Boom di compravendite di soffitte e cantine, a Torino, nell’ultimo trimestre dell’anno scorso, quando nel capoluogo piemontese sono state registrati 1.401 passaggi di proprietà di “depositi pertinenziali”, il 364,5% in più rispetto allo stesso periodo del 2019 (allora erano stati 302). Nessun’altra metropoli italiana ha mostrato un incremento così elevato, rappresentando il record nazionale. L’aumento medio delle otto principali città del nostro Paese, fra le quali il capoluogo piemontese, è stato del 72,1% (7.524 le compravendite tra l’inizio di ottobre e la fine di dicembre 2020).
Comunque, la straordinaria crescita di acquisti e vendite di pertinenze è certamente conseguente alla pandemia, che, obbligando tutti a restare a lungo in casa, ha diffuso la consapevolezza dell’opportunità di avere una maggiore disponibilità di spazi domestici. Ecco, perciò, il forte ricorso all’acquisto di soffitte e cantine, fenomeno documentato dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate.
Lo stesso Osservatorio ha rilevato anche l’aumento delle compravendite di box e posti auto: nell’ultimo trimestre 2020, a Torino sono state 1.692, il 9,6% più che nel corrispondente periodo precedente. Un tasso, anche quest’ultimo, superiore alla media delle otto metropoli nazionali, che è stata del 4,1% (complessivamente, gli acquisti di box e posti auto sono stati 14.449, a fronte dei 13.874 di ottobre-dicembre 2019).
È rimasto invariato, invece, il numero delle compravendite di abitazioni. Nell’ultimo trimestre dell’anno scorso, infatti, l’Osservatorio del mercato immobiliare ne ha registrate 3,782, una in meno. Non stupisce. Soltanto Roma e Genova, infatti, tra le grandi città italiane hanno evidenziato aumenti, mentre i passaggi di proprietà nell’ultima parte dell’anno sono diminuite a Milano (-8,9%), Bologna (-5,4%) e Firenze (-3,9%). Sostanzialmente uguali ai precedenti, infine, i numeri di Napoli e Palermo.
In particolare, a Torino il 48,5% delle abitazioni che hanno cambiato proprietà nel quarto trimestre 2020 hanno una superficie compresa tra i 50 e gli 85 metri quadrati, il 23,2% tra gli 85 e 115 metri quadrati, il 12,6% meno di 50 metri quadrati, l’8,8% tra i 115 e i 145 metri quadrati, mentre solo il 6,9% superano i 145 metri quadrati. La media torinese degli alloggi passati di mano nel periodo è di 85,7 metri quadrati, superiore, tra le metropoli, soltanto a quella di Milano (79,2 metri quadrati). In tutte le altre sei maggiori città italiane la metratura media delle case passate di mano è superiore, fino al massimo di 109,9 metri quadrati di Palermo.
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In Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti nell’ultimo decennio, non si è ancora in grado di offrire a tutti i giovani le stesse opportunità per un’educazione adeguata.
Il livello di istruzione e di competenze che i giovani riescono a raggiungere dipende ancora. in larga misura, dall’estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio in cui si vive.
Lo ha censito l’Istat, aggiungendo che la pandemia del 2020, con la conseguente chiusura degli istituti scolastici e universitari e lo spostamento verso la didattica a distanza, o integrata, ha acuito le disuguaglianze.
Il divario con l’Europa sull’istruzione continua ad ampliarsi: in Italia, il 62,6% delle persone di 25-64 anni ha almeno il diploma superiore (54,8% nel 2010); ma tale quota è inferiore alla media europea di 16 punti percentuali. Tra i giovani di 30-34 anni, il 27,9% ha un titolo universitario o terziario (19,8% nel 2010) contro il 42,1% della media Ue27.
L’inserimento dei bambini di 0-2 anni nelle strutture per la primissima infanzia è cresciuto nel tempo, dal 15,4% nel triennio 2008-2010 al 28,2% nel 2018-2020, ma rimane un livello inferiore all’obiettivo europeo di almeno un bambino su tre fissato per il 2010.
A metà dell’anno scorso, è risalita 23,9% la quota di giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano (Neet), dopo alcuni anni di diminuzioni. Incide particolarmente la componente dovuta all’inattività, specie nelle regioni del Centro-Nord, dove la ricerca di lavoro ha subito una brusca interruzione dovuta alla pandemia. In Italia l’aumento è stato più accentuato rispetto al resto d’Europa, accrescendo ulteriormente la distanza (+10 punti nel 2020). Altrettanto alta è la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore). In Italia, il percorso formativo si è interrotto molto presto per il 13,5% dei giovani tra 18 e 24 anni, valore in netto calo rispetto al 2010 ma pressoché stabile dal 2017.
L’indagine Istat sull’integrazione degli alunni con disabilità nella scuola statale e non statale, cui hanno risposto nell’anno scolastico 2019/20, ha evidenziato come gli istituti si siano attrezzati in varie forme di didattica a distanza ma, nonostante gli sforzi di dirigenti, docenti e famiglie, l’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza e non ha preso parte alle video-lezioni con il gruppo classe. Tale quota sale al 23% tra gli alunni con disabilità.
La didattica a distanza si è scontrata con le difficoltà nelle competenze digitali della popolazione italiana, che presenta una delle situazioni peggiori in Europa. Nel 2019, tra gli individui di 16-74 anni soltanto il 22% ha dichiarato di avere competenze digitali elevate (contro il 31% nella Ue27). La maggioranza degli individui è in possesso di competenze basse (32%) o di base (19%) mentre il 3,4% ha competenze praticamente nulle e il 24% dichiara di non aver usato Internet negli ultimi tre mesi. Nel 2020 la possibilità di partecipare ad attività di apprendimento diverse dalla formazione scolastica e universitaria, è stata, anch’essa, bruscamente interrotta, soprattutto nei mesi di marzo, aprile e maggio, o parzialmente riconvertita in altre forme di fornitura. La partecipazione media per l’Italia è scesa al 7,2% degli individui.
A partire dal 2010, la partecipazione culturale fuori casa è molto diminuita, fino a toccare il minimo nel 2013 (30,6%) per poi registrare in tutti i territori un trend crescente fino al 2019. Nel 2020, il lockdown ha inciso sulle attività del tempo libero che si svolgono fuori casa, annullando completamente i progressi degli ultimi anni: la quota di persone di 6 anni e più che si sono dedicate ad almeno due attività culturali fuori casa (come andare al cinema, a teatro o a un concerto, visitare musei o mostre) è scesa al 30,8% dal 35,1% dell’anno precedente.
Diversamente, la lettura di libri, complice il maggior tempo trascorso entro le mura domestiche, è in ripresa (39,2%) rispetto al trend decrescente registrato fino al 2019 (dal 44,4% del 2010 al 38% nel 2019). È in aumento soprattutto la lettura di almeno quattro libri nell’anno, mentre si osserva una sostanziale stabilità nella lettura di almeno tre quotidiani a settimana.
Nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha prodotto effetti non soltanto sulla mortalità, ma anche sulla mobilità residenziale interna e con i Paesi esteri, arrivando a incidere persino sui comportamenti riproduttivi e nuziali.
Le nascite risultano 404mila mentre i decessi raggiungono il livello eccezionale di 746mila. Gli effetti del lockdown hanno poi determinato inevitabili ripercussioni sul versante dei trasferimenti di residenza. Le iscrizioni dall’estero sono state 221mila e le cancellazioni 142mila. Ne deriva un saldo migratorio con l’estero positivo per 79mila unità, in grado di compensare solo in parte l’effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale. Per quanto riguarda la mobilità interna, si rileva una riduzione del volume complessivo di circa il 12%: sono 1,308 milioni i trasferimenti registrati tra i Comuni italiani nel 2020 contro 1,485 milioni dell’anno precedente.
Il riflesso di tali andamenti comporta un’ulteriore riduzione della popolazione residente in Italia, scesa al 1° gennaio 2021 a 59 milioni 258mila.
Per effetto del forte aumento del rischio di mortalità, che ha dato luogo a 746mila decessi (il 18% in più di quelli rilevati nel 2019), la sopravvivenza media nel corso del 2020 appare in decisa contrazione.
La speranza di vita alla nascita, senza distinzione di genere, scende a 82 anni, ben 1,2 anni sotto il livello del 2019. Gli uomini sono più penalizzati: la loro speranza di vita alla nascita scende a 79,7 anni, ossia 1,4 anni in meno dell’anno precedente, mentre per le donne si attesta a 84,4 anni, un anno di sopravvivenza in meno.
La riduzione della natalità interessa tutte le aree del Paese, da Nord a Sud. Sul piano regionale le nascite, che su scala nazionale risultano inferiori del 3,8% sul 2019, si riducono dell’11,2% in Molise, del 7,8% in Valle d’Aosta, del 6,9% in Sardegna.
La digitalizzazione delle imprese contribuisce a ridurre i danni causati dalla pandemia.
L’ accelerazione verso l’uso di strumenti 4.0 da parte delle pmi si inserisce all’interno di un generale percorso di crescita della digitalizzazione delle imprese avviato tre anni fa grazie alle politiche di incentivazione messe in campo dal governo e ai servizi di assistenza offerti dalla rete dei soggetti qualificati presenti sul territorio nazionale.
La pandemia ha accresciuto i divari territoriali, di genere, di età e fra i settori produttivi, ma il digitale è la leva per ridurli. Come mostra il dossier presentato da Unioncamere, l’utilizzo delle nuove tecnologie limita le differenze tra piccole e medio-grandi aziende, contribuisce a sostenere la governance delle imprese manifatturiere a conduzione familiare, agevola il recupero delle aziende dei servizi, più tartassate dal Covid.
Ma c’è ancora molta strada da fare: solo il 26% delle imprese italiane è a conoscenza del Piano Impresa 4.0 e, tra queste, il 9%, pur conoscendolo, comunque non investe. Per il resto, vale a dire per i due terzi della manifattura italiana, gli strumenti messi in campo e le grandi opportunità offerte dalle tecnologie non sono (ancora) all’ordine del giorno.
“La digitalizzazione vale fino a sette punti di Pil, ma abbiamo ancora un ritardo enorme da colmare”, ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli. Secondo il quale, “il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta una occasione unica; però occorre coinvolgere attivamente milioni di PMI, di artigiani e di lavoratori autonomi. I Punti Impresa Digitali realizzati dalle Camere di commercio hanno introdotto in questi anni oltre 350mila aziende alle tecnologie abilitanti attraverso migliaia di corsi di formazione, di assessment e di supporti operativi. E oggi questa speciale rete è una best practice a livello internazionale”.
Secondo i dati di Unioncamere e del Centro studi Guglielmo Tagliacarne, il 70% delle micro e piccole imprese che ha avviato la svolta digital ritiene di poter raggiungere i livelli di produttività pre-Covid già nel 2022 (contro il 61% di quelle che ancora non hanno messo in campo investimenti nelle nuove tecnologie), allineandosi così alla quota di medio-grandi imprese che hanno la medesima previsione.
Le imprese familiari hanno risentito particolarmente dei riflessi negativi della crisi pandemica e solo in sei casi su 10 confidano in un recupero entro il 2022. Tra quelle che hanno investito nel digitale, però, la quota sale al 70%. Analoghi effetti positivi si riscontrano tra le imprese dei servizi: il 61% di quelle digitalizzate ritiene di poter azzerare gli effetti dell’emergenza sanitaria entro il 2022, a fronte del 53% di quelle non digitalizzate.
I Punti impresa digitale (Pid) delle Camere di commercio in tre anni hanno avvicinato alle nuove tecnologie oltre 350mila imprenditori e gli sforzi messi in campo per favorire la transizione digitale cominciano a dare i primi frutti. Se la metà dei 32mila imprenditori che hanno effettuato finora i test di autovalutazione messi a disposizione dalle Camere di commercio è ancora alle prime armi, il 48% ha fatto un passo avanti, risultando Specialista, Esperto o Campione. Tre anni fa questi risultati erano stati raggiunti da meno del 40% degli imprenditori.
Questa accelerazione verso l’uso di strumenti 4.0 da parte delle PMI si inserisce all’interno di un generale percorso di crescita della digitalizzazione delle imprese avviato tre anni fa grazie alle politiche di incentivazione messe in campo dal governo e ai servizi di assistenza offerti dalla rete dei soggetti qualificati presenti sul territorio nazionale.
Il Trentino-Alto Adige svetta in cima alla classifica nazionale per livelli di digitalizzazione delle PMI, avendo un livello di digitalizzazione di 2,31 su un punteggio massimo di 4, contro una media nazionale di 2,03. Seguono la Lombardia con un punteggio di 2,16 e l’Emilia-Romagna con 2,14. Al Piemonte è stato attribuito il punteggio 2,09, alla Liguria 2,02 e alla Valle d’Aosta 2,00. Le regioni del Sud, in particolare Sicilia (con un livello di digitalizzazione di 1,84) e Calabria (con un livello di digitalizzazione di 1,92), sono fanalini di coda per maturità digitale delle PMI.
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