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Cicloturismo, un alleato per la “nuova normalità” imposta dal coronavirus.

Cicloturismo, un alleato per la “nuova normalità” imposta dal coronavirus.

Sempre più persone scelgono di trascorrere le loro vacanze in Italia pedalando. Ed i dati sono in continuo aumento.

Il cicloturismo è un alleato per sostenere la ripresa del turismo, messo in ginocchio dalla pandemia, e per fruire delle bellezze dei territori italiani all’insegna dell’ambiente e della sostenibilità. Si tratta di una modalità di vacanza, spesso più economica di altre, fuori dai soliti itinerari che piacciono alle masse.

 

Le due ruote permettono di scoprire il territorio in maniera lenta e diretta, a contatto con la natura e osservando ciò che ci circonda senza filtri.
Il turismo su due ruote rientra perfettamente in quella che viene definita la Low Touch Economy, l’economia del distanziamento sociale, un nuovo modo di fare business dove sicurezza, salute, distanziamento, corto raggio muovono le nostre abitudini ed i nostri consumi.

 

Negli ultimi anni si è registrata una crescita esponenziale di chi ha scelto di trascorrere le vacanze pedalando nel nostro Paese. Per il 2020 ci si aspetta che lo scenario estivo registri un incremento significativo portando la quota dei cicloturisti a 30 milioni di presenze (+26% rispetto al 2019).

 

 

Nel rapporto realizzato da Isnart-Unioncamere e Legambiente emerge che l’utilizzo della bicicletta consente un notevole risparmio di emissioni di gas nocivi, fino a 1,5 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, e rappresenta una risposta ideale al bisogno di rigenerarsi dopo una fase di disagio. Chi adopera la bicicletta nella quotidianità o durante le vacanze, è certamente anche molto attento alla salute ambientale.

 

La bicicletta, garantendo in modo naturale il distanziamento sociale, sarà la protagonista della stagione estiva. Un’occasione per riscoprire all’aria aperta le nostre regioni, fare sport e tutelare la propria salute.

 

Nel 2019 il cicloturismo ha generato una spesa complessiva di 4,7 miliardi di euro, di cui 3 miliardi dalla componente internazionale dei turisti. Tedeschi, austriaci, francesi si distribuiscono nelle regioni del Nord come il Trentino, con i suoi 3.256 km di percorsi cicloturistici, e la Lombardia.
Di particolare importanza per lo sviluppo dell’offerta cicloturistica dei territori, è la presenza di infrastrutture, a partire dalle ciclovie e dai servizi dedicati, come il noleggio.
Secondo la ricerca di Unioncamere, le ciclovie italiane più gettonate sono: Trieste – Lignano Sabbiadoro -Venezia (43%), la Ciclovia del Garda (43%), la Ciclovia Tirrenica “Liguria-Toscana-Lazio” (29%), la Ciclovia Adriatica (29%) e la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese (29%).

 

 

Ma bicicletta non è solo sinonimo di vacanza e turismo: sono quasi 2 milioni gli italiani che la usano come mezzo di trasporto quotidiano tanto che nel 2019, sono state vendute 1,7 milioni di biciclette (tre al minuto).

 

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incoronato la bicicletta, insieme a monopattini elettrici e scooter, come il mezzo ideale per muoversi anche in città poiché in grado di ridurre gli affollamenti sui mezzi pubblici. Post quarantena sono tantissime le piste ciclabili realizzate in emergenza: strade in cui è stato posto il nuovo limite di velocità a 30 km/h proprio per tutelare i ciclisti.

 

 

Sono ancora molti i lavori da effettuare per favorire l’utilizzo delle due ruote, ma sarà quindi la bici il mezzo di trasporto del futuro?

Librerie italiane colpite dall’emergenza Coronavirus.

Librerie italiane colpite dall’emergenza Coronavirus.

E gli amanti della lettura soffrono la mancanza di eventi culturali che promuovano i libri.

Tra i tanti settori economici che, in Italia, stanno subendo duramente gli effetti penalizzanti della pandemia c’è sicuramente anche quello librario.

 

Nonostante l’aumento della lettura incentivata dall’obbligo di restare confinati in casa durante il periodo del lockdown, la chiusura delle librerie imposta in tutto il Paese dal 12 marzo al 13 aprile, seguita dalla parziale riapertura consentita in alcune regioni, ha messo in difficoltà questo canale commerciale. Oltre l’84% delle librerie italiane, si dichiarano in difficoltà nel fare fronte al proprio fabbisogno finanziario, come pagare i dipendenti, provvedere a bollette e affitti, sostenere gli oneri contributivi e fiscali.

 

Naturalmente, con i rivenditori sono stati danneggiati anche gli editori di libri, che in Italia sono circa duemila, occupano poco meno di diecimila persone e fatturano oltre 2,5 miliardi di euro all’anno. Nel 2018, hanno prodotto 75.758 titoli cartacei. Le grandi case editrici coprono quasi l’80% della produzione in termini di titoli e il 90% della tiratura. E se i piccoli editori pubblicano, in media, quattro titoli all’anno, stampando ciascuno poco più di 5.500 copie, i grandi editori producono mediamente 254 opere librarie, con una tiratura di oltre 600.000 copie. Territorialmente oltre la metà degli editori attivi è localizzata nel Nord, in particolare il 31,4% nel Nord Ovest. A Milano e Roma si concentrano circa un quarto degli editori attivi e il 39,7% dei grandi marchi.

 

A creare ulteriori problemi al settore, privandolo di un’importante opportunità di promozione, è anche il divieto, ancora vigente, di organizzare manifestazioni pubbliche e quindi fiere, come il Salone Internazionale del Libro di Torino, eventi e presentazioni letterarie, contestualmente alla chiusura di biblioteche, scuole e università.
Gli eventi culturali, infatti, costituiscono un canale di commercializzazione non trascurabile per gran parte degli editori e permettono l’incontro tra autore e lettore.

Oltre la metà degli editori attivi, ha partecipato a saloni o festival letterari in Italia e/o all’estero nel 2018 (52,0% in media); il 41,1% ha organizzato convegni, conferenze, seminari o festival letterari e il 27,8% iniziative di educazione alla lettura nelle scuole, nelle biblioteche o nelle librerie. Un quinto dei grandi editori ha partecipato a saloni e festival non letterari.

 

Le librerie restano luoghi dove crescere culturalmente e socialmente, non a caso si dice che la lettura sia una medicina per l’anima.

Viticoltura eroica e storica, patrimonio piemontese.

Viticoltura eroica e storica, patrimonio piemontese.

3.300 ettari la superficie occupata da questa tipologia di vigneti in Piemonte.

 

Viticoltura eroica e storica: un patrimonio piemontese che, finalmente, sta per essere sostenuto e valorizzato per quanto merita.

 

Con viticoltura eroica o storica si intendono quei vigneti tipici delle vallate alpine e appenniniche coltivati, con enormi sacrifici, in aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico e di particolare pregio paesaggistico, storico ed ambientale.

 

In seguito a un recentissimo decreto, infatti, la “viticoltura eroica e storica” potrà godere di specifiche risorse finanziarie per realizzare gli interventi di conduzione del vigneto con pratiche tipiche del territorio, quali il consolidamento delle strutture con tecniche tradizionali (muretti a secco, ciglioni); l’utilizzo di vitigni autoctoni, la valorizzazione, promozione e pubblicità delle uve e dei vini attraverso l’uso di uno specifico marchio nazionale.

 

Tale decreto individua i vigneti eroici in base al possesso di almeno un requisito fra: pendenza del terreno superiore al 30%; altitudine media superiore ai 500 metri sul livello del mare; sistemazioni degli impianti viticoli su terrazze e gradoni. Inoltre, sono tutelati i vigneti storici, la cui presenza è segnalata in una determinata superficie/particella in data antecedente al 1960. La coltivazione di questi vigneti è caratterizzata dall’impiego di pratiche e tecniche tradizionali legati ad ambienti fisici e climatici locali che mostrano forti legami con i sistemi sociali ed economici, coltivati con l’utilizzo di forme di allevamento storiche legate al luogo di produzione o presenza di sistemazioni idrauliche-agrarie storiche o di particolare pregio paesaggistico.

 

Il Piemonte – come evidenzia Confagricoltura – è ricco di questi vigneti: la loro superficie complessiva è superiore a 3.300 ettari (su un totale di superficie vitata regionale di circa 44.000 ettari), in grado di offrire una produzione annua di oltre 25 milioni di bottiglie di vini prevalentemente a denominazione d’origine controllata e garantita.

 

I vigneti eroici, per esempio, sono diffusi tra le denominazioni Moscato d’Asti, Dolcetto d’Ovada, Pinerolese, Valsusa, Caluso, Carema, Canavese, Alta Langa, Colline Saluzzesi.

Pet economy, un business in forte crescita.

Pet economy, un business in forte crescita.

Per gli italiani, gli animali domestici sono a tutti gli effetti membri della famiglia.

 

Un italiano su tre possiede un animale domestico e la tendenza è ancora in aumento.
La situazione del Covid-19, che ha obbligato al confinamento e al distanziamento, ha portato a far apprezzare ancora di più i benefici di avere un cane o un gatto in casa.

Gli “amici” a quattro zampe sono veri e propri anti-stress e membri della famiglia a tutti gli effetti.
Tanto che intorno al 15 marzo, periodo di inizio del lockdown in Italia, l’aumento di acquisti di alimenti per animali è stato di poco inferiore all’incremento di generi alimentari. In pratica, gli italiani hanno fatto scorta di generi alimentari per loro stessi e per i propri pet.

 

Un sondaggio ha rivelato che, durante il lockdown, il 70% degli italiani ha trascorso più tempo con il proprio animale domestico e il 60% gli si è affezionato ancora di più.
Anche in termini di spesa, gli importi destinati agli animali domestici sono in continua crescita, ovunque. Negli Stati Uniti, la spesa per il benessere dei tanto adorati cani e gatti ammonta a 62 miliardi di euro all’anno, come ha riferito l’Appa (American Pet Production Association).

Logico che, in un contesto del genere, la “pet economy” diventi sempre più appetibile per i produttori di alimenti specifici per cani e gatti, ma anche di medicine e di accessori, così come per i fornitori di servizi e per l’industria del risparmio gestito, sempre sensibile agli investimenti più remunerativi.

 

Sempre prendendo come modello il mercato statunitense, dal 1979 al 2017, il tasso di crescita annuo della spesa per i servizi veterinari e affini ha superato di 340 punti quello della spesa per il consumo personale. In particolare, la sanità veterinaria si sta rivelando un grande business, per vari motivi.
Primo tra tutti il fatto che le farmacie non hanno l’obbligo di dispensare la versione più economica di un farmaco, se il generico non è disponibile, a differenza dei medicinali per le persone. Questo significa che, secondo alcune stime, i produttori di farmaci per gli animali possono ancora avere, dopo la scadenza del brevetto, margini del 60-75%; mentre, per fare un paragone, i brevettatori di medicinali per le persone possono arrivare a perdere fino al 90% dei ricavi dopo l’ingresso del generico.

Inoltre sviluppare un medicinale per animali è più veloce e meno costoso: bastano circa 3-7 anni e in genere meno di 100 milioni di dollari, contro i 9 anni e il miliardo di dollari necessari per produrne uno per gli esseri umani.

 

Cani e gatti, sono sempre più parte integrante delle famiglie e, come è giusto che sia, vengono dedicate loro tutte le cure e le attenzioni possibili.

Commercianti e artigiani: due eserciti dell’economia italiana

Commercianti e artigiani: due eserciti dell’economia italiana

Commercianti e artigiani, due eserciti dell’economia, che, però si assottigliano da anni e sempre di più; in Piemonte come in quasi tutta l’Italia.
Il fenomeno è stato documentato dall’Inps, che, al 31 dicembre scorso, a livello nazionale, ha registrato 2.163.158 commercianti e 1.620.690 artigiani iscritti alle rispettive gestioni speciali.

Nel 2019, i commercianti sono diminuiti ancora dello 0,5% rispetto al 2018, che già aveva evidenziato un calo dello 0,8% sull’anno precedente. E la perdita è stata maggiore per gli artigiani, calati dell’1,8% rispetto al 2018, dopo la contrazione dell’1,6% nel 2017.

 

In Piemonte, alla fine dell’anno scorso, i commercianti sono risultati 168.080 (il 37,8% di sesso femminile) e gli artigiani 150.130 (78,15% maschi). Per numero di commercianti, il Piemonte è al sesto posto nella graduatoria delle regioni, lo superano Lombardia, Campagna, Lazio, Veneto ed Emilia-Romagna; mentre è al quarto per gli artigiani, preceduto, in questo caso, soltanto da Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.

 

 

Analizzando la serie storica degli ultimi dieci anni, l’Inps ha rilevato che il numero degli artigiani iscritti decresce di circa un punto percentuale fino al 2012, continua a decrescere di più di due punti percentuali annui dal 2012 al 2017, mentre tra il 2017 e il 2019 la flessione è di circa un punto e mezzo per ogni anno.

Quanto ai commercianti, emerge che fino al 2012 c’è stata una crescita, sia pure di un solo punto percentuale per ciascun anno; poi, dal 2012 al 2014 il numero è rimasto pressochè costante, mentre è diminuito di circa mezzo punto percentuale tra il 2014 e il 2015, di un punto percentuale tra il 2015 e il 2017 e ancora di circa mezzo punto percentuale, per ciascun anno, dal 2017 al 2019.

 

Tra gli artigiani, la classe di età tra i 50 e i 59 anni è quella con maggior frequenza (31,2%), seguita dalla classe 40-49 anni; gli ultrasessantenni sono il 18,4% e solo il 5,4% ha meno di 30 anni di età. La maggior parte dei commercianti (28,%) ha tra i 50 e i 59 anni, subito dopo troviamo la classe tra i 40 e i 49 e quella con più di 60 anni; mentre è di età inferiore ai 30 anni il 7,1% degli appartenenti alla categoria.

 

Le due categorie sono tra quelle più penalizzate dal lockdown conseguente all’epidemia da Covid-19; per cui, diventa logico prevedere che entrambe evidenzieranno, a fine anno, un calo rilevante dei loro componenti.

 

Banca del Piemonte da sempre vicina alle attività del territorio, anche in questa situazione di emergenza, ha messo in atto le misure straordinarie a supporto di imprese, artigiani, autonomi e professionisti contenute nel Decreto Liquidità approvato dal Consiglio dei Ministri.

 

Uniti per far ripartire l’Italia.

 

 

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