Nelle intenzioni di ARERA (l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente), la chiusura del mercato tutelato dell’energia è prevista a gennaio 2024 per il gas e ad aprile 2024 per la luce. Le recenti dichiarazioni del ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin, tuttavia, sembrano suggerire che un’ulteriore proroga sia in arrivo, come già successo negli anni passati. In attesa dell’ufficialità del nuovo Decreto Energia, facciamo il punto della situazione.
Ottobre: un buon momento per risparmiare
Anzitutto vale la pena di ricordare che stiamo per entrare nei mesi freddi dell’anno, quelli in cui si inizia ad accendere il riscaldamento e si utilizza più acqua calda, e di conseguenza si consuma più gas. È dunque un buon momento per verificare la convenienza della propria tariffa energetica ed eventualmente valutare un cambio di fornitore, scegliendo un’offerta migliore nel mercato libero dell’energia in vista dell’inverno. A questo scopo, esistono servizi gratuiti come quello fornito da Switcho che, a seguito del caricamento della bolletta, analizza la tariffa e i consumi attuali e consiglia se conviene cambiare fornitore, indicando l’offerta che garantisce il maggiore risparmio e gestendo la burocrazia dell’attivazione. Una buona opportunità per essere certi di non sprecare soldi in bolletta a causa di tariffe non ottimizzate.
Mercato tutelato e mercato libero dell’energia
Abbiamo citato queste due forme di mercato energetico, ma di cosa si tratta nel pratico?
Nel mercato tutelato è ARERA a decidere e modificare periodicamente i prezzi di energia elettrica e gas, con variazioni che dipendono, per esempio, dall’andamento dei costi all’ingrosso delle materie prime. Il prezzo dell’energia, quindi, è uguale per tutti e non c’è possibilità di scelta.
Nel mercato libero i fornitori energetici possono competere offrendo condizioni e tariffe personalizzate, tra cui i consumatori possono scegliere senza vincoli. Il prezzo dell’energia è stabilito dal singolo fornitore e varia da offerta a offerta.
Attualmente, circa un consumatore su tre in Italia si trova ancora nel mercato tutelato, mentre due su tre hanno già effettuato la transizione al libero. L’intenzione è quella di arrivare alla completa liberalizzazione del mercato energetico: ecco perché si parla di fine del mercato tutelato.
Fine del mercato tutelato: come funziona per il gas
Il primo dettaglio da considerare è la distinzione tra clienti vulnerabili e clienti non vulnerabili. La fine del mercato tutelato vale infatti solo per questi ultimi, mentre i vulnerabili potranno continuare a usufruire delle condizioni stabilite dall’Autorità. Nel caso della fornitura di gas, sono considerati clienti vulnerabili gli over 75, quelli che si trovano in condizioni economiche svantaggiate, quelli che soffrono di disabilità e quelli la cui utenza è in un’abitazione di emergenza.
Secondo le date attualmente previste, per tutti i clienti non vulnerabili il regime di tutela del gas scadrà il 1° gennaio 2024. Se non si effettuerà autonomamente il passaggio al mercato libero per tempo, non si subiranno comunque penali o interruzioni della fornitura: da inizio 2024 si passerà in automatico a un’offerta PLACET (Prezzo Libero a Condizioni Equiparate di Tutela) del mercato libero, mantenendo il fornitore attuale e con la maggior parte delle voci di costo in bolletta che continueranno a essere definite da ARERA.
Come anticipato, tuttavia, la data del 1° gennaio potrebbe essere rivista a breve dal nuovo Decreto Energia preparato dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Si parla di una proroga di 6 o 12 mesi.
Fine del mercato tutelato: come funziona per la luce
Anche per l’elettricità vale la medesima distinzione tra clienti vulnerabili e non vulnerabili: i primi resteranno in regime di tutela anche dopo la scadenza prevista da ARERA, che in questo caso è il 1° aprile 2024. Le condizioni che determinano la vulnerabilità di un soggetto sono le stesse del gas, a cui però vanno aggiunte la necessità di utilizzare strumenti medici alimentati elettricamente e la collocazione dell’utenza in un’isola minore non connessa.
Cosa succederà il 1° aprile ai clienti non vulnerabili che non saranno ancora passati al mercato libero? Ci sono alcune importanti differenze rispetto al gas. L’offerta sarà sempre una PLACET, ma il fornitore potrebbe cambiare perché sarà assegnato in automatico tramite apposite procedure concorsuali. Anche la tipologia di mercato varierà: non sarà il libero,ma sarà quello che viene definito servizio a tutele graduali, il meccanismo stabilito da ARERA proprio per accompagnare i consumatori nel passaggio graduale al mercato libero e che è già stato sperimentato di recente con le PMI e le microimprese.
Anche per l’energia elettrica, la scadenza del mercato tutelato potrebbe slittare in base a quanto definito nel prossimo Decreto Energia.
Decreto Energia 2023: gli altri interventi
Il decreto non interverrà solamente sull’eventuale proroga del regime tutelato dell’energia, ma dovrebbe includere altre importanti misure. Ad esempio:
L’estensione del bonus sociale in bolletta, che garantisce sconti in base a determinati criteri di reddito ISEE e che a oggi dovrebbe scadere il 30 settembre 2023.
La possibilità per i Comuni di candidarsi per ospitare un deposito di scorie nucleari.
La selezione di zone idonee per le energie rinnovabili e per l’eolico offshore.
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La vendemmia in Italia mette in moto un “esercito del vino”, che conta 1,5 milioni di persone, fra quelle impegnate direttamente nei campi, nelle cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche quelle nelle attività collegate, dall’enoturismo alla cosmetica fino alle bioenergie.
È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti, in occasione della divulgazione delle stime a metà vendemmia, che confermano sostanzialmente quelle diffuse dalla principale organizzazione agricola il 3 agosto scorso, all’inizio della raccolta.
La produzione italiana 2023 è prevista intorno ai 43,9 milioni di ettolitri, in calo del 12% rispetto al 2022 e facendo entrare quest’anno vinicolo fra i peggiori dell’ultimo secolo per quantità, insieme al 1948, al 2007 e al 2017.
Il risultato è che, per la prima volta dopo tanto tempo, l’Italia potrebbe non risultare più il maggiore produttore mondiale di vino, venendo superata in quantità dalla Francia, che dovrebbe arrivare a 45 milioni di ettolitri.
“La sfida con i cugini francesi, comunque, è soprattutto sulla valorizzazione della produzione che in Italia si attende comunque di alta qualità e – sottolinea la Coldiretti – può contare su 635 varietà iscritte al registro viti, il doppio rispetto ai francesi, con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg) e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt); mentre il restante 30% della produzione nazionale è costituito da vini da tavola. A dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità, con vini locali di altissima qualità grazie a una tradizione millenaria”.
Il processo di qualificazione del vino Made in Italy è confermato dal successo dell’export, anche in Francia, dove si bevono sempre più bottiglie italiane (+18,5% nei primi cinque mesi del 2023).
Il vino è il prodotto agroalimentare italiano più esportato: il valore delle vendite all’estero nel 2022 è stato di 7,9 miliardi.
Quanto alla filiera, va dai viticoltori agli addetti nelle cantine fino alla distribuzione commerciale, per allargarsi ai settori connessi, di servizio e nell’indotto, che si sono estesi negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle assicurazioni, da quella degli accessori, come cavatappi e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dalla ricerca e formazione alla divulgazione, dall’enoturismo alla cosmetica e al mercato del benessere, dall’editoria alla pubblicità, dai programmi software fino alle bioenergie ottenute dai residui di potatura e dai sottoprodotti della vinificazione (fecce, vinacce e raspi).
“Il vino è un tesoro del Made in Italy, sul cui futuro pesano però le incognite legate alle politiche adottate dall’Unione Europea, a partire dalla scelta della Commissione di dare il via libera all’introduzione di etichette allarmistiche decisa dall’Irlanda” ha scritto la Coldiretti, aggiungendo che “il nostro vino deve affrontare anche altri attacchi, quali l’autorizzazione Ue, nell’ambito delle pratiche enologiche, all’eliminazione totale o parziale dell’alcol anche nei vini a denominazione di origine, la pratica dello zuccheraggio, la produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti diversi dall’uva come lamponi e ribes, molto diffusi nei Paesi dell’Est”.
Ma a pesare, secondo la Coldiretti, sono anche i rischi legati alle richieste di riconoscimento di denominazioni che evocano le eccellenze made in Italy, come nel caso del Prosek croato, un vino dolce da dessert tradizionalmente proveniente dalla zona meridionale della Dalmazia, contro la cui domanda di registrazione tra le menzioni tradizionali il nostro Paese ha fatto ricorso, in virtù del fatto che potrebbe danneggiare il Prosecco.
“Il vino rappresenta un patrimonio del Made in Italy anche dal punto di vista occupazionale – ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – e va difeso dai tentativi di colpevolizzarlo sulla base di un approccio ideologico che non tiene contro di una storia millenaria che ha contribuito non solo a far grande il nostro settore agroalimentare, ma si inserisce appieno nella dieta mediterranea che in questi anni ha visto gli italiani primeggiare per longevità a livello europeo e mondiale”.
L’intesa testimonia lo sforzo comune tra organizzazioni d’impresa e sistema bancario per garantire livelli di costi equi e trasparenti derivanti dall’utilizzo del servizio POS, riducendo gli oneri sulle operazioni entro i 30 € e i 10 € a carico degli esercenti.
Il protocollo intende promuovere ulteriormente la digitalizzazione, la modernizzazione e la concorrenza dei servizi di pagamento ed accrescere la trasparenza attraverso uno schema standard allegato al contratto stipulato dagli esercenti con banche e gestori dei circuiti che facilita il confronto delle condizioni offerte.
Banca del Piemonte che da sempre contribuisce alla digitalizzazione e alla diffusione degli strumenti di pagamento elettronici, continua nel suo impegno a favore del territorio e delle sue imprese.
Per questo motivo, la Banca mette a disposizione delle aziende con fatturato fino a 400.000 € la possibilità di richiedere, previa contrattualizzazione con la Banca, l’azzeramento delle commissioni sulle operazioni di valore minore o uguale a 10 € effettuate tramite POS e con circuito PAGOBANCOMAT®.
Al pari, la Banca ha aderito all’iniziativa Micropagamenti Nexi; tale iniziativa prevede il rimborso delle commissioni sulle transazioni di importo fino a 10 € per i clienti merchant aderenti all’iniziativa. Gli esercenti possono aderire gratuitamente e in modo autonomo direttamente da Nexi Business (disponibile in versione App o Portale).
La promozione Micropagamenti prevede che il fatturato del singolo esercente non sia superiore a 400.000€/anno e contestualmente prevede che il totale del transato POS del singolo esercente non sia superiore a 200.000 € nell’arco dei 12 mesi precedenti a ciascun rimborso.
E’ prevista inoltre una soglia massima di 50€ sul rimborso mensile: superata questa soglia, le ulteriori commissioni saranno addebitate regolarmente secondo le condizioni di accettazione contrattualizzate da ciascun cliente.
Tecnologie digitali, nuove formule organizzative aziendali e nuovi modelli di business: quasi il 70% delle imprese ha investito in almeno uno di questi ambiti della trasformazione digitale nel 2022 e il 41,4% ha adottato strategie di investimento integrate in grado di combinare queste tre aree. Entrambi i dati risultano superiori ai valori medi del quinquennio 2017-2021.
Per accompagnare la transizione 4.0, l’anno scorso, le imprese hanno affiancato alla dotazione tecnologica figure specializzate, cui è richiesto un portafoglio di competenze digitali da applicare ai diversi processi aziendali: si va dagli analisti e progettisti di software, agli ingegneri elettronici e in telecomunicazioni, fino agli ingegneri energetici e meccanici.
Tra le figure tecniche spiccano i programmatori, i tecnici web e quelli esperti in applicazioni, ma anche i tecnici dell’organizzazione della gestione dei fattori produttivi.
È quanto emerge dalle analisi dei dati del Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, realizzate in collaborazione con il Centro Studi Tagliacarne.
Complessivamente, le imprese hanno richiesto le competenze digitali di base per la comunicazione visiva e multimediale a 3,3 milioni di profili professionali ricercati (pari al 64% del totale delle assunzioni programmate), le abilità relative all’utilizzo di linguaggi e metodi matematici e informatici per circa 2,7 milioni di posizioni (il 51,9%) e la capacità di gestione di soluzioni innovative 4.0 per 1,9 milioni (il 37,5%).
Le indagini Excelsior evidenziano una crescita diffusa delle difficoltà di reperimento, che si intensificano al crescere del grado di importanza attribuito alle competenze richieste per lo svolgimento della professione.
In particolare, si passa da una difficoltà di reperimento del 41,8% nel caso di richiesta della competenza digitale di base al 44,2% per il grado di importanza elevato; per le capacità matematico-informatiche il gap è anche più ampio (dal 42,7% al 47,7%), mentre per le competenze 4.0 la difficoltà varia dal 43,7% al 47,1%.
Per gestire le sfide tecnologiche e gestionali che le imprese devono affrontare è strategico il possesso di e-skill combinate tra loro.
Nel 2022, la domanda di e-skill mix (ossia la padronanza di almeno due delle tre competenze digitali) ha riguardato 823mila posizioni (646mila l’anno precedente): il mix di competenze digitali è richiesto ai laureati per il 49,9% delle assunzioni, in particolare nelle materie Stem come ingegneria elettronica e dell’informazione (87,5%) e scienze matematiche e fisiche ed informatiche (87,2%).
La percentuale più alta (54,1%) di richiesta di e-skill mix riguarda però i diplomati Its Academy, a dimostrazione della centralità di questi percorsi formativi nei processi di trasformazione digitale e del loro stretto collegamento con le esigenze del tessuto imprenditoriale e produttivo.
Per i profili in possesso di tali mix di competenze le difficoltà di reperimento raggiungono il 47,3% della domanda (7,1 punti percentuali in più rispetto al 2021); in particolare si concentrano nell’ambito delle professioni specialistiche legate all’implementazione dei processi di digitalizzazione, quali matematici, statistici e professioni assimilate (l’82,7% delle entrate per le quali il mix di competenza è ritenuto strategico è di difficile reperimento), ingegneri elettrotecnici (80,8%), ingegneri elettrotecnici (71,3%), analisti e progettisti di software (64,7%) e progettisti e amministratori di sistemi informatici (64,2%).
A livello territoriale, a programmare il maggior numero di assunzioni per richiesta di capacità di utilizzare linguaggi e metodi matematici e informatici con grado di importanza elevato sono le province di Milano (oltre 113mila), Torino (44mila), Bologna (23mila) e Brescia (22mila).
Per quanto riguarda le competenze digitali di base, sono molto importanti, nell’ordine, per circa 168mila lavoratori ricercati in provincia di Milano, per 126mila a Roma, per quasi 57mila a Torino e per oltre 55mila in provincia di Napoli.
Le stesse province occupano le prime quattro posizioni nella graduatoria dei territori in cui è importante il possesso di competenze 4.0, rispettivamente per 80mila assunzioni programmate in provincia di Milano, quasi 56mila in quella di Roma, oltre 30mila a Napoli e circa 29mila a Torino.