La Banca desidera segnalare che il Computer Emergency Response Team (CERT) della Banca d’Italia ha recentemente rilevato numerosi SMS di phishing e siti web fraudolenti volti alla sottrazione indebita di dati personali relativi a carte di credito.
I messaggi risultano apparentemente inviati dalla società di servizi di pagamento digitali NEXI S.p.A. e riportano un link che si è invitati a cliccare per verificare i dettagli di un presunto pagamento anomalo. Il link porta a un sito web che richiede di inserire i dati della propria carta di credito e sfrutta il logo della Banca d’Italia allo scopo di guadagnare maggior credibilità nei confronti del visitatore.
Segnaliamo che sia gli SMS sia i siti web da essi referenziati non provengono e non sono autorizzati in alcun modo né dalla Banca d’Italia né dalla società NEXI S.p.A; invitiamo tutti pertanto a diffidare di tali messaggi e a non accedere ai link ivi riportati.
È una particolare tipologia di truffa realizzata sulla rete Internet attraverso l’inganno degli utenti.
Si concretizza principalmente attraverso messaggi di posta elettronica o SMS ingannevoli con l’invio di una comunicazione a prima vista proveniente da istituti finanziari (banche o società emittenti di carte di credito) o da siti web che richiedono l’accesso previa registrazione (web-mail, e-commerce ecc.).
Il messaggio invita, riferendo problemi di registrazione o di altra natura, a fornire i propri riservati dati di accesso al servizio. Solitamente nel messaggio, per rassicurare falsamente l’utente, è indicato un collegamento (link) che rimanda solo apparentemente al sito web dell’istituto di credito o del servizio a cui si è registrati. In realtà il sito a cui ci si collega è stato artatamente allestito identico a quello originale. Qualora l’utente inserisca i propri dati riservati, questi saranno nella disponibilità dei criminali.
Banca del Piemonte consiglia di:
Non inserire mai i dati personali su pagine raggiunte tramite link (o allegati) di e-mail;
Imparare a riconoscere le false e-mail;
Non cliccare sui link sospetti e non scaricare file allegati;
Segnalare l’accaduto alla propria Filiale o all’Autorità Giudiziaria o alla Polizia.
L’Area Studi Mediobanca, l’Ufficio Studi di Sace e Ipsos hanno pubblicato il primo report congiunto sul settore vino & spirits italiano, dedicato all’analisi dei mercati e allo studio delle dinamiche socio-culturali di consumo.
Il 2020 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un calo di fatturato del 4,1% (-6,3% il mercato interno e -1,9% l’estero). L’incidenza del risultato netto sul fatturato, comunque, ha performato bene, con il leggero calo dal 4,2% al 4,1%. I vini frizzanti hanno perso più terreno (- 6,7%) dei vini fermi (-3,5%). Le cooperative hanno contenuto la flessione al 2%. Il canale Gdo (Grande distribuzione organizzata) ha visto la propria incidenza salire al 38% rispetto al 35,3% del 2019 (a valore è cresciuto del 2,3%), quello Ho.Re.Ca. (hotel, ristoranti, cafè) si contrae dal 17,9% al 13,4% (-32,7%), mentre wine bar ed enoteche passano dal 7% al 6,7% (-21,5%).
L’online è esploso durante la pandemia: +74,9% le vendite sui portali web di proprietà, +435% per le piattaforme online specializzate e +747% i marketplace generalisti. Gli investimenti dei maggiori produttori di vino nel digital sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi e del 13,4% della spesa pubblicitaria.
Sugli scudi il bio, con vendite 2020 in aumento del 10,8%, per una quota di mercato del 2,3%; tiene il vino vegan (+0,5%, anch’esso al 2,3% del totale). Non fanno ancora presa i vini biodinamici, in caduta del 21,9% e confinati allo 0,1% del mercato. C’è stato uno sviluppo del 5,8% per i vini confezionati in contenitori alternativi al vetro (brick, lattine, bag in box), leggeri, ecosostenibili, adatti all’online e in linea con l’interesse per le novità delle giovani generazioni.
I maggiori produttori di vino si attendono per il 2021 una crescita del 3,5%, che arriverebbe al 4,6% per la sola componente export. Per le maggiori società di spirits, si prevede un anno con vendite in crescita del 5,4% e del 4% per le esportazioni.
Nel biennio 21-22 si attende un aumento dei consumi di vino del 3,8% l’anno per molti tra i principali mercati. Per i due grandi importatori di vino italiano la crescita media annua è del 2% per gli Usa e del 3,1% per la Germania. In Svizzera i consumi di vino sono attesi stabili. Discorso a parte per il Regno Unito: crescita del 2,4% l’anno, ma prospettive complicate dagli sviluppi post Brexit. Opportunità possono arrivare da mercati già noti al vino italiano: Canada e Giappone segnano un consumo atteso in forte crescita (+5,9% annuo per entrambi). Ma è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3% annuo nel biennio 2021-22.
Le esportazioni italiane 2020 di vini e spirits valgono il 30% delle nostre vendite di alimenti e bevande oltreconfine e ammontano a 7,8 miliardi di euro. Il comparto proviene da una crescita pluriennale: +6,3% medio annuo per i vini nel periodo 2010-19, ma l’anno scorso ha segnato una frenata: l’export di vini si è contratto del 2,3%, quello di spirits del 6,8%. In particolare, l’export di vino italiano vale 6,3 miliardi di euro e si stappa in prevalenza sulle tavole statunitensi (23,1% del totale), tedesche (17,1%) e britanniche (11,4%). La pandemia ha colpito pesantemente gli spumanti (-6,9%).
Più modesto l’export italiano generato dal comparto degli spirits, che vale 1,5 miliardi di euro e ha nell’Europa la destinazione privilegiata (60,4% del totale) e due mercati di sbocco preferenziali: Stati Uniti e Germania, che fanno il 40% del totale.
Regione che vai, vino che trovi. Nel 2019 il Veneto detiene il primato di vino prodotto, sia a volume che a valore, con il 20% del totale nazionale. Segue la Puglia con il 19,6% a volume e il 13,3% a valore. Toscana e Piemonte hanno il 5% circa dei volumi, ma raddoppiano il peso se si guarda al valore. Le caratteristiche regionali si notano anche nelle dinamiche di esportazione. La principale regione esportatrice di vini, nel 2020, è il Veneto con il 35,5% del totale delle vendite oltreconfine, più del doppio della seconda, il Piemonte con il 17,2%. La Toscana, terza regione, rappresenta il 15,5% dell’export nazionale di vino.
Nell’anno della pandemia, il Veneto ha subìto un calo dell’export del 3,3%, ma sono diminuite le vendite all’estero anche dei vini di Toscana e Lombardia. Fra le altre regioni il calo più consistente è dell’Umbria (- 24,2%), seguita dalla Valle d’Aosta (-21,9%), dalla Sardegna (-18,8%) e dalle Marche (-14,5%). In controtendenza i vini del Trentino-Alto Adige, dell’Emilia-Romagna e del Piemonte con aumento delle vendite al di fuori del territorio nazionale.
Anche sui conti delle aziende i tratti regionali lasciano la propria impronta. Il maggior Roi tocca agli abruzzesi (9,7%), piemontesi (8,6%) e veneti (7,8%). Best in class per solidità finanziaria i produttori toscani, con debiti finanziari pari ad appena il 26,8% del capitale investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi (66,9%) e toscani (61,7%) che superano il 60% di export sul fatturato.
La pandemia ha inciso su alcune abitudini di consumo, anche in maniera sorprendente.La propensione dei consumatori ad acquistare bottiglie di vino nei supermercati è calata di 6 punti: il 58% degli italiani che in epoca pre-Covid si approvvigionava nella Gdo si è ridotto al 52%. La Gdo rimane il canale preferito per l’acquisto di vino, ma mostra dinamiche in evoluzione con una sempre maggiore ricerca di qualità, specificità e unicità. Un trend confermato dalla percentuale di persone che ha iniziato a frequentare enoteche, cantine e negozi specializzati. Sono in aumento gli acquirenti di vino nelle cantine dei produttori: nel periodo pre-Covid gli italiani che non si erano mai recati in una cantina di un produttore erano il 46%, oggi scesi al 39%.
Gran ripresa dell’artigianato in Piemonte. Nel secondo trimestre di quest’anno, il settore ha registrato la crescita di quasi mille imprese rispetto al 31 marzo, una decina in più al giorno. Infatti, ne sono state costituite 2.338, mediamente 26 ogni 24 ore; mentre nello stesso arco di tempo sono state 1.380 quelle che hanno chiuso i battenti definitivamente. Lo hanno censito Unioncamere e Infocamere, precisando che il tasso di crescita delle imprese artigiane in Piemonte, dal primo giorno di aprile all’ultimo di giugno, è stato dello 0,84%, tra i più alti d’Italia (0,60% la media nazionale) e superiore anche a quello dell’insieme delle aziende.
Al 30 giugno, perciò, sono risultate 115.428 le imprese artigiane attive in Piemonte, poco meno del 9% del totale italiano, che è di 1.292.685. Nel nostro Paese, nel secondo trimestre, sono aumentate di 7.727, incremento al quale il Piemonte ha contribuito per oltre il 12%.
Per quanto riguarda le singole province della regione, i dati di Unioncamere e Infocamere indicano che nel secondo trimestre Alessandria ha contato 191 nascite di imprese artigiane e 143 cessazioni, Asti rispettivamente 115 e 76, Biella 69 e 46, Cuneo 300 e 196, Novara 183 e 95, Torino 1.334 e 718, il Verbano-Cusio-Ossola 68 e 51 e Vercelli 78 e 55. Tutte, quindi, hanno evidenziato una crescita, a conferma della ripresa del settore.
Ripresa che, nel secondo trimestre, ha riguardato tutto il sistema imprenditoriale piemontese. Al 30 giugno, infatti, sono state censite 428.622 imprese operative in regione, 3.110 in più rispetto al 31 marzo: le Camere di commercio locali hanno registrato 6.637 nuove iscrizioni a fronte delle 3.527 che sono state cancellate. Però, in questo caso, il tasso di crescita del Piemonte (0,73%) è stato inferiore, sia pure di poco, alla media italiana (0,74%).
In tutta la Penisola, dall’inizio di aprile alla fine di giugno, sono nate 89.089 imprese (un migliaio al giorno), mentre ne sono scomparse 43.861. Il saldo, attivo per 45.228, ha portato a un totale di oltre 6,1 milioni (per la precisione a 6.104.280). Dimostrazione dell’aumento della fiducia e del recupero dello spirito d’iniziativa. Tanto che le aperture di nuove attività sono tornate ai valori pre-pandemia, anche se è ancora presto per parlare di ritorno alla normalità. Comunque, il valore delle nascite delle imprese è stato di poco al di sotto della media del triennio 2017-2019, prima dell’irrompere dell’emergenza sanitaria globale e minore di sole 3.061 unità al dato del secondo trimestre 2019, quando le iscrizioni furono 92.150. Fra l’altro, secondo le analisi del Centro Studi Tagliacarne, un punto di fiducia in più o in meno influenza la nascita di un’impresa su due.
La ripresa della natalità imprenditoriale, però, si sta però sviluppando con intensità diverse: in cinque regioni su venti (Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Basilicata e Sardegna), il numero di aperture di imprese nell’ultimo trimestre è stato persino superiore a quello del secondo trimestre 2019.
Il ritorno a una dinamica delle aperture più in linea con il periodo pre-pandemia appare più marcato guardando ad alcune delle forme giuridiche assunte dalle neoimprese. In particolare, tra aprile e giugno, l’anagrafe delle Camere di Commercio ha fatto segnare un deciso incremento (+3.298 unità) nell’apertura di società di capitale rispetto allo stesso periodo del 2019 (29.934 contro 26.536). In linea con una tendenza in atto da tempo, fanno invece segnare un passo indietro rispetto al 2019 le imprese individuali, la forma d’impresa più numerosa nel nostro Paese: 52.790 le aperture di nuove attività nel secondo trimestre di quest’anno, contro le 59.129 di due anni fa (-6.639 unità).
Restano invece nettamente sotto la media degli ultimi anni le cancellazioni che, tra aprile e giugno, sono state circa un terzo in meno del valore registrato nel secondo trimestre 2019, probabilmente per effetto delle misure di sostegno messe in atto dal Governo.
Da sempre Banca del Piemonte è vicina alle imprese del suo territorio, a partire dall’idea imprenditoriale, passando per la realizzazione del progetto e sostenendone la crescita e lo sviluppo.
“L’assicurazione italiana è stata colpita dalla crisi, ma ha confermato la validità del suo modello gestionale, continuando a proteggere gli assicurati, a tutelarne il risparmio, a sostenere l’economia e garantire l’occupazione”.Lo ha detto Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, aggiungendo che alla fine del 2020 lo stock degli investimenti complessivi dell’industria assicurativa italiana hanno superato i 1.000 miliardi di euro (cifra pari al 60% del Pil), di cui 345 miliardi in titoli di Stato italiani (pari al 15% dei nostri titoli pubblici in circolazione).
“Come settore – ha evidenziato la presidente dell’Ania – contribuiremo attivamente alla ripartenza del Paese e ai necessari investimenti. Finanzieremo progetti coerenti con le priorità e le esigenze del Piano Nazionale e in linea con i requisiti di impiego del risparmio che ci viene affidato. Ci impegneremo anche in investimenti in infrastrutture ad alto impatto sociale, per esempio la scuola, lo student housing, il senior housing”.
Il mercato assicurativo italiano ha chiuso il 2020 con una contrazione della raccolta premi del 3,9%; in particolare, i premi del comparto danni sono diminuiti del 2,3% e quelli del comparto vita del 4,4%. Il crollo delle attività economiche e della mobilità durante i lockdown ha avuto effetti anche sulla dinamica dei sinistri. Nel 2020 la riduzione del costo complessivo dei sinistri r.c. auto è stata del 19,9%, a fronte di un decremento dei premi di circa il 6%, che va inquadrato in un contesto di diminuzione dei premi medi del 35% dal marzo 2012.
Nell’ambito dei rischi tradizionali, nonostante un aumento della diffusione delle coperture assicurative negli ultimi anni, l’Italia rimane poco protetta rispetto agli altri Paesi europei, per le famiglie specialmente nel comparto della salute e della casa per e per il complesso delle coperture per le pmi. Solo il 3% delle pmi italiane risulta assicurato per la business interruption e anche i nuovi rischi cyber sono ampiamente sottovalutati e sottoassicurati. Un’altra categoria è rappresentata dai rischi derivanti da catastrofi naturali, che stanno aumentando rapidamente di intensità e frequenza. Nonostante l’Italia sia tra i Paesi europei maggiormente esposti, le coperture dei danni catastrofali e i servizi connessi sono ancora poco diffusi.
La ridotta sensibilità è favorita dalla percezione che lo Stato sia tenuto a intervenire per risarcire i danni causati. Negli ultimi 50 anni, infatti, lo Stato ha previsto stanziamenti di 150 miliardi per le ricostruzioni post-sisma e di 160 miliardi per altri eventi naturali, coperti prevalentemente tramite la fiscalità generale, ma con tempi di ricostruzione solitamente lunghi e con rimborsi spesso parziali rispetto agli effettivi danni.
Nel 2019, il volume dei premi raccolti ha superato i 140 miliardi di euro: 106 miliardi nel settore Vita e 34 miliardi nel Danni. Il volume premi del settore assicurativo rappresenta il 7,8% del Pil italiano; un mercato che è all’ottavo posto nel mondo e al quarto in Europa.
Negli ultimi dieci anni, il prezzo medio r.c. auto è diminuito da quasi 570 euro nel 2012 a 367 nel marzo 2021. Il gap con gli altri Paesi europei si è ridotto di quasi l’80% (da 208 euro nel 2013 a 47 nel 2020); anche il divario territoriale tra province si è ristretto significativamente (il divario Napoli-Aosta si è ridotto del 40%).
Nel nostro Paese operano 214 imprese di assicurazione (dato 2019), impegnate ogni giorno a dare risposte competenti alla domanda di sicurezza e protezione di imprese e persone. I dipendenti del settore assicurativo sono quasi 50.000; ma complessivamente, il settore assicurativo dà impiego a circa 300 mila persone (circa 220.000 appartenenti alle reti distributive). Ogni anno le compagnie pagano circa 150 miliardi di euro per prestazioni a favore degli assicurati.
Le assicurazioni sulla vita svolgono un duplice ruolo: da un lato, rappresentano uno strumento di risparmio alternativo attraverso cui le famiglie investono i propri risparmi e accumulano capitale e, dall’altro, costituiscono un vero e proprio ombrello di protezione nei confronti di conseguenze finanziarie avverse che possono derivare da eventi collegati con la vita umana, come l’interruzione dei flussi di reddito dovuta alla morte prematura di un membro della famiglia o la sopravvivenza al di là delle proprie possibilità finanziarie.
Il peso delle assicurazioni Vita in Italia è in continua crescita anche se nel confronto europeo si evidenziano ampi spazi per un ulteriore sviluppo. Le compagnie di assicurazione Vita in Italia gestivano, nel 2019, un risparmio che superava gli 830 miliardi e questo rappresentava oltre il 18% delle attività finanziarie delle famiglie.
Obiettivo fondamentale delle assicurazioni a tutela dei beni e del patrimonio è quello di proteggere le imprese e le famiglie contro eventi imprevedibili le cui ripercussioni finanziarie potrebbero essere talmente significative da portare all’interruzione dell’attività produttiva di un’azienda o mettere una famiglia in una situazione di grave disagio economico. In questo comparto, si stima che in Italia vi siano oltre 180 milioni di rischi assicurati, per i quali si risarciscono in media in un anno circa 11 milioni di eventi dannosi.
Sono 39 milioni i veicoli che si assicurano nel nostro Paese e, a fronte di un versamento di premi pari a 12,5 miliardi, le imprese di assicurazione impiegano poco più di 3 miliardi per riparare i veicoli danneggiati, circa 3,7 miliardi per risarcire i danni degli individui che subiscono delle lesioni fisiche (lievi e/o gravi), quasi 1,8 miliardi destinati ai familiari delle vittime di incidenti mortali e poco più di 2,5 miliardi per svolgere la propria attività.
Banca del Piemonte vanta una ricca offerta in tema di assicurazioni e previdenza per proteggere la tua casa e garantire un futuro sereno alla tua famiglia, ma ti offre anche soluzioni di previdenza complementare per permetterti di vivere con tranquillità l’età pensionistica.
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Il desiderio di bici contagia l’Europa e fa crescere l’industria del settore.
Se per l’Italia il 2020 è stato un anno da record, con oltre 2 milioni di pezzi venduti (+17% sul 2019), il mercato nella zona Ue fa addirittura segnare il massimo storico degli ultimi vent’anni. Sono, infatti, oltre 22 milioni le biciclette vendute nell’Unione Europea e Regno Unito l’anno scorso anno (biciclette tradizionali ed e-bike), così che il relativo mercato ha toccato un valore complessivo pari a 18,3 miliardi di euro (+40% rispetto all’anno precedente). È quanto emerge dal rapporto 2021 di Conebi (Confederazione europea dell’industria bici, e-bike, componenti e accessori) sull’industria del ciclo e il mercato in Europa, diffuso in Italia da Confindustria Ancma (Associazione nazionale ciclo motociclo accessori).
Spinta dal boom della domanda, dagli investimenti nelle infrastrutture ciclabili e dalle dichiarazioni politiche sulla transizione verso la green economy,“l’industria europea della bicicletta prosegue nella sua costante crescita, con il 2020 che si conferma come l’anno migliore da quando vengono analizzati i dati”, è stato riferito dalla Conebi, sottolineando inoltre che “gli investimenti, inclusi quelli in innovazione, hanno superato 1,5 miliardi di euro, rispetto a un miliardo di euro nel 2019. Fattore che ha alimentato una crescita della produzione senza precedenti in tutta la zona Ue”.
Dalla stessa confederazione è stato aggiunto che le e-bike stanno rapidamente diventando la scelta preferita dei consumatori: “i cittadini europei stanno selezionando opzioni di mobilità elettrica più ecologiche e questo ha portato le e-bike a registrare l’incredibile aumento delle vendite del 52% in termini di valore; nel 2020, infatti, il mercato è balzato a 10,6 miliardi di euro”.
Anche la produzione di parti e accessori in Europa è aumentata l’anno scorso, raggiungendo i 3 miliardi di euro, il che evidenzia l’impatto positivo sull’intera catena di valore della produzione. Tuttavia, secondo Conebi: “bisogna investire di più nella produzione locale, cioè nella produzione in Europa”. Sulla base delle attuali proiezioni, comunque, è previsto cheil valore delle parti e degli accessori prodotti in Europa raddoppierà fino a raggiungere i 6 miliardi di euro entro il 2025.
Una serie di nuove politiche nazionali incentrate sulle infrastrutture ciclistiche, guidate dai cambiamenti nel comportamento dei consumatori, ha portato altre buone notizie per i produttori di bici ed e-bike Europei: 3,6 dei 4,5 milioni di e-bike vendute nella Ue e nel Regno Unito sono state costruite in Europa.
Fra l’altro, le notevoli prestazioni del settore bici, e-bike, componenti e accessori ha favorito l’aumento del 30% della relativa occupazione rispetto al 2019.“Oggi – riferiscono da Conebi – abbiamo oltre 1.000 pmi manifatturiere sostenibili in Europa con 155.000 posti di lavoro legati direttamente o indirettamente alla produzione di bici ed e-bike. Prendendo in considerazione anche il cicloturismo, i servizi come la logistica dei centri urbani e il bike-sharing, nonché l’intero settore retail, il comparto supporta oltre 850.000 posti di lavoro verdi”.
Con un numero crescente di aziende che rafforzano i propri investimenti in Europa e decidono di portare o riportare la loro produzione nel Vecchio Continente, per ogni 1.000 bici costruite ogni anno in Europa si creano da tre a cinque posti di lavoro. E per ogni 1.000 E-Bike, vengono generati da sei a nove posti di lavoro. Inoltre, la produzione locale in Europa si traduce in una riduzione di oltre 2 milioni di tonnellate di emissioni di Co2 all’anno.
“I dati contenuti nel rapporto di Conebi – ha rimarcato Paolo Magri, presidente di Confindustria Ancma – raccontano il momento di successo delle due ruote a pedale, ma dimostrano al contempo quanto lavoro hanno ancora davanti il comparto e il legislatore nel valorizzare questo trend di crescita, nel promuovere l’utilizzo della bici, nel creare opportunità di emancipazione e di ulteriore crescita del nostro tessuto produttivo e nello sviluppare un’equilibrata e sicura infrastrutturazione ciclabile che sia attrattiva anche dal punto di vista turistico”.
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