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Il mercato dei mutui immobiliari non teme la pandemia

Il mercato dei mutui immobiliari non teme la pandemia

Il mercato dei mutui immobiliari non teme la pandemia e ha fatto registrare, nell’anno appena concluso, una crescita del 2,8% delle richieste. Un fenomeno spinto da un vero e proprio boom delle surroghe, favorito da tassi di interesse estremamente appetibili che hanno stimolato le famiglie in cerca di soluzioni più sostenibili a rinegoziare anche contratti di recente stipula. Queste alcune delle evidenze più significative che emergono dall’analisi sul patrimonio informativo di Eurisc, il sistema di informazioni creditizie gestito da Crif.

 

Il risultato conferma la solidità del comparto” ha commentato Simone Capecchi, executive director di Crif, dalla cui analisi emerge un andamento estremamente variabile nel corso dell’anno, con un congelamento delle richieste durante la fase di lockdown della scorsa primavera e un deciso e rapido recupero a partire da giugno, che è perdurato per quattro, mesi fino alla nuova secca frenata dell’ultimo trimestre, in coincidenza della seconda ondata di contagi che ha colpito il Paese.

 

Secondo autorevoli previsioni, in assenza di situazioni estremamente critiche il 2021 dovrebbe evidenziare un progressivo recupero delle richieste di mutui, con una variazione positiva compresa tra l’11% e il 26%, con un picco negativo del 5% in caso di scenario meno favorevole.

Seppur con una partenza lenta – ha sottolineato Capecchi – le previsioni per l’anno in corso vedono una crescita del ricorso al credito immobiliare da parte delle famiglie, favorita dall’auspicato miglioramento dello scenario economico e dalla crescente propensione a valutare l’acquisto di abitazioni più confortevoli in virtù delle nuove esigenze abitative emerse durante i periodi di restrizione che hanno obbligato gli italiani a restare in casa.

 

Segnali incoraggianti per il comparto arrivano anche dall’andamento dell’importo medio richiesto che, seppur condizionato dall’elevata incidenza dei mutui di sostituzione, che per natura si caratterizzano per importi più contenuti, nel 2020 si è attestato a 133.577 euro, in crescita del 2% rispetto all’anno precedente, quando si era fermato a 130.976 euro. Nel complesso, l’importo dei mutui richiesti negli ultimi anni è costantemente cresciuto, facendo segnare il picco degli ultimi dieci anni.

 

Guardando agli importi, quasi i 3/4 delle richieste presenta un importo al di sotto dei 150.000 euro, a conferma della propensione delle famiglie a orientarsi verso soluzioni in grado di pesare il meno possibile sul bilancio familiare. La distribuzione per fasce di importo nel 2020 è rimasta pressoché stabile rispetto all’anno precedente, con una lieve contrazione delle richieste nella classe inferiore ai 75.000 euro (22,6% contro il 24% del 2019), compensata da una equivalente crescita nella classe tra 150.000 e 300.000 euro.

 

La durata delle richieste di mutuo conferma la propensione delle famiglie a orientarsi verso soluzioni in grado di pesare il meno possibile sul proprio bilancio; nel 2020, infatti, oltre il 76% delle richieste di mutuo si è caratterizzato per una durata superiore ai 15 anni, proprio per spalmare il piano di rimborso su un arco temporale di lungo periodo.

Analizzando la distribuzione delle interrogazioni in relazione all’età del richiedente, dall’ultimo aggiornamento del Barometro Crif emerge uno scenario sostanzialmente in linea con quello dell’anno precedente: al primo posto si conferma la fascia compresa tra i 35 e i 44 anni, che rappresenta il 33,8% del totale.

 

In questo positivo scenario per il mercato dei mutui immobiliari, Banca del Piemonte, da sempre molto attenta alle esigenze dei suoi Clienti, dal 1° marzo fino al 30 luglio 2021, offre condizioni vantaggiose per i mutui casa a tasso fisso.

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MESSAGGIO PUBBLICITARIO CON FINALITÀ PROMOZIONALE. La richiesta di mutuo è soggetta a valutazione ed approvazione da parte della Banca. Per tutte le condizioni si prega di fare riferimento alle Informazioni generali sul credito immobiliare offerto a consumatori “ADESSOpuoi CASA” disponibile presso le Filiali della Banca e sul sito bancadelpiemonte.it alla sezione Trasparenza – Mutui Ipotecari Privati
Gli italiani ingrassano per le nuove abitudini e le limitazioni imposte dal lockdown

Gli italiani ingrassano per le nuove abitudini e le limitazioni imposte dal lockdown

La pandemia Covid-19 ha anche l’effetto di fare ingrassare.

 

In Italia più di quattro adulti su dieci (44%) sono aumentati di peso, per effetto dello smart working, della chiusura delle palestre e delle piscine, della rinuncia all’attività sportiva e della tendenza a dedicare più tempo in cucina.

È quanto emerge da una analisi di Coldiretti su dati Crea, diffusa in occasione del World Obesity Day che si celebra in tutto il mondo il 4 marzo e che quest’anno è stato condizionato dalle restrizioni imposte dai lockdown.

 

La pandemia ha imposto un cambiamento radicale delle abitudini di vita e dei consumi, che ha conseguenze anche sulla bilancia. La tendenza a mangiare di più, spinta dal maggior tempo trascorso fra le mura di casa, non è stata compensata da una adeguata attività fisica. Coldiretti ha rilevato che computer, divano e tavola hanno tenuto lontano dal moto e dallo sport addirittura oltre la metà (53%) degli italiani.

Fra l’altro, dall’analisi è emerso che la situazione peggiora per le persone obese, soprattutto per quelle collocate in smart working e in cassa integrazione, condizioni che favoriscono comportamenti poco salutari, come la diminuzione dell’esercizio fisico e un’alimentazione scorretta: nel 54% dei casi è stato registrato un aumento medio di peso di quattro chili.

 

Ma l’aumento di peso è dovuto anche alla maggiore propensione a cucinare, per sé e per i familiari, data la continua permanenza fra le mura domestiche e la necessità di organizzarsi a casa per i pasti e magari anche per gli aperitivi di fine giornata.

Conferma il fenomeno anche la crescita della spesa alimentare delle famiglie, al massimo del decennio con il balzo del +7,4% nel 2020. Peraltro, il trascorrere delle settimane in casa ha modificato progressivamente l’atteggiamento dei consumatori nei confronti del cibo, a favore del paniere “cuochi fai da te” (uova, farina, lievito, burro, zucchero, olio), per effetto della tendenza a sbizzarrirsi in cucina preparando pasta, torte, pizze e biscotti.

 

Un comportamento che rende necessario, per molti italiani, adottare un regime alimentare di recupero e “sgonfiamento”, quanto mai opportuno in un Paese dove più di un terzo della popolazione adulta è in sovrappeso e una persona su dieci è obesa (9,8%).

 

Ne siamo consapevoli. Tant’è vero che, nel 2021, la dieta è diventata un obiettivo di più di un italiano su tre (36%), come ha rilevato la stessa Coldiretti, sottolineando che un aiuto in tal senso viene dalla dieta mediterranea (proprio l’anno scorso ha festeggiato il decennale dell’iscrizione nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco). Una dieta, quella mediterranea, che si diffonde sempre più anche all’estero, come dimostra la crescita del 9% delle esportazioni dei suoi prodotti base: dalla frutta alla verdura, dalla pasta all’olio extravergine fino alle conserve di pomodoro.

Sottoscritto accordo per la cessione del controllo di Cedacri a ION

Sottoscritto accordo per la cessione del controllo di Cedacri a ION

Gli azionisti di Cedacri – FSI (27,1%), Banca Mediolanum (15,6%), Cassa di Risparmio di Asti (11,1%), Banco di Desio e della Brianza (10,1%), BPER Banca (7,5%), Banca Popolare di Bari (6,6%), Cassa di Risparmio di Bolzano (6,5%), Banca del Piemonte (4,2%), Credito Emiliano (3,9%), Cassa di Sovvenzioni e Risparmio fra il Personale della Banca d’Italia (2,0%), Società Reale Mutua di Assicurazioni (1,3%), Banca del Fucino (1,1%), Banca Valsabbina (1,1%), Cassa di Risparmio di Cento (1,0%), Cassa di Risparmio di Volterra (1,0%) – hanno firmato un accordo vincolante che prevede la cessione a ION delle rispettive partecipazioni azionarie in Cedacri, il principale operatore italiano nel mercato dell’outsourcing di servizi IT per banche e istituzioni finanziarie.

 

Leggi il Comunicato Stampa

Filiale di Savigliano: chiusura temporanea per lavori di ristrutturazione

Filiale di Savigliano: chiusura temporanea per lavori di ristrutturazione

La Filiale di Savigliano si fa più bella e resterà chiusa per lavori di ristrutturazione da giovedì 17 marzo e fino a domenica 21 marzo.

 

Tutta l’operatività verrà temporaneamente trasferita presso la Filiale di Saluzzo, sita in Via Silvio Pellico 23/25, dove potrai trovare i servizi e la qualità di sempre.

 

La Filiale di Savigliano con la sua nuova veste riaprirà lunedì 22 marzo alle ore 12.

A partire da martedì 23 marzo ti aspettiamo, su appuntamento, con i consueti orari: 8.30-13.30, 14.45-16.00.

Nuova struttura commerciale nei centri storici della nostra Regione

Nuova struttura commerciale nei centri storici della nostra Regione

Meno negozi, più bar e ristoranti.

Nei centri storici dei capoluoghi provinciali del Piemonte sta cambiando la struttura commerciale, in conseguenza anche della crisi economica, che influisce sui consumi e le abitudini.

 

Alla fine del 2020, nei centri dei capoluoghi della regione sono state censite, complessivamente, 4.344 attività di commercio al dettaglio, mentre erano ancora 5.052 al 31 dicembre 2012.

 

Da allora ne sono scomparse 708, cioè il 14%. Un tasso che giustifica l’aggettivo “desolante” usato dal Centro studi di Confcommercio per commentare la sua analisi sulla “Demografia d’impresa delle città italiane”, la quale ha evidenziato un “processo di desertificazione commerciale”, essendo sparite nelle città del nostro Paese, tra il 2012 e il 2020, oltre 77.000 attività di commercio al dettaglio e quasi 14.000 imprese di commercio ambulante.

Il fenomeno ha riguardato, sia pure in misura diversa, il “cuore” di tutti i capoluoghi provinciali piemontesi: tra il 2012 e l’anno scorso, le attività di commercio al dettaglio sono diminuite da 799 a 665 ad Alessandria, da 590 a 460 ad Asti, da 448 a 348 a Biella, da 346 a 340 a Cuneo, da 602 a 472 a Novara, da 1.838 a 1.619 a Torino, da 238 a 179 a Verbania e da 291 a 261 a Vercelli.

Però, il Centro studi di Confcommercio ha rilevato, nello stesso periodo, anche l’aumento di un’altra componente degli esercizi pubblici fondamentale per la vita dei centri storici delle nostre città, quella formata da bar, ristoranti e alberghi.

 

Nell’insieme dei centri dei capoluoghi piemontesi, bar, ristoranti e alberghi alla fine del 2020 sono risultati 2.836, il 10% in più rispetto ai 2.575 di fine 2012. Ma la crescita non ha riguardato tutti i centri; infatti, Biella e Novara hanno denunciato un calo: da 174 a 165 a Biella e da 309 a 297 a Novara. Invece, sono passati da 374 a 432 ad Alessandria, da 244 a 260 ad Asti, da 138 a 161 a Cuneo, da 1.097 a 1.264 a Torino, da 127 a 130 a Verbania e da 112 a 118 a Vercelli.

Va subito aggiunto, tuttavia, che anche per il comparto formato da bar, ristoranti e alberghi il quadro è destinato a essere modificato dalla pandemia, che sta acuendo le tendenze negative e sfavorevoli.

Come sottolineato dallo stesso Centro studi di Confcommercio, nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre a un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà, per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni, anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%).

Quindi, le città saranno non solo con meno negozi, ma anche con meno attività ricettive e di ristorazione, mentre hanno più farmacie, diventate ormai luoghi per sviluppare la cura del sé e non solo tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali (+19,7%) e più negozi di informatica e comunicazioni (+18,9%). “Il rischio di non “riavere” i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico”.

A livello nazionale, per il commercio in sede fissa, è emerso che tiene, in una qualche misura, la numerosità dei negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%).

Il resto dei settori merceologici, invece, è in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici e che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina.

Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), il futuro è molto incerto per alberghi e pubblici esercizi, che pure, nel periodo 2012-2020, hanno registrato rispettivamente +46,9% e +10%.

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