In linea con le tendenze emerse negli ultimi otto anni, l’Italia vedrà scendere la sua popolazione dai 59 milioni del 1° gennaio 2022 ai 58,1 milioni nel 2030. Lo ha previsto l’Istat, aggiungendo che nel 2050 i residenti caleranno a 54,4 milioni e, nel lungo termine, le conseguenze della dinamica demografica si faranno ancora più importanti.
Tra il 2050 e il 2080, infatti, la popolazione diminuirebbe di ulteriori 8,5 milioni, precipitando così a 45,8 milioni ed evidenziando una perdita complessiva di 13,2 milioni di residenti rispetto a oggi.
L’Istat ha poi sottolineato che, nell’ipotesi più favorevole, la popolazione potrebbe subire una perdita di “soli” 6,2 milioni tra il 2022 e il 2080; ma, nel caso meno propizio, il calo sfiorerebbe i 20 milioni tra oggi e il 2080, 6,8 milioni dei quali già all’orizzonte del 2050.
Il progressivo spopolamento investe tutto il territorio nazionale, pur con differenze tra Nord, Centro e Mezzogiorno, che fanno sì che tale questione raggiunga una dimensione significativa soprattutto in quest’ultima ripartizione, dove il calo di residenti risulta irreversibile.
Guardando al lungo periodo, il Nord potrebbe ridursi di 2,7 milioni di abitanti entro il 2080 ma di appena 276mila se si guardasse al 2050. Ben diverso è il percorso evolutivo della popolazione nel Mezzogiorno, dove nel 2080 potrebbe ridursi di otto milioni, 3,6 milioni dei quali già entro il 2050.
Lo scenario mediano delle previsioni mostra che, nel passaggio che condurrà la popolazione dagli odierni 59 milioni di individui a circa 46 nel 2080, si intravedono 21,5 milioni di nascite, 44,9 milioni di decessi e 18,3 milioni di immigrazioni dall’estero contro 8,2 milioni di emigrazioni. D’altra parte, l’Istat fa presente che nel 2022 le donne in età 15-49 anni ammontava a 11,7 milioni e che, in base allo scenario mediano, tale contingente risulta destinato a contrarsi in misura pressoché lineare: da 10,8 milioni nel 2030 a 9,2 milioni nel 2050, fino a 7,7 milioni nel 2080.
Analoghe perturbazioni strutturali interesseranno l’evoluzione della mortalità, che proseguirà a esprimere annualmente un numero sostenuto di decessi, fino a un picco di 845mila nel 2059 secondo lo scenario mediano, anche in un contesto di buone aspettative sull’evoluzione della speranza di vita (86,1 e 89,7 anni quella prevista alla nascita nel 2080, rispettivamente per uomini e donne, con un guadagno di 5,7 anni per i primi e di 5,2 anni per le seconde sul 2022).
Lo scenario mediano contempla, inoltre, movimenti migratori netti con l’estero ampiamente positivi. A una prospettiva particolarmente accentuata nei primi sette anni di previsione, con una media annuale superiore ai 200mila ingressi netti, segue una fase di prolungata stabilizzazione che si protrae per tutto il periodo previsivo a una media annuale di 165mila unità. Alla luce delle ipotesi analizzate, pertanto, i flussi migratori non controbilancerebbero il segno negativo della dinamica naturale.
La struttura della popolazione italiana è, da anni, oggetti di uno squilibrio sempre più profondo, dovuto alla combinazione dell’aumento della longevità e di una fecondità costantemente bassa. Stabilmente sul podio mondiale dell’invecchiamento, oggi il Paese presenta la seguente articolazione per età: il 12,7% degli individui ha fino a 14 anni di età; il 63,5% tra 15 e 64 anni; il 23,8% dai 65 anni di età in su.
L’età media, nel frattempo, si è portata a 46,2 anni e ciò fa del Paese, insieme a pochi altri esempi nel mondo (Spagna e Grecia in Europa; Corea del Sud e Giappone in Asia) uno dei casi all’attenzione internazionale per i demografi nonché per gli esperti di economia e sviluppo sostenibile.
Nel 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 34,5% della popolazione secondo lo scenario mediano, mentre i giovani fino a 14 anni risulterebbero l’11,2% del totale, portando il rapporto di oltre tre a uno.
Quanto alle famiglie, l’Istat prevede un aumento di oltre 850mila nel giro di vent’anni: da 25,3 milioni nel 2022 si arriverebbe a 26,2 milioni nel 2042 (+3,4%). Però, si tratta di famiglie sempre più piccole, perché il numero medio di componenti scenderà da 2,32 persone nel 2022 a 2,13.
L’aumento del numero di famiglie, infatti, deriverà prevalentemente da una crescita di quelle senza nuclei (+17%), destinate a salire da 9 a 10,6 milioni, arrivando a rappresentare nel 2042 oltre il 40% delle famiglie totali.
Al contrario, le famiglie con almeno un nucleo presentano una diminuzione di oltre il 4%: dai 16,3 milioni attuali (il 64,3% del totale), nel 2042 scenderanno a 15,6 milioni, costituendo così solo il 59,5% delle famiglie.
L’invecchiamento della popolazione, con l’aumento della speranza di vita, genera infatti un maggior numero di persone sole, il prolungato calo della natalità incrementa le persone senza figli, mentre l’aumento dell’instabilità coniugale, in seguito al maggior numero di scioglimenti di legami di coppia, determina un numero crescente di individui e genitori soli.
Questa tipologia familiare crescerà del 17%, facendo aumentare il suo contingente da 8,4 a 9,8 milioni nel giro di venti anni. Se già nel 2022 la quota di persone sole di 65 anni e più rappresenta circa la metà di chi vive da solo (48,9%), nel 2042 raggiungerebbe quasi il 60%.
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Nelle intenzioni di ARERA (l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente), la chiusura del mercato tutelato dell’energia è prevista a gennaio 2024 per il gas e ad aprile 2024 per la luce. Le recenti dichiarazioni del ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin, tuttavia, sembrano suggerire che un’ulteriore proroga sia in arrivo, come già successo negli anni passati. In attesa dell’ufficialità del nuovo Decreto Energia, facciamo il punto della situazione.
Ottobre: un buon momento per risparmiare
Anzitutto vale la pena di ricordare che stiamo per entrare nei mesi freddi dell’anno, quelli in cui si inizia ad accendere il riscaldamento e si utilizza più acqua calda, e di conseguenza si consuma più gas. È dunque un buon momento per verificare la convenienza della propria tariffa energetica ed eventualmente valutare un cambio di fornitore, scegliendo un’offerta migliore nel mercato libero dell’energia in vista dell’inverno. A questo scopo, esistono servizi gratuiti come quello fornito da Switcho che, a seguito del caricamento della bolletta, analizza la tariffa e i consumi attuali e consiglia se conviene cambiare fornitore, indicando l’offerta che garantisce il maggiore risparmio e gestendo la burocrazia dell’attivazione. Una buona opportunità per essere certi di non sprecare soldi in bolletta a causa di tariffe non ottimizzate.
Mercato tutelato e mercato libero dell’energia
Abbiamo citato queste due forme di mercato energetico, ma di cosa si tratta nel pratico?
Nel mercato tutelato è ARERA a decidere e modificare periodicamente i prezzi di energia elettrica e gas, con variazioni che dipendono, per esempio, dall’andamento dei costi all’ingrosso delle materie prime. Il prezzo dell’energia, quindi, è uguale per tutti e non c’è possibilità di scelta.
Nel mercato libero i fornitori energetici possono competere offrendo condizioni e tariffe personalizzate, tra cui i consumatori possono scegliere senza vincoli. Il prezzo dell’energia è stabilito dal singolo fornitore e varia da offerta a offerta.
Attualmente, circa un consumatore su tre in Italia si trova ancora nel mercato tutelato, mentre due su tre hanno già effettuato la transizione al libero. L’intenzione è quella di arrivare alla completa liberalizzazione del mercato energetico: ecco perché si parla di fine del mercato tutelato.
Fine del mercato tutelato: come funziona per il gas
Il primo dettaglio da considerare è la distinzione tra clienti vulnerabili e clienti non vulnerabili. La fine del mercato tutelato vale infatti solo per questi ultimi, mentre i vulnerabili potranno continuare a usufruire delle condizioni stabilite dall’Autorità. Nel caso della fornitura di gas, sono considerati clienti vulnerabili gli over 75, quelli che si trovano in condizioni economiche svantaggiate, quelli che soffrono di disabilità e quelli la cui utenza è in un’abitazione di emergenza.
Secondo le date attualmente previste, per tutti i clienti non vulnerabili il regime di tutela del gas scadrà il 1° gennaio 2024. Se non si effettuerà autonomamente il passaggio al mercato libero per tempo, non si subiranno comunque penali o interruzioni della fornitura: da inizio 2024 si passerà in automatico a un’offerta PLACET (Prezzo Libero a Condizioni Equiparate di Tutela) del mercato libero, mantenendo il fornitore attuale e con la maggior parte delle voci di costo in bolletta che continueranno a essere definite da ARERA.
Come anticipato, tuttavia, la data del 1° gennaio potrebbe essere rivista a breve dal nuovo Decreto Energia preparato dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Si parla di una proroga di 6 o 12 mesi.
Fine del mercato tutelato: come funziona per la luce
Anche per l’elettricità vale la medesima distinzione tra clienti vulnerabili e non vulnerabili: i primi resteranno in regime di tutela anche dopo la scadenza prevista da ARERA, che in questo caso è il 1° aprile 2024. Le condizioni che determinano la vulnerabilità di un soggetto sono le stesse del gas, a cui però vanno aggiunte la necessità di utilizzare strumenti medici alimentati elettricamente e la collocazione dell’utenza in un’isola minore non connessa.
Cosa succederà il 1° aprile ai clienti non vulnerabili che non saranno ancora passati al mercato libero? Ci sono alcune importanti differenze rispetto al gas. L’offerta sarà sempre una PLACET, ma il fornitore potrebbe cambiare perché sarà assegnato in automatico tramite apposite procedure concorsuali. Anche la tipologia di mercato varierà: non sarà il libero,ma sarà quello che viene definito servizio a tutele graduali, il meccanismo stabilito da ARERA proprio per accompagnare i consumatori nel passaggio graduale al mercato libero e che è già stato sperimentato di recente con le PMI e le microimprese.
Anche per l’energia elettrica, la scadenza del mercato tutelato potrebbe slittare in base a quanto definito nel prossimo Decreto Energia.
Decreto Energia 2023: gli altri interventi
Il decreto non interverrà solamente sull’eventuale proroga del regime tutelato dell’energia, ma dovrebbe includere altre importanti misure. Ad esempio:
L’estensione del bonus sociale in bolletta, che garantisce sconti in base a determinati criteri di reddito ISEE e che a oggi dovrebbe scadere il 30 settembre 2023.
La possibilità per i Comuni di candidarsi per ospitare un deposito di scorie nucleari.
La selezione di zone idonee per le energie rinnovabili e per l’eolico offshore.
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La vendemmia in Italia mette in moto un “esercito del vino”, che conta 1,5 milioni di persone, fra quelle impegnate direttamente nei campi, nelle cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche quelle nelle attività collegate, dall’enoturismo alla cosmetica fino alle bioenergie.
È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti, in occasione della divulgazione delle stime a metà vendemmia, che confermano sostanzialmente quelle diffuse dalla principale organizzazione agricola il 3 agosto scorso, all’inizio della raccolta.
La produzione italiana 2023 è prevista intorno ai 43,9 milioni di ettolitri, in calo del 12% rispetto al 2022 e facendo entrare quest’anno vinicolo fra i peggiori dell’ultimo secolo per quantità, insieme al 1948, al 2007 e al 2017.
Il risultato è che, per la prima volta dopo tanto tempo, l’Italia potrebbe non risultare più il maggiore produttore mondiale di vino, venendo superata in quantità dalla Francia, che dovrebbe arrivare a 45 milioni di ettolitri.
“La sfida con i cugini francesi, comunque, è soprattutto sulla valorizzazione della produzione che in Italia si attende comunque di alta qualità e – sottolinea la Coldiretti – può contare su 635 varietà iscritte al registro viti, il doppio rispetto ai francesi, con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg) e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt); mentre il restante 30% della produzione nazionale è costituito da vini da tavola. A dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità, con vini locali di altissima qualità grazie a una tradizione millenaria”.
Il processo di qualificazione del vino Made in Italy è confermato dal successo dell’export, anche in Francia, dove si bevono sempre più bottiglie italiane (+18,5% nei primi cinque mesi del 2023).
Il vino è il prodotto agroalimentare italiano più esportato: il valore delle vendite all’estero nel 2022 è stato di 7,9 miliardi.
Quanto alla filiera, va dai viticoltori agli addetti nelle cantine fino alla distribuzione commerciale, per allargarsi ai settori connessi, di servizio e nell’indotto, che si sono estesi negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle assicurazioni, da quella degli accessori, come cavatappi e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dalla ricerca e formazione alla divulgazione, dall’enoturismo alla cosmetica e al mercato del benessere, dall’editoria alla pubblicità, dai programmi software fino alle bioenergie ottenute dai residui di potatura e dai sottoprodotti della vinificazione (fecce, vinacce e raspi).
“Il vino è un tesoro del Made in Italy, sul cui futuro pesano però le incognite legate alle politiche adottate dall’Unione Europea, a partire dalla scelta della Commissione di dare il via libera all’introduzione di etichette allarmistiche decisa dall’Irlanda” ha scritto la Coldiretti, aggiungendo che “il nostro vino deve affrontare anche altri attacchi, quali l’autorizzazione Ue, nell’ambito delle pratiche enologiche, all’eliminazione totale o parziale dell’alcol anche nei vini a denominazione di origine, la pratica dello zuccheraggio, la produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti diversi dall’uva come lamponi e ribes, molto diffusi nei Paesi dell’Est”.
Ma a pesare, secondo la Coldiretti, sono anche i rischi legati alle richieste di riconoscimento di denominazioni che evocano le eccellenze made in Italy, come nel caso del Prosek croato, un vino dolce da dessert tradizionalmente proveniente dalla zona meridionale della Dalmazia, contro la cui domanda di registrazione tra le menzioni tradizionali il nostro Paese ha fatto ricorso, in virtù del fatto che potrebbe danneggiare il Prosecco.
“Il vino rappresenta un patrimonio del Made in Italy anche dal punto di vista occupazionale – ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – e va difeso dai tentativi di colpevolizzarlo sulla base di un approccio ideologico che non tiene contro di una storia millenaria che ha contribuito non solo a far grande il nostro settore agroalimentare, ma si inserisce appieno nella dieta mediterranea che in questi anni ha visto gli italiani primeggiare per longevità a livello europeo e mondiale”.
L’intesa testimonia lo sforzo comune tra organizzazioni d’impresa e sistema bancario per garantire livelli di costi equi e trasparenti derivanti dall’utilizzo del servizio POS, riducendo gli oneri sulle operazioni entro i 30 € e i 10 € a carico degli esercenti.
Il protocollo intende promuovere ulteriormente la digitalizzazione, la modernizzazione e la concorrenza dei servizi di pagamento ed accrescere la trasparenza attraverso uno schema standard allegato al contratto stipulato dagli esercenti con banche e gestori dei circuiti che facilita il confronto delle condizioni offerte.
Banca del Piemonte che da sempre contribuisce alla digitalizzazione e alla diffusione degli strumenti di pagamento elettronici, continua nel suo impegno a favore del territorio e delle sue imprese.
Per questo motivo, la Banca mette a disposizione delle aziende con fatturato fino a 400.000 € la possibilità di richiedere, previa contrattualizzazione con la Banca, l’azzeramento delle commissioni sulle operazioni di valore minore o uguale a 10 € effettuate tramite POS e con circuito PAGOBANCOMAT®.
Al pari, la Banca ha aderito all’iniziativa Micropagamenti Nexi; tale iniziativa prevede il rimborso delle commissioni sulle transazioni di importo fino a 10 € per i clienti merchant aderenti all’iniziativa. Gli esercenti possono aderire gratuitamente e in modo autonomo direttamente da Nexi Business (disponibile in versione App o Portale).
La promozione Micropagamenti prevede che il fatturato del singolo esercente non sia superiore a 400.000€/anno e contestualmente prevede che il totale del transato POS del singolo esercente non sia superiore a 200.000 € nell’arco dei 12 mesi precedenti a ciascun rimborso.
E’ prevista inoltre una soglia massima di 50€ sul rimborso mensile: superata questa soglia, le ulteriori commissioni saranno addebitate regolarmente secondo le condizioni di accettazione contrattualizzate da ciascun cliente.