Nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha prodotto effetti non soltanto sulla mortalità, ma anche sulla mobilità residenziale interna e con i Paesi esteri, arrivando a incidere persino sui comportamenti riproduttivi e nuziali.
Le nascite risultano 404mila mentre i decessi raggiungono il livello eccezionale di 746mila. Gli effetti del lockdown hanno poi determinato inevitabili ripercussioni sul versante dei trasferimenti di residenza. Le iscrizioni dall’estero sono state 221mila e le cancellazioni 142mila. Ne deriva un saldo migratorio con l’estero positivo per 79mila unità, in grado di compensare solo in parte l’effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale. Per quanto riguarda la mobilità interna, si rileva una riduzione del volume complessivo di circa il 12%: sono 1,308 milioni i trasferimenti registrati tra i Comuni italiani nel 2020 contro 1,485 milioni dell’anno precedente.
Il riflesso di tali andamenti comporta un’ulteriore riduzione della popolazione residente in Italia, scesa al 1° gennaio 2021 a 59 milioni 258mila.
Per effetto del forte aumento del rischio di mortalità, che ha dato luogo a 746mila decessi (il 18% in più di quelli rilevati nel 2019), la sopravvivenza media nel corso del 2020 appare in decisa contrazione.
La speranza di vita alla nascita, senza distinzione di genere, scende a 82 anni, ben 1,2 anni sotto il livello del 2019. Gli uomini sono più penalizzati: la loro speranza di vita alla nascita scende a 79,7 anni, ossia 1,4 anni in meno dell’anno precedente, mentre per le donne si attesta a 84,4 anni, un anno di sopravvivenza in meno.
La riduzione della natalità interessa tutte le aree del Paese, da Nord a Sud. Sul piano regionale le nascite, che su scala nazionale risultano inferiori del 3,8% sul 2019, si riducono dell’11,2% in Molise, del 7,8% in Valle d’Aosta, del 6,9% in Sardegna.
La digitalizzazione delle imprese contribuisce a ridurre i danni causati dalla pandemia.
L’ accelerazione verso l’uso di strumenti 4.0 da parte delle pmi si inserisce all’interno di un generale percorso di crescita della digitalizzazione delle imprese avviato tre anni fa grazie alle politiche di incentivazione messe in campo dal governo e ai servizi di assistenza offerti dalla rete dei soggetti qualificati presenti sul territorio nazionale.
La pandemia ha accresciuto i divari territoriali, di genere, di età e fra i settori produttivi, ma il digitale è la leva per ridurli. Come mostra il dossier presentato da Unioncamere, l’utilizzo delle nuove tecnologie limita le differenze tra piccole e medio-grandi aziende, contribuisce a sostenere la governance delle imprese manifatturiere a conduzione familiare, agevola il recupero delle aziende dei servizi, più tartassate dal Covid.
Ma c’è ancora molta strada da fare: solo il 26% delle imprese italiane è a conoscenza del Piano Impresa 4.0 e, tra queste, il 9%, pur conoscendolo, comunque non investe. Per il resto, vale a dire per i due terzi della manifattura italiana, gli strumenti messi in campo e le grandi opportunità offerte dalle tecnologie non sono (ancora) all’ordine del giorno.
“La digitalizzazione vale fino a sette punti di Pil, ma abbiamo ancora un ritardo enorme da colmare”, ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli. Secondo il quale, “il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta una occasione unica; però occorre coinvolgere attivamente milioni di PMI, di artigiani e di lavoratori autonomi. I Punti Impresa Digitali realizzati dalle Camere di commercio hanno introdotto in questi anni oltre 350mila aziende alle tecnologie abilitanti attraverso migliaia di corsi di formazione, di assessment e di supporti operativi. E oggi questa speciale rete è una best practice a livello internazionale”.
Secondo i dati di Unioncamere e del Centro studi Guglielmo Tagliacarne, il 70% delle micro e piccole imprese che ha avviato la svolta digital ritiene di poter raggiungere i livelli di produttività pre-Covid già nel 2022 (contro il 61% di quelle che ancora non hanno messo in campo investimenti nelle nuove tecnologie), allineandosi così alla quota di medio-grandi imprese che hanno la medesima previsione.
Le imprese familiari hanno risentito particolarmente dei riflessi negativi della crisi pandemica e solo in sei casi su 10 confidano in un recupero entro il 2022. Tra quelle che hanno investito nel digitale, però, la quota sale al 70%. Analoghi effetti positivi si riscontrano tra le imprese dei servizi: il 61% di quelle digitalizzate ritiene di poter azzerare gli effetti dell’emergenza sanitaria entro il 2022, a fronte del 53% di quelle non digitalizzate.
I Punti impresa digitale (Pid) delle Camere di commercio in tre anni hanno avvicinato alle nuove tecnologie oltre 350mila imprenditori e gli sforzi messi in campo per favorire la transizione digitale cominciano a dare i primi frutti. Se la metà dei 32mila imprenditori che hanno effettuato finora i test di autovalutazione messi a disposizione dalle Camere di commercio è ancora alle prime armi, il 48% ha fatto un passo avanti, risultando Specialista, Esperto o Campione. Tre anni fa questi risultati erano stati raggiunti da meno del 40% degli imprenditori.
Questa accelerazione verso l’uso di strumenti 4.0 da parte delle PMI si inserisce all’interno di un generale percorso di crescita della digitalizzazione delle imprese avviato tre anni fa grazie alle politiche di incentivazione messe in campo dal governo e ai servizi di assistenza offerti dalla rete dei soggetti qualificati presenti sul territorio nazionale.
Il Trentino-Alto Adige svetta in cima alla classifica nazionale per livelli di digitalizzazione delle PMI, avendo un livello di digitalizzazione di 2,31 su un punteggio massimo di 4, contro una media nazionale di 2,03. Seguono la Lombardia con un punteggio di 2,16 e l’Emilia-Romagna con 2,14. Al Piemonte è stato attribuito il punteggio 2,09, alla Liguria 2,02 e alla Valle d’Aosta 2,00. Le regioni del Sud, in particolare Sicilia (con un livello di digitalizzazione di 1,84) e Calabria (con un livello di digitalizzazione di 1,92), sono fanalini di coda per maturità digitale delle PMI.
Per essere conformi alla nuova Direttiva Europea relativa alla sicurezza dei pagamenti online, Nexi ha ideato una nuova soluzione di protezione che si attiva nella fase finale del pagamento e-commerce tramite carte di credito, debito e prepagate.
A partire da aprile 2021, infatti, sempre più siti richiedono di completare gli acquisti con un ulteriore livello di sicurezza.
A seconda del sito su cui si fanno gli acquisti, potrà essere richiesto di autorizzare il pagamento con Key6®, il codice di sei cifre da utilizzare al momento del check-out, dopo aver inserito il codice “usa e getta” ricevuto via SMS.
Importante: senza questo sistema di sicurezza, non sarà possibile fare acquisti online sui siti che adotteranno il nuovo processo di autenticazione per i pagamenti e-commerce.
Alcuni siti e-commerce non supportano il riconoscimento facciale o tramite impronta digitale ( Touch ID e Face ID) e in questi casi è necessario inserire il codice Key6®.
Come configurare Key6® :
Accedere all’App Nexy Pay o all’area personale del sitonexi.it
Seguire le indicazioni dell’attivazione guidata
Definire il codice personale Key6®.
Come pagare con Key6®:
Procede al pagamento inserendo i dati della Carta
Inserire il codice “usa e getta” inviato via SMS, al numero di telefono cellulare certificato associato al servizio 3D Secure
Il Sole 24 Ore ha pubblicato una puntuale ed accurata analisi di Camillo Venesio, il nostro Amministratore Delegato e Direttore Generale, sull’utilità di preservare la diversità bancaria.
“Sono molte le realtà, anche se medio piccole, che sono punto di riferimento per un intero territorio”.
Torino sul podio nazionale della cultura. La provincia con la Mole è al terzo posto in Italia nelle classifiche per l’incidenza sistema produttivo culturale e creativo nell’economia localesia per valore aggiunto che per l’occupazione, in entrambi i casi con il tasso dell’8,1%.
La medaglia di bronzo a Torino è stata attribuita dal Rapporto “Io sono cultura”, promosso da Fondazione Symbola, Unioncamere, insieme a Regione Marche e Credito Sportivo, con la partnership di Fondazione Fitzcarraldo e Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne e con il patrocinio del ministero della Cultura.
Il Rapporto, giunto alla decima edizione, è l’unico studio in Italia che, annualmente, quantifica il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale. Uno studio che contiene, insieme a un’analisi del sistema pre-covid (2019), anche informazioni sul 2020, ricavate attraverso un’indagine condotta su un campione di oltre 1.800 imprese appartenenti al core del sistema produttivo culturale e creativo, confermando che cultura e bellezza del nostro Paese rappresentano tratti fondativi della società (da qui il titolo del rapporto) e, grazie alla loro forte relazione con la manifattura, hanno dato vita a una delle più forti identità produttive del mondo: il Made in Italy.
Nel 2019, il sistema produttivo culturale e creativo in Italia era in crescita e rappresentava il 5,7% del valore aggiunto italiano: oltre 90 miliardi di euro, cioè l’1% in più dell’anno precedente.
Oltre il 44% di questa ricchezza era generato da settori non culturali, manifatturieri e dei servizi, nei quali lavorano oltre 630.000 professionisti della cultura. Il sistema produttivo culturale e creativo dava lavoro a più di un milione e mezzo di persone, vale a dire il 5,9% dei lavoratori italiani. Dato in crescita rispetto al 2018: +1,4%, con una performance nettamente migliore rispetto al complesso dell’economia (+0,6%).
Nel rapporto “Io sono cultura” si trova che il 44% degli operatori della filiera stima perdite di ricavi nel 2020 superiori al 15% del proprio bilancio, mentre il 15% prospetta perdite che superano addirittura il 50%. A soffrire di più sono state le imprese dei settori performing arts e arti visive, quelle operanti nella conservazione e valorizzazione del patrimonio storico e artistico, per la maggiore esposizione alle norme di distanziamento sociale e molte delle imprese che rappresentano l’indotto culturale come, per esempio, parte della industria turistica nazionale.
“Occorre tuttavia segnalare anche la presenza di settori in cui l’incidenza di imprese che dichiarano di aver sperimentato una crescita dei ricavi è tutt’altro che trascurabile – hanno scritto gli autori dello studio – in primo luogo il settore videogiochi e software (avvantaggiato dall’allontanamento sociale che ha aumentato la domanda di intrattenimento domestico), ma anche il comparto architettura e design”.
Comunque, la crisi pandemica ha evidenziato tante fragilità del settore. Prima su tutte la frammentazione tra i vari segmenti: “le diversità di mondi peculiari, che necessitano di norme e strumenti specifici, – si spiega – va accompagnata da una visione sistemica del settore e da un’idea di sviluppo condivisa, frutto di contaminazioni crescenti e necessarie per attivare una catena del valore che renda più sostenibili le produzioni culturali”.
In ogni caso, i numeri dimostrano che la cultura è uno dei motori dell’economia italiana. E la Lombardia, con 24,1 miliardi di euro e 353 mila addetti, si collocano ai vertici del panorama culturale italiano. Sono valori che, rispettivamente, incidono per il 7,3% e il 6,9%. In particolare, Milano si conferma prima su entrambi gli indicatori economici, con incidenze intorno ai dieci punti percentuali. A livello provinciale, Roma è seconda per valore aggiunto (8,7%) e quarta per occupazione (7,9%). Dopo Torino, terza, seguono, per valore aggiunto Arezzo (7,6%), Trieste (7,1%), Firenze (6,8%), Bologna (6,1%) e Padova (6,0%).
Come evidenzia il nuovo Rapporto, il ruolo della cultura non si ferma alla sola quantificazione dei valori della filiera. Importanti sono anche i legami tra cultura e turismo (la Lombardia è la prima regione per spesa turistica attivata dalla domanda di cultura con 3,9 miliardi di euro e quinta per incidenza della stessa sul totale della spesa culturale). Quanto al legame tra cultura e manifatturaappare evidente nei distretti, ovvero in quelle aree dove è presente una rilevante concentrazione di professioni artigianali, che valorizzano competenze creative del made in Italy. Fra queste eccellenze distrettuali, fortemente orientate ai mercati esteri, si trovano Monza-Brianza, Arezzo, Alessandria, Modena, Reggio Emilia, Pesaro-Urbino.
In Piemonte, le imprese del sistema produttivo culturale e creativo sono quasi 21.000 a fine 2019: 7.556 attive nel settore architettura e design, 2.724 nella comunicazione, 837 nell’audiovisivo- musica, 2.457 nei videogiochi e software, 4.690 nell’editoria-stampa, 2.297 nelle performances arts e arti visive, infine 83 nel patrimonio storico e artistico.