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“Fare Teatro” ai tempi del distanziamento fisico

“Fare Teatro” ai tempi del distanziamento fisico

Tangram Teatro Torino, grazie al sostegno di Banca del Piemonte e al supporto del Gruppo Rete 7 Piemonte sposta la programmazione sul digitale terrestre e sui canali social.

 

“Fare teatro” ai tempi del distanziamento fisico, per mantenere vivo il contatto con gli spettatori dal vivo ma contemporaneamente portando il teatro a casa di ciascuno.

 

6 spettacoli che, dal 6 novembre all’11 dicembre, dal palco della sala di Via Don Orione del Tangram Teatro Torino, andranno contemporaneamente in onda in diretta sul canale 72 VideoNord e sul canale 110 Piemonte + della televisione di casa. Ma anche sulle pagine Facebook di Banca del Piemonte e Tangram Teatro Torino.

 

Questo particolare progetto sarà presentato con la stessa modalità di trasmissione degli spettacoli, venerdì 30 ottobre alle ore 21.00, in una presentazione-spettacolo che vedrà la partecipazione degli artisti in cartellone: LAURA CURINO – ALESSANDRO PERISSINOTTO – IVANA FERRI – GIGI VENEGONI -BRUNO MARIA FERRARO – PATRIZIA POZZI – SILVIA CARBOTTI – MAX CARLETTI.

 

 

Leggi la Rassegna Stampa

 

Leggi il Comunicato Stampa

 

Guarda l’intervento di Camillo Venesio, nostro Amministratore Delegato e Direttore Generale, durante la presentazione ufficiale dell’iniziativa.

 

Per maggiori informazioni e consultare il palinsesto completo visita la pagina FARE TEATRO.

 

Dimore storiche, gioielli italiani

Dimore storiche, gioielli italiani

Su 94 milioni di persone che ogni anno visitano, complessivamente, i musei italiani, 45 milioni sono coloro che accedono agli immobili privati di interesse storico-culturale aperti al pubblico, immobili che costituiscono una parte del patrimonio museale nazionale di rilevanza pari a quella pubblica.

 

Si parla delle “dimore storiche”: castelli, ville, palazzi, masserie, rocche, ma anche parchi, giardini, tenute agricole, beni antichi diffusi in tutto il Bel Paese, che attraggono un numero sempre maggiore di visitatori e contribuiscono sempre di più pure all’economia locale, grazie, fra l’altro, all’indotto che generano: dai restauri alle attività commerciali ed enogastronomiche.

In Italia, le dimore storiche sono 9.400, numero superiore a quello di tutti i Comuni della Penisola. Lo ha rilevato l’Osservatorio del patrimonio culturale privato italiano, frutto della collaborazione tra l’Associazione Dimore Storiche Italiane (Asdi) e la Fondazione Visentini, realizzata con la collaborazione di Confagricoltura e Confedilizia. Osservatorio che non solo rappresenta la fonte di riferimento per la corretta definizione del ruolo economico, culturale e sociale del sistema degli immobili privati di interesse storico-artistico in Italia, ma vuole anche divenire un valido supporto per le istituzioni, aiutandole nella definizione delle politiche da adottare per far sì che il patrimonio privato concorra all’effettiva ripartenza tanto del turismo quanto dell’artigianato.

 

Degli investimenti che si fanno e che si potrebbero fare, infatti, potrebbero beneficiarne soprattutto i territori che ospitano questi beni unici, soprattutto i piccoli borghi: secondo le stime più prudenziali, ogni euro investito nelle dimore storiche determina benefici almeno doppi per l’economia dei luoghi nei quali sorgono. L’indotto si riverserebbe su diverse filiere, creando un volano economico rilevante e, nel lungo termine, quello sviluppo sostenibile locale, che molti indicano come la strada da seguire. Uno sviluppo che avrebbe il valore aggiunto di conservare e valorizzare un patrimonio identitario riconosciuto a livello mondiale.

 

Il 54% di questi immobili privati di valore storico-culturale si trova in Comuni con meno di 20.000 abitanti e, nel 29% dei casi, addirittura in centri con meno di 5.000 residenti. Comunque, si tratta di un patrimonio che necessita di continui lavori di restauro e di manutenzione. Attività che, negli ultimi cinque anni, hanno sofferto considerevolmente la crisi, come conferma, fra l’altro, la perdita del 30% delle imprese del settore.

 

L’Osservatorio ha anche stimato in 1,8 miliardi di euro la perdita con seguente alla pandemia Covid-19 per quelle dimore che contano almeno una attività produttiva al loro interno e in 30.000 i relativi posti di lavoro a rischio. Il settore maggiormente sotto pressione è risultato essere quello correlato al vitivinicolo (con perdite di circa un miliardo di euro), seguito da quello degli eventi (meno 278 milioni di euro) e delle visite in dimora (meno 268 milioni di euro). Dati che non comprendono le perdite di tutto l’indotto che queste attività generano localmente.

 

“È doveroso superare ogni distinzione tra patrimonio culturale pubblico e privato” ha dichiarato Dario Franceschini, ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo, in occasione della presentazione dell’Osservatorio, sottolineando che “insieme costituiscono la nostra identità e contribuiscono all’attrattività del Paese”. Ha riconosciuto che lo Stato impone molti obblighi ai proprietari di dimore storiche e vincoli per la loro tutela. Per questo motivo, servono agevolazioni e contributi finalizzati al sostegno degli interventi sulle dimore storiche e per custodirne la vitalità.

Nuove idee per Torino – Una squadra di competenze e concretezza

Nuove idee per Torino – Una squadra di competenze e concretezza

Il nostro Amministratore Delegato e Direttore Generale, Camillo Venesio, in una stimolante riflessione su La Stampa invoca una nuova squadra per risollevare la nostra Torino: “Occorre che la nostra città individui una squadra che riesca a coinvolgere la maggioranza delle componenti economiche, culturali, sociali su una visione di ripresa dello sviluppo e dell’occupazione. Una squadra che riesca a soddisfare la richiesta di competenza e concretezza che emerge sempre più da chi ha capito che il disordinato entusiasmo basato su una «insostenibile leggerezza politica, culturale, organizzativa» come ha scritto il direttore Giannini, non è di aiuto a riportare Torino su percorsi di crescita.”

 

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Sempre più studenti scelgono di frequentare l’Università negli atenei piemontesi

Sempre più studenti scelgono di frequentare l’Università negli atenei piemontesi

Nell’ultimo decennio, la media annuale degli studenti che decidono di iscriversi all’università in Piemonte è salita da 17mila a oltre 21mila. Tranne l’Emilia-Romagna, nessun’altra regione italiana ha conseguito un risultato altrettanto positivo. Lo rivela il Rapporto 2020 dell’Ires, l’istituto regionale di ricerche economiche e sociali, sottolineando che l’aumento degli iscritti si deve alla capacità degli atenei subalpini sia di trattenere sul territorio la domanda di formazione espressa dagli studenti residenti in Piemonte sia di attrarre studenti residenti in altre regioni, ed in particolare nel Sud (soprattutto Sicilia e Puglia) oltre che residenti all’estero.

 

Nell’anno accademico 2018/19, base del nuovo Rapporto Ires, il numero degli studenti universitari negli atenei del Piemonte è ulteriormente aumentato, arrivando a toccare i 122mila iscritti, un dato decisamente superiore a quello che caratterizzava la regione dieci anni fa.
In particolare, l’Università di Torino ha contato oltre 76mila iscritti (79.000 quest’anno), il Politecnico oltre 32mila, (35.700 nel 2020), l’Università del Piemonte Orientale (Upo) poco meno di 14mila, mentre sono risultati 431 gli iscritti all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Il gruppo disciplinare con il maggior numero di studenti nel 2018/19 è quello di Ingegneria, con quasi 27mila iscritti (il 22% del totale). Seguono il gruppo economico-statistico, con quasi 15mila iscritti (il 12%), il gruppo politico-sociale con quasi 13mila e quello medico con oltre 10mila.

 

Su 100 iscritti all’università in Piemonte, le studentesse sono 53 (il dato è lievemente inferiore a quello medio nazionale, a causa della consistente presenza di iscritti nei corsi di ingegneria, gruppo disciplinare a tradizionale prevalenza maschile). Gli studenti con cittadinanza straniera iscritti agli atenei del Piemonte sono risultati oltre 10mila: a Scienze Gastronomiche sono il 29% del totale, al Politecnico il 16%, all’Upo il 7% e all’Università di Torino il 6%. Rumeni, cinesi e albanesi sono i più numerosi.

 

Nel 2018/19 gli studenti iscritti ai corsi Afam (Alta formazione artistica, musicale e coreutica) di tipo accademico in Piemonte sono poco meno di 5.600, di cui 2.650 circa nelle tre accademie di belle arti, oltre 1.300 nei quattro conservatori musicali e 1.600 nei due istituti torinesi focalizzati sul design. Sono oltre 1.200 gli iscritti agli ITS, in continuo aumento.

 

Nel Rapporto Ires si legge che i laureati rappresentano il 30% della popolazione piemontese della classe di 30-34 anni. Nonostante il dato sia ancora lontano dall’obiettivo europeo del 40%, l’Ires evidenzia i grandi progressi compiuti, ricordando che ancora nel 2004 il dato era del 15% e che il ritardo regionale, come quello italiano, si spiega con la presenza decisamente contenuta di popolazione in possesso di titoli di terzo livello, ovvero dei corsi brevi post diploma (1-2 anni).

 

Gli atenei del Piemonte risultano molto attrattivi nei confronti di studenti provenienti da fuori regione: in particolare, al Politecnico risultano il 52% degli iscritti e all’Università di Torino il 22%. Arriva dal Sud quasi il 20% dei laureati in Piemonte, il 4% dal Centro, il 5% dall’estero.

I gruppi disciplinari che attraggono più studenti sono Ingegneria, Architettura e il gruppo Psicologico.

 

Tra le caratteristiche che influenzano la mobilità c’è il background socioculturale della famiglia di origine: ha almeno un genitore laureato il 30% di chi proviene da una regione del Nord, mentre la quota sale al 36% per chi proviene dal Sud, il 48% dal Centro e al 56% per chi proviene dall’estero. Sul totale dei laureati negli atenei piemontesi, il 65% rimane a lavorare in Piemonte dopo la laurea: tra i laureati originari del Piemonte, resta in regione quasi l’80%; tra quanti provengono dal Sud, si ferma quasi il 60% mentre circa il 12% torna a lavorare in Sud Italia e il 20% si trasferisce in un’altra regione del Nord, soprattutto in Lombardia.

 

Dopo un anno dalla laurea magistrale, lavora il 69%. I tassi di occupazione più elevati si rilevano nel gruppo disciplinare chimico-farmaceutico (89%), scientifico e ingegneria (88%). Le difficoltà maggiori emergono invece tra i laureati nei gruppi letterario, linguistico e politico sociale, soprattutto per i redditi bassi percepiti e l’elevata percentuale di contratti non standard. Tra i laureati a ciclo unico in medicina, dopo cinque anni dalla laurea il 62% è ancora impegnato con la specializzazione. I farmacisti mostrano la percentuale più elevata di contratti a tempo indeterminato. I laureati in Giurisprudenza sono meno soddisfatti dell’efficacia della laurea nel lavoro svolto: il 40% fa l’avvocato, gli altri sono occupati come esperti legali in aziende, periti, addetti alle risorse umane o alla segreteria.

Svolta green nei comportamenti degli italiani

Svolta green nei comportamenti degli italiani

La pandemia spinge la svolta green nei comportamenti degli italiani: dall’acquisto di prodotti a minor impatto ambientale al taglio degli sprechi, dall’interesse per le energie rinnovabili al riciclo, dalla sharing economy alla mobilità più sostenibile, sono molti i segnali che indicano una crescente attenzione alla riduzione del consumo delle risorse del pianeta. Lo ha rilevato un’indagine della Coldiretti, secondo la quale il 59% degli italiani ritiene che siano necessari interventi radicali e urgentissimi sullo stile di vita, tanto che il 72% ha risposto che sarebbe disposto a ridurre gli spostamenti in auto, scooter e motocicletta e l’82% preferisce prodotti Made in Italy per sostenere l’economia, l’occupazione e valorizzare le risorse nazionali.

 

L’Italia, peraltro, può contare sull’agricoltura più green d’Europa, con 305 specialità a indicazione geografica riconosciute a livello comunitario, 524 vini Dop/Igp, 5.155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con oltre 60mila aziende agricole biologiche, la più grande rete mondiale di mercati di agricoltori e fattorie con Campagna Amica e 24mila strutture agrituristiche.

 

L’Italia è l’unico Paese al mondo che può contare su un’unica rete organizzata di farmers market che mette a disposizione delle famiglie circa 1.200 mercati contadini a livello nazionale, sia all’aperto che al chiuso, con una varietà di prodotti che vanno dalla frutta alla verdura di stagione, al pesce, alla carne, all’olio e al vino, al pane e alla pizza, ai formaggi fino ai fiori, per una spesa annua che prima dell’emergenza Covid-19 ha raggiunto i 2,5 miliardi di euro. Nei mercati dei contadini è possibile anche trovare specialità del passato a rischio di estinzione, che sono state salvate grazie all’importante azione di recupero degli agricoltori e che non trovano spazi nei normali canali di vendita dove prevalgono rigidi criteri dettati dalla necessità di standardizzazione e di grandi quantità offerte.

 

L’alta qualità dei prodotti più freschi, saporiti e genuini è la principale ragione di acquisto diretto dall’agricoltore per il 71% degli italiani, seguita dalle garanzie di sicurezza e dalla ricerca di prodotti locali che salgono sul podio delle motivazioni seguite dalla convenienza economica. Sostenendolo, la Coldiretti evidenzia che i prodotti nazionali, fra l’altro, sono in alternativa a quelli che devono percorrere lunghe distanze, con conseguenti emissioni in atmosfera dovute alla combustione di benzina e gasolio. Si calcola, per esempio, che per arrivare sulle tavole italiane un chilo di ciliegie cilene deve percorrere quasi 12mila chilometri con un consumo di 6,9 chili di petrolio e l’emissione di 21,6 chili di anidride carbonica, mentre un chilo di mirtilli argentini deve volare per più di 11mila chilometri con un consumo di 6,4 kg di petrolio che liberano 20,1 chili di anidride carbonica.

 

Non solo. Le vendite dirette degli agricoltori italiani garantiscono lavoro e futuro a oltre 20mila persone e i mercati dei contadini, oltre a essere luogo di acquisto, si rivelano anche occasioni di educazione e cultura e sono un aiuto concreto per contrastare la tendenza allo spopolamento dei centri dove chiudono negozi e botteghe, con evidenti effetti negativi legati alla taglio dei servizi di prossimità e all’indebolimento del sistema relazionale, dell’intelaiatura sociale e, spesso, persino della sicurezza.

 

“Acquistare prodotti a chilometri zero è un segnale di attenzione al proprio territorio, alla tutela dell’ambiente e del paesaggio che ci circonda, ma anche un sostegno all’economia e all’occupazione locale in un momento di difficoltà” ha commentato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.

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