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Parità di genere, meta lontana

Parità di genere, meta lontana

Otto marzo. Festa della Donna, almeno nei Paesi civili e democratici. Si festeggia con mimose, rose, fiori, un dono, cena al ristorante. Se tutto va bene. Ma non va così ovunque e per tutte. Tanto che forse sarebbe più opportuno che l’8 marzo venisse celebrato, come alle origini, quale Giornata internazionale dei diritti della donna, istituita nel 1909, negli Usa (in Italia nel 1922), per ricordare non soltanto le conquiste sociali, economiche e politiche delle donne, ma anche, purtroppo, le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto.

L’8 marzo, pertanto, oltre che come festa andrebbe vissuto come giorno di riflessione e di bilanci, valutando, fra l’altro, i risultati ottenuti sul fronte della parità di genere, che l’Onu vorrebbe raggiunta completamente entro il 2030 (forse un’illusione più che una speranza).

Persino in Italia la parità di genere è ancora una meta lontana, soprattutto in certi campi e a certi livelli, nonostante norme che tendono a favorirla e le quote rosa. Però, indubbiamente, passi avanti ne sono stati fatti su questa strada, lunga e tortuosa. Le prove non mancano, in diversi settori, compreso quello economico in senso lato.

Fra l’altro, si susseguono sempre più frequentemente i casi di grandi affermazioni della presenza delle donne e di loro successi nella ricerca scientifica, nell’Università, nella medicina, nell’imprenditoria, nella politica, nella letteratura, nei vertici delle istituzioni pubbliche e private, nella giurisprudenza, nella finanza, nel management, nella magistratura, per arrivare fino all’astronautica e agli arbitraggi sportivi.

È un fenomeno auspicabilmente ineludibile, sicuramente logico. Se non altro perché le donne sono più degli uomini (in Piemonte 2,265 milioni, oltre centomila più dei maschi).

Tuttavia, proprio partendo dal mondo del lavoro, l’analisi della varietà di genere, fra l’altro, mostra che in Italia le donne con un’occupazione nel 2022 sono 9,763 milioni, sì un record e 566 mila più di dieci anni fa; ma ancora 3,7 milioni in meno rispetto agli occupati maschi (comunque, nel 2013 la differenza era addirittura di 4,7 milioni).

Il tasso di occupazione rosa (percentuale tra donne occupate e popolazione femminile) è salito al 51,3% (cinque punti in più rispetto al 2013); però, il differenziale con quello maschile, pur essendosi ridotto di 6,3 punti negli ultimi vent’anni, è ancora di 17,7 punti. E se il tasso di disoccupazione maschile è dell’8,8%, quello femminile è del 9,1%.

Non solo: è assodato che la presenza femminile cala all’aumentare del livello di responsabilità: in Italia, la quota di donne sul totale della forza lavora scende al 35,7% nei ruoli direttivi e al 22,6% a livello di consigli di amministrazione (un’eccezione si trova nei bord delle società quotate in Borsa, dove, in seguito anche a un obbligo normativo, la presenza femminile è salita al 41,9%).

Un’altra conferma della continuità della disparità di genere emerge dai censimenti delle imprese: in Italia, a fine 2022, le imprese femminili erano poco più di 1,337 milioni, numero corrispondente al 22,21% di tutte le aziende attive nel nostro Paese.

Consola, però, che le imprese femminili sono risultate più del 50% nel settore dei servizi, il 37,2% nella sanità e assistenza sociale, il 30,9% nell’istruzione, il 29,2% nelle attività di alloggio e ristorazione, il 28,1% nell’agricoltura e il 26,5% nel comparto noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese.

In particolare, in Piemonte, al 30 dicembre dell’anno scorso, le aziende rosa erano 95.593, il 22,4% del totale delle imprese registrate alle Camere di commercio della regione. Tre mesi prima, sono risultate 90 le startup femminili innovative in Piemonte, 17 in più rispetto alla fine del 2019.

Malgrado la pandemia, la guerra in Ucraina, l’aumento dell’inflazione e altre difficoltà, infatti, l’innovazione al femminile cresce. In Italia, sono diventate duemila le start up innovative femminili, 572 in più rispetto allo stesso periodo del 2019, arrivando a rappresentare il 13,6% del totale delle start up, con una crescita del 40% nel biennio.

Proprio a cavallo dell’epidemia da Covid 19, insomma, molte donne hanno dato vita a questa particolare tipologia di impresa, costituita nella forma di società di capitali, specializzata nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico. 

L’aumento considerevole delle start up innovative va del resto di pari passo con il crescente impegno delle donne nei settori a maggior contenuto di conoscenza, come i servizi di informazione e comunicazione, le attività finanziarie e assicurative, le attività professionali, scientifiche e tecniche, l’istruzione e la sanità e assistenza sociale. 

“La crescente propensione delle donne a impegnarsi in settori imprenditoriali più innovativi, oggi in gran parte ancora appannaggio degli uomini, è un fatto certamente positivo”, ha commentato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, aggiungendo: “speriamo che sempre più giovani vogliano seguire questo esempio, scegliendo di laurearsi in discipline Stem, oggi tanto ricercate dalle imprese”.

Fonti : Istat, Unioncamere, Unioncamere Piemonte e Consob.

 

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Classe energetica, grande sconosciuta

Classe energetica, grande sconosciuta

In Italia quasi l’80% degli abitanti vive in una casa di proprietà, ma oltre la metà (55%) non conosce la classe energetica del proprio immobile.

Gli italiani, però, stanno prendendo sempre più coscienza dell’importanza di questo dato; infatti, la classe energetica viene indicata come molto importante o fondamentale dall’80% di chi prevede il trasferimento in una nuova abitazione.

Questa è una delle principali evidenze emerse dall’ultimo sondaggio sull’efficienza energetica degli immobili italiani fatta da Immobiliare.it, portale leader immobiliare in Italia, in seguito al via libera del Parlamento Europeo alla direttiva che punta al passaggio di tutte le abitazioni alla classe energetica E entro il 2030 e alla D entro il 2033.

Fra l’altro, a partire dal 1° gennaio 2012, gli annunci di vendita e locazione di immobili devono contenere obbligatoriamente la classe e l’indice di prestazione energetica dell’immobile, riportati nell’Attestato di Prestazione Energetica (Ape).

Nonostante ciò, è solo negli ultimi mesi che la classe energetica ha cominciato a essere sotto la lente d’ingrandimento e, non a caso, tra chi dichiara di conoscere la classe energetica del suo immobile, il 45% si trova tra le classi A e la D, a dimostrazione che si trattava di persone sensibili al tema già al tempo del loro acquisto.

Il nostro Paese ha un patrimonio immobiliare ormai vecchio, con la maggior parte di immobili in classe F o G. Però, la sensibilità ai temi energetici è sicuramente in aumento, tanto che la maggior parte degli intervistati da Immobiliare.it ha risposto di essersi messo all’opera per migliorare l’efficienza energetica dell’abitazione in cui vive: inoltre, il 49% ha affermato di aver effettuato dei lavori migliorativi recentemente, mentre il 13% ha dichiarato di averli programmati nel breve.

Per quanto riguarda la presenza di impianti quali cappotto termico o pannelli fotovoltaici, emerge una netta differenza tra condomini e abitazioni indipendenti. Il 30% di queste ultime, stando al sondaggio, dispone infatti di cappotto termico, percentuale che arriverà al 36% contando le abitazioni che hanno già in programma i lavori per predisporlo, mentre toccherà il 40% la percentuale di case indipendenti con i pannelli fotovoltaici (oggi al 32,2%).

Nei condomini, invece, più di otto abitazioni su dieci non dispongono del cappotto termico (solo il 5% ha in programma i relativi lavori), mentre nove su dieci non hanno, attualmente, i pannelli solari.

Questa differenza è senz’altro legata, almeno in parte, alle difficoltà riscontrabili nella vita condominiale. Infatti, nel 47% dei casi il tema delle nuove installazioni non è mai arrivato in assemblea e nel 44% non è stato fatto nulla per il mancato accordo tra tutti i condomini. Poco meno del 10%, poi, ha rinunciato alle implementazioni per il mancato ottenimento dei finanziamenti richiesti dal condominio.

 In merito alle altre tipologie di lavori in casa effettuabili per migliorare l’efficienza energetica, a livello di popolarità si colloca al primo posto l’installazione di una nuova caldaia e/o condizionatore a elevata efficienza: quasi i tre quarti dei rispondenti ha agito o agirà in merito.

Al secondo posto gli infissi, con il 62%, che li ha indicati come miglioramento necessario (Immobiliare.it ricorda che questi elementi sono spesso determinanti perché un’abitazione in classe G o F possa passare alla E). Poco più della metà degli intervistati, inoltre, ha installato o installerà a breve nuovi elettrodomestici di classe A o superiore.

“La nuova attenzione verso i temi energetici delle nostre abitazioni va letta positivamente ed è certamente in linea con la direzione di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050 – ha detto Carlo Giordano, esponente di Immobiliare.it – Però, ci sarà bisogno della massima attenzione da parte della classe politica del Paese per evitare situazioni di povertà energetica, ovvero la sovrapposizione di redditi bassi, costo energetico crescente e forte riduzione del valore degli immobili energivori”.

 

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Filiale 2 di Torino: chiusura temporanea per lavori di manutenzione

Filiale 2 di Torino: chiusura temporanea per lavori di manutenzione

Per offrire servizi sempre più all’avanguardia e una filiale più accogliente, la filiale 2 di Torino – Via Francesco De Sanctis 78  – resterà chiusa per lavori di manutenzione da giovedì 9 marzo fino a lunedì mattina 13 marzo compreso.

In queste date non sarà possibile, per nessun motivo, accedere ai locali della Banca.

Tutta l’operatività verrà temporaneamente trasferita presso la filiale di Grugliasco – Piazza S. Cassiano 2 – dove potrai trovare i servizi e la cortesia di sempre.

La filiale 2 di Torino, con la sua nuova veste, riprenderà l’attività lunedì 13 marzo alle ore 14.45.

A partire da martedì 14 marzo ti aspettiamo, dal lunedì al venerdì, con i seguenti orari: per operazioni di sportello, dalle 8:45 alle 13:30 e per attività di consulenza, dalle 8:45 alle 13:30 e dalle 14:45 alle 16:00.

Per le attività di consulenza è gradito l’accesso su appuntamento.

BTP ITALIA 5 anni

BTP ITALIA 5 anni

Dal 6 all’8 marzo 2023, salvo chiusura anticipata, con Banca del Piemonte puoi sottoscrivere la nuova emissione di BTP Italia riservata ai risparmiatori individuali. Rendimento indicizzato al tasso di inflazione nazionale e premio fedeltà.

Caratteristiche principali

Il BTP Italia fornisce all’investitore una protezione contro l’aumento del livello dei prezzi italiani, con cedole che offrono un tasso reale annuo minimo garantito pagate semestralmente insieme con la rivalutazione del capitale per l’inflazione del semestre (collegata all’indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati – FOI, al netto dei tabacchi). La cedola minima garantita sarà comunicata venerdì 3 marzo e potrà essere rivista al rialzo, in base alle condizioni di mercato, all’apertura dell’ultimo giorno del periodo di collocamento.
Agli investitori che acquistano il titolo durante la Prima Fase del periodo di collocamento e che lo detengono fino alla scadenza nel 2028, il BTP Italia corrisponderà un premio fedeltà pari all’8 per mille del capitale nominale acquistato non rivalutato.

Zero commissioni di sottoscrizione.

Come sottoscriverlo

Puoi acquistarli online direttamente dal tuo internet banking oppure contattando il tuo Gestore o rivolgendoti alla tua filiale di riferimento per prendere un appuntamento.

 

Per maggiori informazioni consulta il sito del MEF – Ministero dell’Economia e delle Finanze

 

 

Messaggio pubblicitario con finalità promozionali. Tutte le informazioni riportate non costituiscono un’offerta o una sollecitazione ad investire né una raccomandazione di investimento. Maggiori dettagli sull’emissione sono presenti  sul sito del MEF dove è possibile trovare la documentazione ufficiale della predetta emissione.

Record dell’export agroalimentare italiano

Record dell’export agroalimentare italiano

Con l’aumento del 17% fatto registrare nel 2022, l’export agroalimentare italiano ha conseguito il nuovo record annuale di 60,7 miliardi di euro, primato trainato dai prodotti simbolo della Dieta Mediterranea come vino, pasta e ortofrutta fresca, saliti sul podio dei prodotti italiani più venduti all’estero.

È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero 2022, che evidenziano un balzo a doppia cifra per l’alimentare, nonostante la guerra in Ucraina e le tensioni internazionali sugli scambi mondiali di beni e servizi.

La Germania resta il principale mercato di sbocco dell’alimentare italiano con importazioni di nostri prodotti per un valore complessivo di 9,4 miliardi, precedendo così anche gli Stati Uniti (6,6 miliardi), che hanno superano di misura la Francia, al terzo posto con 6,5 miliardi.

Risultati positivi sono stati conseguiti anche nel Regno Unito, dove, dopo le difficoltà iniziali legate all’uscita dalla Ue, l’export agroalimentare italiano è ammontato a 4,2 miliardi, rivelandosi più forte della Brexit.

Tra i prodotti italiani trionfanti all’estero, il re dell’export si è confermato il vino, con un valore stimato dalla Coldiretti vicino agli 8 miliardi di euro nel 2022, grazie a una crescita delle vendite a due cifre. Al secondo posto si trovano la pasta e gli altri derivati dai cereali, con esportazioni volate oltre i 7 miliardi di euro; mentre al terzo ci sono frutta e verdura fresche, con circa 5,5 miliardi.

Ad aumentare in modo consistente le vendite all’estero, l’anno scorso, sono stati anche l’olio l’extravergine di oliva, formaggi e salumi.

“Le conquiste dell’agroalimentare italiano sui mercati stranieri, però, potrebbero ulteriormente crescere – ha sottolineato la Coldiretti – con una più efficace tutela nei confronti della “agropirateria” internazionale, il cui valore è salito a 120 miliardi, anche sulla spinta della guerra che frena gli scambi commerciali con sanzioni e embarghi, favorisce il protezionismo e moltiplica la diffusione di alimenti taroccati, che non hanno nulla a che fare con il nostro sistema produttivo”.

In testa alla classifica dei prodotti italiani più taroccati, secondo la Coldiretti, si trovano i formaggi, a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano, le cui copie – dal parmesao brasiliano al reggianito argentino, fino al parmesan diffuso in tuti i continenti – hanno superato, in termini produttivi, gli originali,

Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi più prestigiosi sono clonati soprattutto il Parma e il San Daniele, oltre che la mortadella Bologna e il cacciatore.

Quanto agli altri prodotti agroalimentari italiani più taroccati all’estero spiccano gli extravergine di oliva, le conserve come il pomodoro San Marzano, oltre che i vini, dal Chianti al Prosecco. In particolare, quest’ultima Dop, al primo posto per valore alla produzione, è anche la più imitata. Ne sono esempi il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova, mentre in Brasile, nella zona del Rio Grande, diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione prosecco, nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur.

“Una situazione destinata a peggiorare – spiega Coldiretti – se l’Ue dovesse dare il via libera al riconoscimento del Prosek croato”.

A pesare sul futuro internazionale del Made in Italy a tavola sono anche il probabile arrivo delle prime richieste di autorizzazione alla messa in commercio di carne, pesce e latte sintetici, la minaccia delle etichette allarmistiche sul vino e, fra l’altro, il semaforo ingannevole del Nutriscore, che boccia le eccellenze tricolori.

“Si tratta di un sistema di etichettatura fuorviante, discriminatorio e incompleto che – spiega la Coldiretti – finisce paradossalmente per escludere dalla dieta alimenti sani e naturali, da secoli sulle tavole, per favorire prodotti artificiali, di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta. I sistemi allarmistici di etichettatura a semaforo si concentrano esclusivamente su un numero molto limitato di sostanze nutritive (ad esempio zucchero, grassi e sale) e sull’assunzione di energia, senza tenere conto delle porzioni, così escludendo paradossalmente dalla dieta ben l’85% del Made in Italy a denominazione di origine”.

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