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Filiale di Novara: chiusura temporanea per lavori di ristrutturazione

Filiale di Novara: chiusura temporanea per lavori di ristrutturazione

Per offrire servizi sempre più all’avanguardia e una Filiale più accogliente, la Filiale di Novara – C.so Cavallotti 29/31 – resterà chiusa per lavori di ristrutturazione da venerdì 5 marzo fino a domenica 14 marzo compreso.

 

In queste date non sarà possibile, per nessun motivo, accedere ai locali della Banca.

Tutta l’operatività verrà temporaneamente trasferita presso la Filiale di Oleggio – Via Paganini 7/A – dove potrai trovare i servizi e la qualità di sempre.

 

La Filiale di Novara, con la sua nuova veste, riprenderà la normale attività lunedì 15 marzo dalle ore 12.

A partire da martedì 16 marzo ti aspettiamo, su appuntamento, con i consueti orari 8.30 – 13.30 14.45 – 16.00.

 

 

Vieni a trovarci!

Il Covid rallenta l’amore: crisi nel settore del wedding

Il Covid rallenta l’amore: crisi nel settore del wedding

La cancellazione e il rinvio delle nozze, a causa della pandemia Covid nel 2020, ha provocato una perdita di almeno cinque miliardi di euro, in termini di mancati incassi da parte di una serie di operatori collegati agli sposalizi: dai fiorai ai truccatori, dai produttori di abiti per la cerimonia ai fornitori del catering.

 

Il valore della perdita è stato stimato dalla Coldiretti sulla base dei dati pubblicati dall’Istat come “Primi riscontri e riflessioni sul bilancio demografico del 2020”.  Per il periodo gennaio-ottobre, infatti, in via provvisoria, l’Istat ha segnalato il dimezzamento dei matrimoni, a fronte dei 170mila celebrati nei primi dieci mesi del 2019.

 

La crisi generata dal Covid-19 ha stravolto i programmi di promessi sposi e famiglie e ha azzoppato i bilanci delle aziende con attività dedicate al matrimonio, comprese quelle per i servizi fotografici, le acconciature, la luna di miele, le liste nozze, la cerimonia. Prima il lockdown e poi l’incertezza sulla diffusione della pandemia hanno costretto le coppie pronte a convolare a nozze a contrattare rimborsi o voucher per riorganizzare il pronunciamento del fatidico sì. Così, fra l’altro, è in difficoltà oltre un milione di lavoratori diretti ed indiretti, impegnati in questo settore che vede l’Italia all’avanguardia, a livello internazionale.

 

Tra l’altro, il nostro Paese è scelto da un elevato e crescente numero di stranieri che lo preferisce per celebrare l’evento.

La presenza di ambientazioni uniche e l’alto livello dell’offerta eno-gastronomica rappresentano i fattori di successo del wedding Made in Italy, insieme alla creatività organizzativa destinata a rendere unica e indimenticabile la scelta dei futuri sposi.

 

L’ultima tendenza è quella dei matrimoni green, con scelte sostenibili, che vanno dalla location in campagna ai menu a chilometri zero con prodotti esclusivamente locali, dalle agri.bomboniere lavorate con lana di pecora o decorate con spighe alla torta nuziale della nonna fino agli addobbi floreali con essenze locali e al ritorno delle carrozze trainate dai cavalli, con una spesa media che oscilla fra i 30 e i 60mila euro per il pacchetto completo del “giorno più bello”.

 

Proprio per questo – conclude la Coldiretti – oltre alle attività specializzate come gli abiti e accessori, i settori che hanno pagato il prezzo più alto all’emergenza sono quelli dell’agriturismo con le 24mila strutture presenti nel Belpaese, ma anche il florovivaismo che conta 27mila imprese.

 

L’Istat ha rilevato che in Piemonte, nel 2018, sono stati celebrati 12.974 matrimonio, dei quali 8.261 con rito civile e 4.713 con rito religioso.

Recovery Plan tutte le sfide per il Piemonte.

Recovery Plan tutte le sfide per il Piemonte.

Camillo Venesio, suggerisce di riconoscere adeguati investimenti al Piemonte all’interno del Recovery Plan.

 

“Ci sono alcune premesse favorevoli per la nostra Regione e alcune condizioni. Il Piemonte è pieno di gente laboriosa che non teme sacrifici anche importanti e i nostri imprenditori hanno la cultura delle cose fatte bene; […] La prima condizione è che le istituzioni approvino definitivamente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con scelte serie, concrete, equilibrate e un sistema di governance efficiente e condiviso, privilegiando gli investimenti per sostenere l’innovazione, le produzioni i commerci; è importante che in queste settimane tutti i rappresentanti dei nostri territori a Roma s’impegnino affinché siano riconosciuti adeguati investimenti al Piemonte”.

 

Leggi l’editoriale completo di Camillo Venesio sul Corriere della Sera.

Oasi mangia smog per respirare aria pulita anche in città.

Oasi mangia smog per respirare aria pulita anche in città.

Con l’Italia che dispone di appena 32,8 metri quadrati di verde urbano per abitante è strategico puntare su un grande piano di riqualificazione urbana di parchi e giardini che migliori la qualità dell’aria e della vita della popolazione. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Istat in riferimento all’ultimo Rapporto annuale “Mal’aria di citta’ 2021” di Legambiente, secondo il quale nel 2020 sono stati 35 i capoluoghi di provincia fuorilegge per polveri sottili Pm10.

 

L’inquinamento dell’aria è considerato dal 47% degli italiani la prima emergenza ambientale e bisogna quindi intervenire in modo strutturale, ripensando lo sviluppo delle città e favorendo la diffusione del verde pubblico e privato con le essenze più adatte alle condizioni climatiche e ambientali dei singoli territori. L’obiettivo è quello di creare vere e proprie oasi mangia smog nelle città dove respirare aria pulita grazie alla scelta degli alberi più efficaci nel catturare i gas a effetto serra e bloccare le pericolose polveri sottili.

 

A provocare lo smog nelle città è l’effetto combinato dei cambiamenti climatici, del traffico e della ridotta disponibilità di spazi verdi con la situazione che peggiora nelle metropoli dove i valori vanno dai 6,3 metri quadrati di Genova ai 16,5 a Roma, dai 18,1 di Milano ai 22,6 di Torino fino ai 22 a Bologna. “Ancora troppo poco considerato che una pianta adulta – spiega Coldiretti – è capace di catturare dall’aria dai 100 ai 250 grammi di polveri sottili e un ettaro di piante elimina circa 20 chili di polveri e smog in un anno”.

 

Il ripopolamento arboreo di parchi e giardini è la chiave di volta ambientale di una cintura verde che colleghi il centro delle città con le periferie e raggiunga sistemi agricoli di pianura con il vasto e straordinario patrimonio boschivo presente nelle aree naturali grazie al progetto “Bosco vivo e foreste urbane”, piantando, con le risorse del Recovery Plan, 50 milioni di alberi nell’arco dei prossimi cinque anni e sostenendo due settori chiave per l’Italia come il florovivaismo che conta 27 mila aziende e 200mila occupati e quello forestale con 5.685 imprese con 7.349 addetti.

 

Il progetto di Coldiretti e Federforeste si pone l’obiettivo di gestire il patrimonio forestale in maniera sostenibile per contribuire al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 favorendo lo stoccaggio del carbonio da parte delle superfici forestali e delle foreste urbane. Un impegno importante anche per assicurare un presidio attivo contro il dissesto idrogeologico, incendi e altre forme di impoverimento dei territori, contrastare l’abbandono di tali aree e valorizzare la filiera del legno 100% Made in Italy.

 

Fra l’altro, dall’ultimo Rapporto annuale sulla qualità dell’aria in Europa, pubblicato dall’Aea, l’Agenzia europea dell’ambiente, emerge che l’Italia è al primo posto fra gli Stati Ue per numero di morti premature annuali (10.400) dovute all’inquinamento atmosferico da biossido di azoto (NO2), e al secondo, dopo la Germania, sia per le morti premature (52.300) causate dal particolato fine (PM2,5), che per quelle (3.000) dovute all’ozono troposferico (O3) misurato al suolo.

 

In città, dunque, la vegetazione (il greenness) può fornire importanti benefici anche per la salute, inclusi la promozione dell’attività fisica. Lo ha confermato recentemente anche uno studio, condotto da una dottoranda di ricerca del Dipartimento di Scienze della Sanità pubblica dell’Università di Torino, il cui scopo è stato quello di indagare l’associazione tra il verde urbano e la salute respiratoria in una popolazione di 187 bambini di età 10-13 anni a Torino. Il principale risultato ottenuto è costituito dall’evidenza che una maggiore disponibilità di verde urbano si è dimostrata significativamente e positivamente associata a un ridotto rischio di asma, bronchite e sibili respiratori. Lo studio, pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health, fornisce nuove informazioni nella direzione della promozione della salute attraverso atti di prevenzione primaria di tipo ambientale anche rivolti a una attenta politica di sviluppo del verde urbano.

Pizza, l’alimento a cui gli italiani non rinunciano!

Pizza, l’alimento a cui gli italiani non rinunciano!

Con gran parte delle pizzerie chiuse per le misure di prevenzione dettate dal Dpcm nella mappa di colori nelle regioni, la Giornata internazionale della pizza, quest’anno, si è celebrata soprattutto nelle case, dove oltre quattro italiani su dieci (il 44%) hanno scelto di prepararsela da soli pur di non rinunciarci. E’ quanto emerge da un sondaggio della Coldiretti fatto in occasione della giornata dedicata al simbolo della cucina italiana più conosciuto nel mondo (il 17 gennaio, festa di San’Antonio Abate, patrono dei fornai e dei pizzaioli).

 

Un “compleanno” amaro, l’ultimo, segnato dall’emergenza Coronavirus, con la grande maggioranza delle pizzerie italiane chiuse per il servizio al tavolo nelle regioni arancioni e rosse e le altre duramente provate dalle limitazioni negli spostamenti e negli orari di apertura, con il coprifuoco, nonostante la debole boccata d‘ossigeno rappresentata dalla possibilità di consegna a domicilio e di asporto.

 

Le pizzerie sono forse il settore della ristorazione più colpito dall’emergenza Covid per il consumo serale, che si scontra con l’obbligo di chiusura in tutto il territorio nazionale alle 18; ma pesa molto anche l’assenza totale dei turisti stranieri, da sempre tra i più accaniti consumatori di pizza.

 

Le vendite nei locali sono praticamente dimezzate, con un crack stimato da Coldiretti in almeno cinque miliardi nel 2020, che mette a rischio il futuro di molte delle 63mila pizzerie del Paese, nelle quali lavorano circa 200mila persone. E le difficoltà si trasferiscono lungo tutta la filiera, considerato che, a pieno regime, nelle pizzerie, si stima vengano impiegati, ogni anno, 400 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro. Senza dimenticare, il taglio dei consumi di vino e soprattutto di birra, che trovano nelle pizzerie un canale privilegiato di vendita. La chiusura forzata dei locali ha dunque un impatto devastante non solo sulle pizzerie e sull’occupazione ma anche sull’intero sistema agroalimentare, che ha visto venir meno un importante sbocco di mercato dei suoi prodotti.

 

Nel tempo della pandemia ad aumentare è invece la spesa domestica, con il lockdown e le altre limitazioni che hanno “riportato” gli italiani ai fornelli. Anche per fare la pizza. Infatti, nei supermercati si è registrato un raddoppio delle vendite di preparati per pizze.

 

Gli italiani sono i maggiori consumatori di pizza in Europa con 7,6 chili pro capite, all’anno; staccano spagnoli (4,3 chili), francesi e tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci (3,3). Fra l’altro – ricorda la Coldiretti – il Belpaese vanta anche, dal 2017, l’iscrizione dell’ “Arte dei Pizzaiuoli napoletani” nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco.

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