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Piemonte, ripresa dell’artigianato e del sistema imprenditoriale

Piemonte, ripresa dell’artigianato e del sistema imprenditoriale

Gran ripresa dell’artigianato in Piemonte. Nel secondo trimestre di quest’anno, il settore ha registrato la crescita di quasi mille imprese rispetto al 31 marzo, una decina in più al giorno. Infatti, ne sono state costituite 2.338, mediamente 26 ogni 24 ore; mentre nello stesso arco di tempo sono state 1.380 quelle che hanno chiuso i battenti definitivamente. Lo hanno censito Unioncamere e Infocamere, precisando che il tasso di crescita delle imprese artigiane in Piemonte, dal primo giorno di aprile all’ultimo di giugno, è stato dello 0,84%, tra i più alti d’Italia (0,60% la media nazionale) e superiore anche a quello dell’insieme delle aziende.

 

Al 30 giugno, perciò, sono risultate 115.428 le imprese artigiane attive in Piemonte, poco meno del 9% del totale italiano, che è di 1.292.685. Nel nostro Paese, nel secondo trimestre, sono aumentate di 7.727, incremento al quale il Piemonte ha contribuito per oltre il 12%.

 

Per quanto riguarda le singole province della regione, i dati di Unioncamere e Infocamere indicano che nel secondo trimestre Alessandria ha contato 191 nascite di imprese artigiane e 143 cessazioni, Asti rispettivamente 115 e 76, Biella 69 e 46, Cuneo 300 e 196, Novara 183 e 95, Torino 1.334 e 718, il Verbano-Cusio-Ossola 68 e 51 e Vercelli 78 e 55. Tutte, quindi, hanno evidenziato una crescita, a conferma della ripresa del settore.

 

Ripresa che, nel secondo trimestre, ha riguardato tutto il sistema imprenditoriale piemontese. Al 30 giugno, infatti, sono state censite 428.622 imprese operative in regione, 3.110 in più rispetto al 31 marzo: le Camere di commercio locali hanno registrato 6.637 nuove iscrizioni a fronte delle 3.527 che sono state cancellate. Però, in questo caso, il tasso di crescita del Piemonte (0,73%) è stato inferiore, sia pure di poco, alla media italiana (0,74%).

 

In tutta la Penisola, dall’inizio di aprile alla fine di giugno, sono nate 89.089 imprese (un migliaio al giorno), mentre ne sono scomparse 43.861. Il saldo, attivo per 45.228, ha portato a un totale di oltre 6,1 milioni (per la precisione a 6.104.280). Dimostrazione dell’aumento della fiducia e del recupero dello spirito d’iniziativa. Tanto che le aperture di nuove attività sono tornate ai valori pre-pandemia, anche se è ancora presto per parlare di ritorno alla normalità. Comunque, il valore delle nascite delle imprese è stato di poco al di sotto della media del triennio 2017-2019, prima dell’irrompere dell’emergenza sanitaria globale e minore di sole 3.061 unità al dato del secondo trimestre 2019, quando le iscrizioni furono 92.150. Fra l’altro, secondo le analisi del Centro Studi Tagliacarne, un punto di fiducia in più o in meno influenza la nascita di un’impresa su due.

 

La ripresa della natalità imprenditoriale, però, si sta però sviluppando con intensità diverse: in cinque regioni su venti (Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Basilicata e Sardegna), il numero di aperture di imprese nell’ultimo trimestre è stato persino superiore a quello del secondo trimestre 2019.

 

Il ritorno a una dinamica delle aperture più in linea con il periodo pre-pandemia appare più marcato guardando ad alcune delle forme giuridiche assunte dalle neoimprese. In particolare, tra aprile e giugno, l’anagrafe delle Camere di Commercio ha fatto segnare un deciso incremento (+3.298 unità) nell’apertura di società di capitale rispetto allo stesso periodo del 2019 (29.934 contro 26.536). In linea con una tendenza in atto da tempo, fanno invece segnare un passo indietro rispetto al 2019 le imprese individuali, la forma d’impresa più numerosa nel nostro Paese: 52.790 le aperture di nuove attività nel secondo trimestre di quest’anno, contro le 59.129 di due anni fa (-6.639 unità).

 

Restano invece nettamente sotto la media degli ultimi anni le cancellazioni che, tra aprile e giugno, sono state circa un terzo in meno del valore registrato nel secondo trimestre 2019, probabilmente per effetto delle misure di sostegno messe in atto dal Governo.

 

Da sempre Banca del Piemonte è vicina alle imprese del suo territorio, a partire dall’idea imprenditoriale, passando per la realizzazione del progetto e sostenendone la crescita e lo sviluppo.

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Il mercato assicurativo italiano

Il mercato assicurativo italiano

“L’assicurazione italiana è stata colpita dalla crisi, ma ha confermato la validità del suo modello gestionale, continuando a proteggere gli assicurati, a tutelarne il risparmio, a sostenere l’economia e garantire l’occupazione”.  Lo ha detto Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, aggiungendo che alla fine del 2020 lo stock degli investimenti complessivi dell’industria assicurativa italiana hanno superato i 1.000 miliardi di euro (cifra pari al 60% del Pil), di cui 345 miliardi in titoli di Stato italiani (pari al 15% dei nostri titoli pubblici in circolazione).

 

“Come settore – ha evidenziato la presidente dell’Ania – contribuiremo attivamente alla ripartenza del Paese e ai necessari investimenti. Finanzieremo progetti coerenti con le priorità e le esigenze del Piano Nazionale e in linea con i requisiti di impiego del risparmio che ci viene affidato. Ci impegneremo anche in investimenti in infrastrutture ad alto impatto sociale, per esempio la scuola, lo student housing, il senior housing”.

 

Il mercato assicurativo italiano ha chiuso il 2020 con una contrazione della raccolta premi del 3,9%; in particolare, i premi del comparto danni sono diminuiti del 2,3% e quelli del comparto vita del 4,4%. Il crollo delle attività economiche e della mobilità durante i lockdown ha avuto effetti anche sulla dinamica dei sinistri. Nel 2020 la riduzione del costo complessivo dei sinistri r.c. auto è stata del 19,9%, a fronte di un decremento dei premi di circa il 6%, che va inquadrato in un contesto di diminuzione dei premi medi del 35% dal marzo 2012.

 

Nell’ambito dei rischi tradizionali, nonostante un aumento della diffusione delle coperture assicurative negli ultimi anni, l’Italia rimane poco protetta rispetto agli altri Paesi europei, per le famiglie specialmente nel comparto della salute e della casa per e per il complesso delle coperture per le pmi. Solo il 3% delle pmi italiane risulta assicurato per la business interruption e anche i nuovi rischi cyber sono ampiamente sottovalutati e sottoassicurati. Un’altra categoria è rappresentata dai rischi derivanti da catastrofi naturali, che stanno aumentando rapidamente di intensità e frequenza. Nonostante l’Italia sia tra i Paesi europei maggiormente esposti, le coperture dei danni catastrofali e i servizi connessi sono ancora poco diffusi.

 

La ridotta sensibilità è favorita dalla percezione che lo Stato sia tenuto a intervenire per risarcire i danni causati. Negli ultimi 50 anni, infatti, lo Stato ha previsto stanziamenti di 150 miliardi per le ricostruzioni post-sisma e di 160 miliardi per altri eventi naturali, coperti prevalentemente tramite la fiscalità generale, ma con tempi di ricostruzione solitamente lunghi e con rimborsi spesso parziali rispetto agli effettivi danni.

 

Nel 2019, il volume dei premi raccolti ha superato i 140 miliardi di euro: 106 miliardi nel settore Vita e 34 miliardi nel Danni. Il volume premi del settore assicurativo rappresenta il 7,8% del Pil italiano; un mercato che è all’ottavo posto nel mondo e al quarto in Europa.

Negli ultimi dieci anni, il prezzo medio r.c. auto è diminuito da quasi 570 euro nel 2012 a 367 nel marzo 2021. Il gap con gli altri Paesi europei si è ridotto di quasi l’80% (da 208 euro nel 2013 a 47 nel 2020); anche il divario territoriale tra province si è ristretto significativamente (il divario Napoli-Aosta si è ridotto del 40%).

 

Nel nostro Paese operano 214 imprese di assicurazione (dato 2019), impegnate ogni giorno a dare risposte competenti alla domanda di sicurezza e protezione di imprese e persone. I dipendenti del settore assicurativo sono quasi 50.000; ma complessivamente, il settore assicurativo dà impiego a circa 300 mila persone (circa 220.000 appartenenti alle reti distributive). Ogni anno le compagnie pagano circa 150 miliardi di euro per prestazioni a favore degli assicurati.

 

Le assicurazioni sulla vita svolgono un duplice ruolo: da un lato, rappresentano uno strumento di risparmio alternativo attraverso cui le famiglie investono i propri risparmi e accumulano capitale e, dall’altro, costituiscono un vero e proprio ombrello di protezione nei confronti di conseguenze finanziarie avverse che possono derivare da eventi collegati con la vita umana, come l’interruzione dei flussi di reddito dovuta alla morte prematura di un membro della famiglia o la sopravvivenza al di là delle proprie possibilità finanziarie.

Il peso delle assicurazioni Vita in Italia è in continua crescita anche se nel confronto europeo si evidenziano ampi spazi per un ulteriore sviluppo. Le compagnie di assicurazione Vita in Italia gestivano, nel 2019, un risparmio che superava gli 830 miliardi e questo rappresentava oltre il 18% delle attività finanziarie delle famiglie.

 

Obiettivo fondamentale delle assicurazioni a tutela dei beni e del patrimonio è quello di proteggere le imprese e le famiglie contro eventi imprevedibili le cui ripercussioni finanziarie potrebbero essere talmente significative da portare all’interruzione dell’attività produttiva di un’azienda o mettere una famiglia in una situazione di grave disagio economico. In questo comparto, si stima che in Italia vi siano oltre 180 milioni di rischi assicurati, per i quali si risarciscono in media in un anno circa 11 milioni di eventi dannosi.

 

Sono 39 milioni i veicoli che si assicurano nel nostro Paese e, a fronte di un versamento di premi pari a 12,5 miliardi, le imprese di assicurazione impiegano poco più di 3 miliardi per riparare i veicoli danneggiati, circa 3,7 miliardi per risarcire i danni degli individui che subiscono delle lesioni fisiche (lievi e/o gravi), quasi 1,8 miliardi destinati ai familiari delle vittime di incidenti mortali e poco più di 2,5 miliardi per svolgere la propria attività.

 

Banca del Piemonte vanta una ricca offerta in tema di assicurazioni e previdenza per proteggere la tua casa e garantire un futuro sereno alla tua famiglia, ma ti offre anche soluzioni di previdenza complementare per permetterti di vivere con tranquillità l’età pensionistica.

 

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Il desiderio di bici è sempre più forte

Il desiderio di bici è sempre più forte

Il desiderio di bici contagia l’Europa e fa crescere l’industria del settore.

Se per l’Italia il 2020 è stato un anno da record, con oltre 2 milioni di pezzi venduti (+17% sul 2019), il mercato nella zona Ue fa addirittura segnare il massimo storico degli ultimi vent’anni. Sono, infatti, oltre 22 milioni le biciclette vendute nell’Unione Europea e Regno Unito l’anno scorso anno (biciclette tradizionali ed e-bike), così che il relativo mercato ha toccato un valore complessivo pari a 18,3 miliardi di euro (+40% rispetto all’anno precedente). È quanto emerge dal rapporto 2021 di Conebi (Confederazione europea dell’industria bici, e-bike, componenti e accessori) sull’industria del ciclo e il mercato in Europa, diffuso in Italia da Confindustria Ancma (Associazione nazionale ciclo motociclo accessori).

 

Spinta dal boom della domanda, dagli investimenti nelle infrastrutture ciclabili e dalle dichiarazioni politiche sulla transizione verso la green economy, “l’industria europea della bicicletta prosegue nella sua costante crescita, con il 2020 che si conferma come l’anno migliore da quando vengono  analizzati i dati”, è stato riferito dalla Conebi, sottolineando inoltre che “gli investimenti, inclusi quelli in innovazione, hanno superato 1,5 miliardi di euro, rispetto a un miliardo di euro nel 2019. Fattore che ha alimentato una crescita della produzione senza precedenti in tutta la zona Ue”.

 

Dalla stessa confederazione è stato aggiunto che le e-bike stanno rapidamente diventando la scelta preferita dei consumatori: “i cittadini europei stanno selezionando opzioni di mobilità elettrica più ecologiche e questo ha portato le e-bike a registrare l’incredibile aumento delle vendite del 52% in termini di valore; nel 2020, infatti, il mercato è balzato a 10,6 miliardi di euro”.

 

Anche la produzione di parti e accessori in Europa è aumentata l’anno scorso, raggiungendo i 3 miliardi di euro, il che evidenzia l’impatto positivo sull’intera catena di valore della produzione. Tuttavia, secondo Conebi: “bisogna investire di più nella produzione locale, cioè nella produzione in Europa”. Sulla base delle attuali proiezioni, comunque, è previsto che il valore delle parti e degli accessori prodotti in Europa raddoppierà fino a raggiungere i 6 miliardi di euro entro il 2025.

 

Una serie di nuove politiche nazionali incentrate sulle infrastrutture ciclistiche, guidate dai cambiamenti nel comportamento dei consumatori, ha portato altre buone notizie per i produttori di bici ed e-bike Europei: 3,6 dei 4,5 milioni di e-bike vendute nella Ue e nel Regno Unito sono state costruite in Europa.

 

Fra l’altro, le notevoli prestazioni del settore bici, e-bike, componenti e accessori ha favorito l’aumento del 30% della relativa occupazione rispetto al 2019. “Oggi – riferiscono da Conebi – abbiamo oltre 1.000 pmi manifatturiere sostenibili in Europa con 155.000 posti di lavoro legati direttamente o indirettamente alla produzione di bici ed e-bike. Prendendo in considerazione anche il cicloturismo, i servizi come la logistica dei centri urbani e il bike-sharing, nonché l’intero settore retail, il comparto supporta oltre 850.000 posti di lavoro verdi”.

 

Con un numero crescente di aziende che rafforzano i propri investimenti in Europa e decidono di portare o riportare la loro produzione nel Vecchio Continente, per ogni 1.000 bici costruite ogni anno in Europa si creano da tre a cinque posti di lavoro. E per ogni 1.000 E-Bike, vengono generati da sei a nove posti di lavoro. Inoltre, la produzione locale in Europa si traduce in una riduzione di oltre 2 milioni di tonnellate di emissioni di Co2 all’anno.

 

“I dati contenuti nel rapporto di Conebi – ha rimarcato Paolo Magri, presidente di Confindustria Ancma – raccontano il momento di successo delle due ruote a pedale, ma dimostrano al contempo quanto lavoro hanno ancora davanti il comparto e il legislatore nel valorizzare questo trend di crescita, nel promuovere l’utilizzo della bici, nel creare opportunità di emancipazione e di ulteriore crescita del nostro tessuto produttivo e nello sviluppare un’equilibrata e sicura infrastrutturazione ciclabile che sia attrattiva anche dal punto di vista turistico”.

 

Se anche tu sogni una vacanza a due ruote o una bici per muoverti in città rispettando l’ambiente, ricordati che ADESSOpuoi SUBITO è il prestito personale adatto a soddisfare i tuoi desideri. Scopri la promozione che ti abbiamo riservato fino al 30 luglio!

 

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A Torino la cultura non si ferma

A Torino la cultura non si ferma

Banca del Piemonte è da sempre impegnata nel sostegno e nello sviluppo del suo territorio di appartenenza, per questo, oggi è orgogliosa di essere parte della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino che ha realizzato, in collaborazione con Reply, una nuova App dedicata alla scoperta dei beni culturali della nostra città e più precisamente alla scoperta di Palazzo Madama.

 

Un nuovo modo di vivere il museo, in parte anche da casa attraverso lo smartphone, non solo più inteso come spazio fisico ed espositivo.

 

Cambiano i tempi e cambiano gli spazi e questa App è sicuramente un ottimo esempio di congiunzione tra innovazione e cultura.

 

Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno collaborato a questo progetto e che permettono alla cultura di non fermarsi mai e trovare sempre nuovi stimoli!

 

 

Leggi la Rassegna Stampa

Nuova scala dei valori per i ragazzi italiani: democrazia, salute, soldi e serenità in testa

Nuova scala dei valori per i ragazzi italiani: democrazia, salute, soldi e serenità in testa

Dall’ultima indagine di Eurispes sui giovani italiani emerge una sorta di “apatia dei valori” e un loro calo sostanziale rispetto ai due anni precedenti la pandemia. Il massimo degrado si osserva nella serie dei valori etici. Un netto crollo, infatti, è registrato per voci come “una vita onesta” (-22,5%), “il rispetto della legge” (-21,2%), “seguire ideali, princìpi” (-19,4%), “indipendenza personale, libertà” (- 19%) e “l’istruzione” (-20,8%).

 

Colpisce che, nell’ultimo anno, in una situazione segnata da una mortalità crescente e diffusa, dagli appelli delle autorità e dall’enfasi della comunicazione a proteggersi dalla aggressione del virus, il valore “salute” abbia ceduto la sua prima posizione al valore “democrazia”, inteso come richiesta di giustizia nella società, diritto di poter esprimere le proprie esigenze e di essere ascoltati. Tutto ciò nonostante il fatto che il resto dei valori che si richiamano alla “politica”, siano rimasti in posizioni arretrate, come nelle indagini del 2018 e 2019.

 

È cresciuto, invece, il valore della “religione” come istituzione sociale che prescrive un certo sistema di norme. Ma il massimo incremento rispetto al 2018 è stato registrato dai valori “affari” (+10,4%) e “bellezza” (+11,2%). Nel 2020, i giovani italiani affidano alla democrazia (90,6%) il primo posto nella scala dei valori di vita; seguono la salute (85,9%), i soldi (83%) e la serenità (82,8%).

 

L’82,1% dichiara espressamente di volere intraprendere una vita indipendente in futuro e ritiene che l’età ottimale per questo cambio di vita sia di 23,7 anni (valore medio). Soltanto il 17,9% dei giovani vuole continuare a vivere con i propri genitori. Ma gli aneddoti sulla madre italiana che si prende cura del figlio fino al suo pensionamento non vengono dal nulla. I giovani maschi esprimono una preferenza a vivere per un tempo più lungo con i propri genitori rispetto alle ragazze (il 22,9% contro il 12,7%). La scelta dei giovani di voler rimanere in famiglia è pari al 24,6% tra le famiglie a basso reddito, al 18,3% nelle famiglie a reddito medio, al 13,8% nelle famiglie con reddito elevato.

 

I giovani che hanno partecipato all’indagine di Eurispes dichiarano che, in media, hanno realizzato il 53% dei loro progetti e che in 10-15 anni, a loro avviso, questa percentuale salirà al 76%.

I giovani si dividono in due gruppi, in base alla loro scelta dei modi con cui raggiungere gli obiettivi dichiarati. Il primo gruppo è costituito da quanti fanno affidamento su sé stessi, sulle proprie abilità e capacità personali, sulle proprie conoscenze, privilegiando l’istruzione (24,8%) e il desiderio di trovare un lavoro di valore riconosciuto e altamente retribuito (27%). Nella speranza di realizzarsi professionalmente, sono pronti a lavorare con piena dedizione. Un’altra traiettoria di questo gruppo è quella associata alla scelta dello sport come carriera o come mezzo che permette di risalire la scala sociale (20,7%). Infine, il 16,3% ritiene che per raggiungere i propri obiettivi occorra essere attivi nella sfera pubblica o politica e coinvolti nelle attività di organizzazioni importanti.

 

Il secondo gruppo di giovani definisce il proprio percorso di vita puntando principalmente sull’aiuto di altre persone. Alcuni ripongono le loro speranze su un compagno (15,9%), mentre altri esprimono un orientamento chiaramente mercantilistico e si affidano a un matrimonio redditizio (14,7%) o all’uso del mecenatismo e dei legami familiari (9,3%). Un altro 5,1% ritiene che il trampolino di lancio per raggiungere i propri obiettivi sarà il proprio aspetto. Tuttavia, un confronto tra le risposte fornite dagli intervistati nel 2019 e nel 2020, mostra che le speranze riposte sul sostegno “degli altri” tendono a diminuire.

Comunque, il 7,8% dei giovani è pronto a trasferirsi in un altro Paese e nella fascia di età 21-25 anni questa percentuale sale all’11,1%. Il livello più alto, pari al 19,5%, si registra nel gruppo più povero.

 

Due terzi dei giovani in Italia, il 66,1%, sono fiduciosi nel futuro, mentre poco più di un quarto (28,8%) presenta un punto di vista opposto. Paradossalmente, l’epidemia da Coronavirus ha contribuito alla crescita (66,1%) della fiducia nel futuro (nel 2019 era pari al 55%), nonostante la mancanza di stabilità, l’aumento della disoccupazione e il calo dei redditi.

 

Nell’indagine del 2019 era emerso che il 57,4% degli intervistati era generalmente soddisfatto del proprio lavoro e che solo il 13% aveva l’intenzione di cambiare professione o campo di attività in futuro. Invece, secondo l’indagine 2020, il 30,4% intende apportare cambiamenti nella propria vita professionale. Secondo l’indagine del 2019, il 63,3% puntava alla posizione di dipendente ordinario, il 20% a diventare manager di livello medio e il 10,2% a titolare di impresa. I dati dell’indagine del 2020 presentano un quadro leggermente diverso. La posizione di dipendente ordinario ha perso nettamente il suo fascino. Solo il 15,9% mira a un posto da dipendente ordinario, il 18,3% vorrebbe crescere fino alla posizione di top manager e il 15,6% come manager di livello medio. La quota di coloro che desiderano diventare proprietari di piccole e/o medie imprese è rimasta circa allo stesso livello del 2019 (11,3%).

 

Rispetto al 2019, l’anno scorso si è verificato un cambiamento delle persone indicate come leader di riferimento: i rappresentanti della cultura e dell’arte hanno perso la funzione guida (dal 40,4% al 9,3%); mentre la maggioranza dei giovani italiani ha trovato modelli di comportamento degni di imitazione tra i personaggi statali e politici (25,5% nel 2019 e 40,8% nel 2020). Comunque, gli atleti sono ancora considerati un modello di riferimento positivo, principalmente i calciatori (23,6%), seguiti dagli artisti pop (20,8%) e dagli scienziati (19,1%). Un ruolo di modello di riferimento è stato riconosciuto, in termini accresciuti rispetto al passato, a rappresentanti delle imprese (10,8% nel 2020 dal 2% dell’anno precedente), giornalisti televisivi e presentatori (dal 3,9% al 13,2%). Molti meno esempi degni di comportamento sono stati rintracciati dai giovani tra religiosi (6,6%). Moltissimi, infine, sono i giovani che non hanno modelli di riferimento (23,3%).

 

Per quanto riguarda in particolare le giovani italiane, l’indagine ha rivelato che, per loro, la famiglia ha perso la sua importanza centrale. Le ragazze progettano le loro attività professionali come un impegno fondamentale per la loro vita: la carriera, l’auto-realizzazione, la ricerca di un lavoro per garantirsi un reddito, sono ormai considerati come elementi naturali, mentre si è ridotta l’importanza del valore di creare una propria famiglia e di avere dei figli.

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