in box), leggeri, ecosostenibili, adatti all’online e in linea con l’interesse per le novità delle giovani generazioni.

 

I maggiori produttori di vino si attendono per il 2021 una crescita del 3,5%, che arriverebbe al 4,6% per la sola componente export. Per le maggiori società di spirits, si prevede un anno con vendite in crescita del 5,4% e del 4% per le esportazioni.

 

Nel biennio 21-22 si attende un aumento dei consumi di vino del 3,8% l’anno per molti tra i principali mercati. Per i due grandi importatori di vino italiano la crescita media annua è del 2% per gli Usa e del 3,1% per la Germania. In Svizzera i consumi di vino sono attesi stabili. Discorso a parte per il Regno Unito: crescita del 2,4% l’anno, ma prospettive complicate dagli sviluppi post Brexit. Opportunità possono arrivare da mercati già noti al vino italiano: Canada e Giappone segnano un consumo atteso in forte crescita (+5,9% annuo per entrambi). Ma è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3% annuo nel biennio 2021-22.

 

Le esportazioni italiane 2020 di vini e spirits valgono il 30% delle nostre vendite di alimenti e bevande oltreconfine e ammontano a 7,8 miliardi di euro. Il comparto proviene da una crescita pluriennale: +6,3% medio annuo per i vini nel periodo 2010-19, ma l’anno scorso ha segnato una frenata: l’export di vini si è contratto del 2,3%, quello di spirits del 6,8%. In particolare, l’export di vino italiano vale 6,3 miliardi di euro e si stappa in prevalenza sulle tavole statunitensi (23,1% del totale), tedesche (17,1%) e britanniche (11,4%). La pandemia ha colpito pesantemente gli spumanti (-6,9%).

 

Più modesto l’export italiano generato dal comparto degli spirits, che vale 1,5 miliardi di euro e ha nell’Europa la destinazione privilegiata (60,4% del totale) e due mercati di sbocco preferenziali: Stati Uniti e Germania, che fanno il 40% del totale.

 

Regione che vai, vino che trovi. Nel 2019 il Veneto detiene il primato di vino prodotto, sia a volume che a valore, con il 20% del totale nazionale. Segue la Puglia con il 19,6% a volume e il 13,3% a valore. Toscana e Piemonte hanno il 5% circa dei volumi, ma raddoppiano il peso se si guarda al valore. Le caratteristiche regionali si notano anche nelle dinamiche di esportazione. La principale regione esportatrice di vini, nel 2020, è il Veneto con il 35,5% del totale delle vendite oltreconfine, più del doppio della seconda, il Piemonte con il 17,2%. La Toscana, terza regione, rappresenta il 15,5% dell’export nazionale di vino.

 

Nell’anno della pandemia, il Veneto ha subìto un calo dell’export del 3,3%, ma sono diminuite le vendite all’estero anche dei vini di Toscana e Lombardia. Fra le altre regioni il calo più consistente è dell’Umbria (- 24,2%), seguita dalla Valle d’Aosta (-21,9%), dalla Sardegna (-18,8%) e dalle Marche (-14,5%). In controtendenza i vini del Trentino-Alto Adige, dell’Emilia-Romagna e del Piemonte con aumento delle vendite al di fuori del territorio nazionale.

Anche sui conti delle aziende i tratti regionali lasciano la propria impronta. Il maggior Roi tocca agli abruzzesi (9,7%), piemontesi (8,6%) e veneti (7,8%). Best in class per solidità finanziaria i produttori toscani, con debiti finanziari pari ad appena il 26,8% del capitale investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi (66,9%) e toscani (61,7%) che superano il 60% di export sul fatturato.

 

La pandemia ha inciso su alcune abitudini di consumo, anche in maniera sorprendente. La propensione dei consumatori ad acquistare bottiglie di vino nei supermercati è calata di 6 punti: il 58% degli italiani che in epoca pre-Covid si approvvigionava nella Gdo si è ridotto al 52%. La Gdo rimane il canale preferito per l’acquisto di vino, ma mostra dinamiche in evoluzione con una sempre maggiore ricerca di qualità, specificità e unicità. Un trend confermato dalla percentuale di persone che ha iniziato a frequentare enoteche, cantine e negozi specializzati. Sono in aumento gli acquirenti di vino nelle cantine dei produttori: nel periodo pre-Covid gli italiani che non si erano mai recati in una cantina di un produttore erano il 46%, oggi scesi al 39%.

Piemonte, ripresa dell’artigianato e del sistema imprenditoriale

Piemonte, ripresa dell’artigianato e del sistema imprenditoriale

Gran ripresa dell’artigianato in Piemonte. Nel secondo trimestre di quest’anno, il settore ha registrato la crescita di quasi mille imprese rispetto al 31 marzo, una decina in più al giorno. Infatti, ne sono state costituite 2.338, mediamente 26 ogni 24 ore; mentre nello stesso arco di tempo sono state 1.380 quelle che hanno chiuso i battenti definitivamente. Lo hanno censito Unioncamere e Infocamere, precisando che il tasso di crescita delle imprese artigiane in Piemonte, dal primo giorno di aprile all’ultimo di giugno, è stato dello 0,84%, tra i più alti d’Italia (0,60% la media nazionale) e superiore anche a quello dell’insieme delle aziende.

 

Al 30 giugno, perciò, sono risultate 115.428 le imprese artigiane attive in Piemonte, poco meno del 9% del totale italiano, che è di 1.292.685. Nel nostro Paese, nel secondo trimestre, sono aumentate di 7.727, incremento al quale il Piemonte ha contribuito per oltre il 12%.

 

Per quanto riguarda le singole province della regione, i dati di Unioncamere e Infocamere indicano che nel secondo trimestre Alessandria ha contato 191 nascite di imprese artigiane e 143 cessazioni, Asti rispettivamente 115 e 76, Biella 69 e 46, Cuneo 300 e 196, Novara 183 e 95, Torino 1.334 e 718, il Verbano-Cusio-Ossola 68 e 51 e Vercelli 78 e 55. Tutte, quindi, hanno evidenziato una crescita, a conferma della ripresa del settore.

 

Ripresa che, nel secondo trimestre, ha riguardato tutto il sistema imprenditoriale piemontese. Al 30 giugno, infatti, sono state censite 428.622 imprese operative in regione, 3.110 in più rispetto al 31 marzo: le Camere di commercio locali hanno registrato 6.637 nuove iscrizioni a fronte delle 3.527 che sono state cancellate. Però, in questo caso, il tasso di crescita del Piemonte (0,73%) è stato inferiore, sia pure di poco, alla media italiana (0,74%).

 

In tutta la Penisola, dall’inizio di aprile alla fine di giugno, sono nate 89.089 imprese (un migliaio al giorno), mentre ne sono scomparse 43.861. Il saldo, attivo per 45.228, ha portato a un totale di oltre 6,1 milioni (per la precisione a 6.104.280). Dimostrazione dell’aumento della fiducia e del recupero dello spirito d’iniziativa. Tanto che le aperture di nuove attività sono tornate ai valori pre-pandemia, anche se è ancora presto per parlare di ritorno alla normalità. Comunque, il valore delle nascite delle imprese è stato di poco al di sotto della media del triennio 2017-2019, prima dell’irrompere dell’emergenza sanitaria globale e minore di sole 3.061 unità al dato del secondo trimestre 2019, quando le iscrizioni furono 92.150. Fra l’altro, secondo le analisi del Centro Studi Tagliacarne, un punto di fiducia in più o in meno influenza la nascita di un’impresa su due.

 

La ripresa della natalità imprenditoriale, però, si sta però sviluppando con intensità diverse: in cinque regioni su venti (Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Basilicata e Sardegna), il numero di aperture di imprese nell’ultimo trimestre è stato persino superiore a quello del secondo trimestre 2019.

 

Il ritorno a una dinamica delle aperture più in linea con il periodo pre-pandemia appare più marcato guardando ad alcune delle forme giuridiche assunte dalle neoimprese. In particolare, tra aprile e giugno, l’anagrafe delle Camere di Commercio ha fatto segnare un deciso incremento (+3.298 unità) nell’apertura di società di capitale rispetto allo stesso periodo del 2019 (29.934 contro 26.536). In linea con una tendenza in atto da tempo, fanno invece segnare un passo indietro rispetto al 2019 le imprese individuali, la forma d’impresa più numerosa nel nostro Paese: 52.790 le aperture di nuove attività nel secondo trimestre di quest’anno, contro le 59.129 di due anni fa (-6.639 unità).

 

Restano invece nettamente sotto la media degli ultimi anni le cancellazioni che, tra aprile e giugno, sono state circa un terzo in meno del valore registrato nel secondo trimestre 2019, probabilmente per effetto delle misure di sostegno messe in atto dal Governo.

 

Da sempre Banca del Piemonte è vicina alle imprese del suo territorio, a partire dall’idea imprenditoriale, passando per la realizzazione del progetto e sostenendone la crescita e lo sviluppo.

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