A cosa servono i soldi che con fatica, ogni giorno, guadagniamo? A renderci ricchi o forse a qualcos’altro? Il denaro fa la felicità? O serve altro?
L’educazione finanziaria ci dà una mano a rispondere a queste, e a molte altre domande… Prendi in mano le redini della tua vita economica e viaggia insieme a noi!
Dimmi dove nasci, ti dirò quanto vivrai!
Nascere nella zona ovest di Torino può significare una speranza di vita di circa 3 anni inferiore di quella che riguarda i bambini che nascono nella parte opposta della città. Con le dovute proporzioni, lo stesso accade in grandi città come Roma, Londra, New York…
Cosa si nasconde dietro a queste differenze? Quasi la metà di questo fenomeno è legata a fattori socioeconomici che comprendono l’istruzione, la posizione lavorativa, il reddito familiare.
In pratica, una economia familiare solida allunga letteralmente la vita.
Chi ha problemi economici vive meno perché è più esposto allo stress, spesso svolge lavori logoranti, non può curarsi bene, interrompe gli studi… E quindi? Che fare? Come abbiamo visto nella puntata precedente, dobbiamo assumere consapevolezza e attrezzarci per affrontare a testa alta un corso di vita colmo di opportunità, ma anche di rischi.
Alla nascita, un po’ come in una lotteria, siamo “assegnati” a una famiglia con determinate risorse economiche, sociali e culturali che influenzano le nostre opportunità di vita e di benessere futuro.
L’educazione finanziaria ci aiuta a mitigare “la lotteria della cicogna”, fornendoci strumenti conoscitivi per andare incontro ad un buon futuro, senza paura!
I soldi fanno la felicità?
Richard Easterlin, con il suo noto paradosso, ci ricorda che l’aumento del reddito non porta necessariamente ad un aumento della felicità. I soldi sono importanti, certo, ma da soli non bastano.
Il benessere da tempo è descritto dai protocolli di benessere domestici (BES, Benessere Equo e Sostenibile) ed internazionali (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile – SDGs).
Se guardiamo le dodici dimensioni classificate dal BES Cnel-Istat, è evidente che una famiglia che è capace di gestire bene le proprie risorse economiche, riesce a gestire meglio gran parte delle dimensioni del “BES”: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, innovazione, ricerca e creatività, qualità dei servizi.
“l’aumento del reddito non porta necessariamente ad un aumento della felicità. I soldi sono importanti, certo, ma da soli non bastano”
L’educazione finanziaria ci insegna come gestire i risparmi per curarci bene, far studiare i nostri figli, comprarci casa, sentirci bene e al sicuro, godere del patrimonio culturale, accedere a servizi di qualità…
Esperti di finanza o esperti di noi?
Il mio bilancio familiare oggi è solido, e domani? Come posso risparmiare un po’ di più? Riuscirò ad accompagnare i miei figli ad essere autonomi economicamente? Quando andrò in pensione? Riuscirò a costruirmi una vecchiaia “come si deve”? Riuscirò a comprare la casa dei miei sogni? Come posso proteggere le persone a cui voglio bene? (…)
Al centro dell’educazione finanziaria non c’è il denaro, ma le domande della vita e il nostro star bene. Per affrontare con più serenità il futuro, dobbiamo diventare esperti dei nostri bisogni ed imparare ad assumere il controllo sulle nostre traiettorie di vita, sull’esito di ogni scelta o non scelta economica, sull’impatto di una decisione sul nostro benessere, presente e futuro.
Dobbiamo diventare esperti di bisogni, non di prodotti. La previdenza e la finanza sono solo mezzi per proteggersi dai rischi e raggiungere obiettivi di vita importanti.
Una vita, tanti bisogni…
Un genitore che lavora e si prende cura di un parente anziano sperimenterà rischi e obiettivi di vita molto diversi da quelli di un single, che ha appena cominciato a lavorare. E’ utile assumere una prospettiva completa e ampia della propria vita economica, che contenga ed integri i vari bisogni e desideri in relazione alle fasi di transizione e sovrapposizione che la vita può riservarci.
Gli oggetti pratici su cui ciascuno di noi dovrebbe mettere testa sono tre: gestire entrate ed uscite dei conti di casa; mitigare o annullare le conseguenze economiche dei rischi che possono presentarsi; realizzare, o avvicinarsi il più possibile ai propri progetti di vita significativi.
Ci sono tuttavia oggetti meno materiali ma altrettanto concreti che l’educazione finanziaria supporta: tra questi la sicurezza psicologica, la soddisfazione di sé, la fiducia in se stessi e negli altri, nel presente e nel futuro.
“È utile assumere una prospettiva completa e ampia della propria vita economica, che contenga ed integri i vari bisogni e desideri in relazione alle fasi di transizione e sovrapposizione che la vita può riservarci”
Ognuno di noi ha tanti bisogni e desideri ma un solo portamonete: l’educazione finanziaria ci aiuta a guardare all’intera vita, considerando sequenze e priorità.
Cosa ci guadagno?
Tenere sotto controllo la propria vita economica, risparmiare, inaugurare il futuro non è sempre facile… in quest’epoca frenetica l’unica cosa che si desidera fare a fine giornata è sprofondare in un divano comodo, godersi un bel libro o magari una serie tv!
Chi ce lo fa fare di tendere l’orecchio all’educazione finanziaria?
I motivi sono molti, concreti, misurabili. Qualche esempio? Accantonare risorse per mandare i figli all’università, significa “donare anni di vita”: i laureati vivono in media di 3,7 anni in più e possono contare su un reddito medio superiore di quasi 9.500 euro. Non solo…
Assumere consapevolezza e attuare comportamenti virtuosi costa (poca) fatica ma porta (grandi) risultati.
Conclusione
L’educazione finanziaria riguarda giovani e adulti, cittadini, lavoratori, studenti e pensionati, uomini e donne, soli o accompagnati. Al centro della sua attenzione c’è sempre il benessere complessivo della persona, con le sue fragilità da gestire, i suoi rischi da proteggere, e gli obiettivi di vita più belli da raggiungere.
Stanno cambiando tante cose vero? Ma quante di queste ci riguardano? E quanto sentiamo il bisogno di un nuovo libretto di istruzioni che ci aiuti a cavalcare le sfide di un tempo di vita sempre più veloce e concitato? Oggi Banca del Piemonte inizia un viaggio che parla di te, della tua famiglia, dei tuoi desideri, dei tuoi rischi e del tuo futuro. Partiamo!
Vecchi mondi o nuovi mondi?
Se un tempo si iniziava a lavorare a diciotto anni, si andava in pensione prima dei 60 e si passavano non troppi anni in un luogo chiamato pensione, oggi le cose sono proprio diverse: si esce di casa intorno ai 30 anni, a 55-60 anni si rischia di essere lavorativamente obsoleti, si va in pensione poco prima dei 70 anni e si possono traguardare i 100 anni di vita.
“si esce di casa intorno ai 30 anni, a 55-60 anni si rischia di essere lavorativamente obsoleti, si va in pensione poco prima dei 70 anni e si possono traguardare i 100 anni di vita”
Come si affronta una vita così nuova e popolata da eventi spesso inattesi? Riattivando l’immaginazione, sviluppando progettualità, trasformando i progetti in azioni concrete. Quando? Oggi.
Si nasce tanto, si nasce poco, si nasce il giusto?
Oggi in Italia per mantenere la popolazione in equilibrio (al netto delle migrazioni) ci vogliono 2,1 bambini per ogni famiglia. Quanti se ne contano realmente? Più o meno la metà: ci fermiamo a 1,2 figli. I motivi sono molti, economici, sociali, personali e poi non tutti desiderano diventare padri e madri. La bassa natalità, tuttavia, non deriva sempre dalla mancanza di desiderio di metter su una famiglia, ma dalle non poche difficoltà che ne derivano. Riuscire a gestire il lavoro, i figli e le incombenze quotidiane è diventata una corsa ad ostacoli, specie se viene a mancare il supporto della “Nonni Spa”. Accompagnare un bambino dalla nascita sino alla maggiore età costa in media 9,7 anni di reddito di un genitore. Un Paese con pochi bambini degiovanisce, con tutte le conseguenze che questo può portare in termini di solitudini, mancata innovazione, ridotti supporti di welfare. Che fare? L’economia dei figli è un progetto, che va preparato per tempo e non consente improvvisazioni.
Nuove famiglie, nuovi bisogni?
La famiglia italiana del ‘900 era semplice: c’era un papà, una mamma, dei bambini. Oggi questo tipo di famiglia rappresenta solo un terzo dei nuclei di convivenza italiani. E il resto? Il nucleo più diffuso è quello unipersonale (single), seguito dalle coppie con figli e da coppie senza figli. Poiché tuttavia le regole dell’assistenza pubblica si indirizzano primariamente alla famiglia tradizionale formalizzata, questa evoluzione riduce i diritti di assistenza per molti.
Ne deriva la necessità di conoscere le proprie situazioni, per capire di quali supporti si può disporre.
Ragazzi per sempre?
2,1 milioni di neet: ragazzi che non studiano più e non lavorano ancora. L’uscita di casa avviene a 30 anni, l’autonomia economica a 32 anni per le donne e 35 per gli uomini… che cosa sta accadendo? L’Italia è leader nella poco edificante classifica dei ragazzi “parcheggiati” e questo genera fatiche, psicologiche ed economiche, anche ai genitori. Per evitare questo limbo, si ricorre al cosiddetto “credenzialismo”, saturando di titoli di studio ed esperienze lavorative il curriculum dei propri figli. Ogni generazione è diversa dalle precedenti e così assistiamo a traiettorie nuove: great resignation, quiet quitting, diritto alla disconnessione… termini che fotografano una realtà in continua evoluzione.
“L’uscita di casa avviene a 30 anni, l’autonomia economica a 32 anni per le donne e 35 per gli uomini… che cosa sta accadendo?”
I ragazzi non sono solo il futuro del paese, ma il presente: vanno capiti e accompagnati, anche economicamente, perché possano debuttare quanto prima e con successo nello spettacolo della vita.
Donne
Soffitto di cristallo, pavimento di pece, scala mobile di vetro… quanti neologismi sono stati inventati per descrivere un tema così evidente come l’attuale diseguaglianza di genere? Il World Economic Forum denuncia che ci vorranno 134 anni per raggiungere la piena parità di genere ed è un numero che non va neppure commentato. Recenti studi mostrano che nascere donna in Italia può significare 232.000 euro di reddito e 98.000 euro di pensione in meno. E’ come se nella gara dei 100 metri le donne partissero con uno svantaggio di decine di metri.
L’autonomia economica e la stabilità femminile sono due temi che non possono mancare nella messa in ordine dell’economia familiare. Ogni donna deve essere in grado di sostenersi e prosperare a prescindere dalla presenza di un partner.
L’esperienza vale? Sì, ma anche no.
In Italia lavora solo il 57% dei 55 – 64enni (fonte Eurostat 2024, su dati 2023). Certo c’è chi è già in pensione, ma alcuni hanno perso il lavoro e faticano a rientrare in un mondo professionale che non dà il giusto valore all’esperienza. Cosa può significare essere troppo “vecchi” per lavorare e troppo “giovani” per andare in pensione? Cosa significa mettere d’accordo le responsabilità economico familiari, con possibili cali reddituali? Ogni persona che lavora deve costruirsi una riserva (“obsolescenza”) che mitighi eventuali periodi di transizione fra la fine del lavoro e l’inizio della pensione.
Spegnere 101 candeline
22.000 ultracentenari, più di 33.000 ultranovantanovenni… la città dei longevi diventerà presto una metropoli. Istat stima che nel 2041 avremo 1,4 milioni di persone sopra i novant’anni. La longevità è una conquista della contemporaneità, ma va preparata per tempo evitando di incorrere nel rischio di vivere più a lungo dei propri soldi. Inoltre, non basta vivere a lungo se non si vive bene e questo ha ricadute sanitarie, ma anche economiche e familiari. Sapremo cavarcela in autonomia? E avremo previdenze ed assistenze sufficienti? Il tema è collettivo, ma riguarda la vita di ciascuno di noi.
La pensione dura così a lungo che deve essere un progetto ben pensato e gestito per tempo. Non è mai troppo presto o troppo tardi per ragionarci, ma dobbiamo prendere oggi le misure di un problema di domani.
Conclusione
In un corso di vita nuovo e colmo di sfide inattese, ciascuno di noi è chiamato a prendere parte al gioco e ad essere protagonista del proprio benessere, presente e futuro. Un buon modo per farlo è assumere consapevolezza sui bisogni economici di ogni fase di vita, proteggere il presente e pianificare con cura e determinazione il futuro.
27 Marzo 2022 – Importante vittoria per i ragazzi giallo blu in casa contro la pallacanestro Trapani.
Battuta d’arresto per la Reale Muta Basket Torino, che domenica 5 dicembre, al Pala Gianni Asti, ha dovuto arrendersi al Pistoia Basket con un risultato di 72 a 75.
Quarta vittoria consecutiva per la Reale Mutua Basket Torino che, al Pala Gianni Asti, supera l’Assigeco Piacenza con una prestazione convincente ed un punteggio di 82 a 73.
Nuova vittoria per il Basket Torino nella partita di domenica 7 novembre contro la Pallacanestro Biella. I ragazzi gialloblù si impongono per 68-64.
Nella partita, di domenica 24 ottobre, contro la Bakery Piacenza, il Basket Torino ha infiammato il Pala Gianni Asti controllando il match vincendo con un punteggio di 90 -75.
Banca del Piemonte annuncia con entusiasmo e passione la sua nuova avventura a fianco della Reale Mutua Basket Torino, storica società di basket di Torino oggi guidata da David Avino, Presidente del Consiglio di Amministrazione.
Con questo sodalizio le due società vogliono dare un importante messaggio di unione e sinergia, non solo nello sport, ma anche nella promozione del territorio.
Camillo Venesio, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Banca del Piemonte, sottolinea: “una scelta naturale la nostra, quella di sostenere la Reale Mutua Basket Torino che, come noi, è una società fortemente radicata al territorio e con una grande propensione verso i giovani ed il loro futuro. Due realtà piemontesi che faranno squadra, non solo in campo, con obiettivi comuni […] Attraverso sinergie tra aziende del tessuto locale possiamo riportare la nostra città, il nostro territorio e le realtà ad esso legati al livello che meritano.”
“L’importante partnership con Banca del Piemonte – commenta il Presidente di Basket Torino, David Avino – rappresenta una solida prova della condivisione di valori legati all’intero territorio torinese. Poter contare su una realtà come Banca del Piemonte permetterà di sviluppare attività sportive cruciali per lo sviluppo del sistema regionale che vengono promosse dal Piemonte stesso.”
L’Italia ha raggiunto per la prima volta, nella storia recente, l’autosufficienza nella bilancia alimentare: le esportazioni di cibi e bevande nazionali hanno superato in valore le importazioni dall’estero, sotto la spinta del cambiamento nei consumi e nel commercio determinati dall’emergenza Covid. E’ quanto emerge da un recente studio della Coldiretti. Nel primo semestre di quest’anno, infatti, le esportazioni agroalimentari Made in Italy hanno raggiunto il valore record di 24,81 miliardi (+12% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), mentre il valore delle importazioni è stato di 22,95 miliardi.
“Un cambiamento senza precedenti – ha commentato la Coldiretti – realizzato sotto la spinta della “fame” di Made in Italy all’estero, nonostante le difficoltà determinate dalle chiusure della ristorazione in tutto il mondo, ma anche dalla scelta patriottica nei consumi degli italiani, che hanno privilegiato la qualità dei prodotti nazionali anche per sostenere l’economia e il lavoro del Paese. Infatti, nelle case degli italiani nell’anno del Covid sono cresciuti del +7,6% gli acquisti di prodotti che riportano in etichetta un legame con il Belpaese, superando così gli 8,4 miliardi di euro”.
All’estero le vendite del Made in Italy sono sostenute soprattutto dai prodotti base della dieta mediterranea, come il vino, la frutta e verdura, fresca e trasformata, che l’Italia produce in quantità superiori al fabbisogno interno. Ma non mancano casi eclatanti di successo, tra le new entry, come il caviale Made in Italy, le cui esportazioni sono addirittura triplicate nell’ultimo anno (+187%).
“Tuttavia – sottolinea la Coldiretti – a livello nazionale resta da colmare il pesante deficit produttivo in molti settori importanti, dalla carne al latte, dai cereali fino alle colture proteiche necessarie per l’alimentazione degli animali negli allevamenti. In Italia, infatti, è necessario potenziare la produzione per coprire il deficit del 64% del frumento tenero e del 40% per il frumento duro destinato alla produzione di pasta, per il quale si è registrato un calo di autosufficienza in seguito alle massicce importazioni dal Canada. Per quanto riguarda il mais, fondamentale per l’alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi Dop, l’Italia copre circa la metà (53%) delle proprie necessità”.
Il trend negativo riguarda anche la soia, visto che si produce circa 1/3 (31%) del fabbisogno interno. In Italia, inoltre, si munge nelle stalle nazionali il 75% del latte consumato nel Paese e si produce il 55% del fabbisogno di carne, con l’eccezione positiva per la carne di pollo e per le uova, per le quali il Paese ha raggiunto l’autosufficienza e non ha bisogno delle importazioni dall’estero.
Con la pandemia da Covid si sono ridotti gli scambi commerciali, provocando accaparramenti, speculazioni e incertezze, fattori che hanno spinto la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per la popolazione. Un fenomeno che ha fatto salire i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale ai massimi da quasi sette anni. Fra l’altro, i timori sugli approvvigionamenti di cibo hanno convinto la stessa Unione Europea a lanciare una consultazione pubblica per realizzare un piano finalizzato a conquistare l’autosufficienza in diversi settori chiave.
Comunque, l’emergenza globale provocata dalla pandemia ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità e sicurezza. “Per questo – ha dichiarato Ettore Prandini, il presidente nazionale della Coldiretti – servono sistemi di etichettatura trasparenti sull’origine delle materie prime e che non siano ingannevoli; nello stesso tempo, non possiamo pensare a un modello dove vi sia spazio per l’artificio e i cibi sintetici, dove si assista alla concentrazione eccessiva dei fattori produttivi, dove prevalga l’interesse particolare delle grandi multinazionali che spingono per l’omologazione su un modello dove il cibo sia sempre e solo una commodity”.
Ciclomotori, scooter, moto. Dopo le bici – a pedalata assistita e non – e i monopattini elettrici, anche le due ruote a motore conquistano, sempre di più, i piemontesi e non solo.
Una conferma del fenomeno arriva dagli ultimi dati dell’Ancma (Associazione nazionale ciclo motociclo accessori). Ad agosto, infatti, il mercato nazionale delle due ruote a motore è ancora cresciuto del 21,1% rispetto allo stesso mese del 2019 (il confronto con agosto 2020 è fuorviante per gli effetti della pandemia), così che il totale dei mezzi targati dall’inizio dell’anno è salito a 227.467, con un incremento del 31,2% rispetto ai primi otto mesi del 2020 e del 17,4% rispetto allo stesso periodo del 2019.
In Piemonte, in particolare, sono state 739 le immatricolazioni di moto e scooter ad agosto e 12.832 dal primo giorno di gennaio, più che nell’intero 2020 e poche meno di tutto il 2019, quando sono risultate 13.787. A far registrare il maggior numero di immatricolazioni nei primi otto mesi di quest’anno è stata, naturalmente, la provincia di Torino (6.315),seguita da quelle di Cuneo (2.137) e Alessandria (1.323). Nel Novarese ne sono state contate 1.125, nell’Astigiano 614, nel Verbano-Cusio-Ossola 534, nel Biellese 438 e nella provincia di Vercelli 346.
Paolo Magri, presidente dell’associazione dei costruttori, ha sottolineato che “la lettura dei nuovi dati infonde fiducia al settore e conferma il grande desiderio di due ruote nel nostro Paese: la passione e una nuova domanda di mobilità alimentano un andamento del mercato per certi versi sorprendente, che vede il consolidarsi di modelli accessibili e fruibili anche dal pubblico più giovane e del gradimento di cilindrate intermedie, che in meno di due anni hanno conquistato quasi il 40% del solo mercato moto. Una tendenza che, insieme all’andamento positivo degli scooter, contribuisce indubbiamente ad allargare la platea degli utenti e a interessare nuovi motociclisti”.
Dall’analisi dei dati nazionali emerge che in agosto sono stati immessi sul mercato complessivamente 15.605 veicoli, fra ciclomotori e targati. Quanto ai primi otto mesi 2021, sono stati venduti 13.363 ciclomotori, pari auna crescita del 5,2%, gli scooter hanno raggiunto quota 119.232 (+31,4%) e sono state 94.872 le nuove moto targate 94.872 (+35,7%). Rispetto ai primi otto mesi del 2019 si registra un complessivo aumento del mercato del 17,4%.
Dall’Ancma segnalano anche che, in particolare, i veicoli elettrici a due ruote consegnati ad agosto sono stati 806 (-27% rispetto allo stesso mese 2020) e con 7.146 dall’inizio dell’anno (+22,8%). Rispetto ai primi otto mesi del 2019, la crescita del settore si attesta al 135,2%.
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