Le assicurazioni non saranno desiderabili ma sono utili. L’assicurazione è un prodotto economico strano, perché le uscite sono certe (si paga) ma le entrate no (veniamo pagati solo se succede qualcosa che non vorremmo accadesse). Inoltre, le pubblicità sulle assicurazioni parlano sempre di catastrofi, e la vita è già così complicata che confrontarci con i guai è l’ultima cosa che ci piace fare. Eppure, un mondo senza assicurazioni sarebbe orribilmente insicuro e vulnerabile. Per questo, vale la pena di fare un piccolo viaggio negli strumenti che ci rendono più sicuri.
Polizze o assicurazioni
Quando si pensa alle assicurazioni, la prima cosa che ci viene in mente è una polizza. Nella realtà, la polizza è un contratto, e confondere i contratti con i loro oggetti non è una buona cosa. La nostra casa non è il mutuo che abbiamo stipulato, e la nostra macchina non è il contratto di finanziamento che ci consente di comprarla. Così, la sicurezza non è una polizza ma un obiettivo umano, da sempre e per sempre: quello di essere sereni perché ci si è protetti. A questo serve assicurarsi.
“La sicurezza non è una polizza ma un obiettivo umano, da sempre e per sempre: quello di essere sereni perché ci si è protetti.”
Briciole di storia
Le assicurazioni sono relativamente moderne. La prima Compagnia Assicuratrice della quale si ha notizia nacque a Londra, pochi anni dopo il grande incendio del 2 settembre 1666, che distrusse una città appena decimata dalla peste. Le Compagnie applicarono, per prime, quel concetto di mutualità che secondo molti studiosi ha creato la società moderna e consentito giganteschi passi avanti all’umanità. Se, infatti, prima della mutualità ognuno in caso di incendi, morte o malattie doveva cavarsela da solo e per i meno ricchi questo era impossibile, con la mutualità assicurativa tanti si privano di poco per aiutare quei pochi che, in seguito a un evento negativo, non sarebbero in grado di fronteggiarlo.
In Italia le prime assicurazioni nascono all’inizio dell’800 e si impegnarono direttamente nel finanziamento delle guerre di indipendenza e nella creazione dell’Unità d’Italia. Il 4 aprile 1912 la legge Giolitti-Nitti nazionalizzò il mercato assicurativo vita, che sino a quel momento stava destinando gran parte dei risparmi verso assicurazioni che facevano allora capo all’Impero Asburgico, ossia all’imminente nemico della Prima guerra mondiale. Nel secondo dopoguerra proseguì la tutela pubblica delle assicurazioni, che stabilì un trattamento fiscale privilegiato per chi si assicurava. Questo incentivo pubblico verrà rinforzato nel 2000, istituendo una fiscalità molto agevolata per chi si dota di una propria previdenza complementare.
In sintesi, l’assicurazione è uno strumento privato con finalità pubbliche, destinato al bene comune. La definizione più sintetica del loro senso è stata data dal Prof. Antonio La Torre: “privarsi di poco per non doversi mai privar di molto”.
A cosa serve assicurarsi
Oggi difficilmente intere città si incendiano, e la peste si può considerare debellata. I rischi che riguardano la nostra vita sono diversi ma crescono con la crescente complessità delle nostre vite e del mondo che ci circonda. Quel che noi dovremmo tenere sotto controllo sono 5 categorie di rischi:
– La probabilità di vivere troppo poco o troppo a lungo (assicurazioni sulla vita) – La necessità di doverci curare, presto e bene (assicurazioni sanitarie) – Subire danni patrimoniali per rischi che riguardano i nostri beni (assicurazioni furto e incendio casa ed automobile, tutela contro calamità atmosferiche, sottrazione identità digitale, vandalismi ecc) – Dover rispondere di un danno involontario causato da noi per la conduzione di un immobile o durante la vita privata (assicurazioni di responsabilità civile)
La legge ci obbliga ad assicurarci quando un nostro comportamento può generare un danno ad altri che potremmo non essere in grado di risarcire; è questo il caso della responsabilità civile autoveicoli, che tutti dovremmo acquistare volentieri, dato che ci libera da un peso enorme. Non si può né deve tuttavia obbligare le persone ad assicurarsi per ogni cosa, e la stessa Costituzione, nell’articolo 38, specifica che l’assistenza privata è libera.
Buona parte delle tutele dai rischi della nostra vita quotidiana spetta a noi. Perché, allora, ne usufruiamo troppo poco?
i tassi di interesse aumentano. Chi ha un mutuo a tasso variabile, deve monitorare continuamente la variazione di rata e la relativa sostenibilità. Chi invece ha un mutuo a tasso fisso, dovrebbe attendere condizioni migliori.
I tassi di interesse si riducono. La surroga andrebbe valutata nella sua convenienza sia per chi ha un mutuo a tasso fisso sia per chi ha un mutuo a tasso variabile. La convenienza dipende dalle nuove situazioni di mercato e dalla durata rimanente di rimborso.
L’inflazione aumenta. Quando l’inflazione aumenta, si produce un beneficio indiretto per i debitori, che pagando rate nominali (ad esempio 500 euro al mese per 20 anni), beneficiano di una riduzione del valore reale dell’impegno finanziario. Questo perché in termini reali, il valore sborsato è minore. Tuttavia, in caso di inflazione crescente, aumentano le probabilità di un aumento dei tassi di interesse ufficiali, al fine di rallentare l’economia, e quindi ricadiamo al punto 1).
“I rischi che riguardano la nostra vita sono diversi ma crescono con la crescente complessità delle nostre vite e del mondo che ci circonda.”
Come funzionano
Come spesso accade, si ha diffidenza per quel che non si conosce. È dunque bene sapere che il settore assicurativo è sottoposto a un sistema di tutele rigorosissimo, a partire dalla formazione del prezzo, che in assicurazione viene chiamato premio. Le Compagnie Assicurative devono infatti partire da statistiche, pubbliche e dimostrabili, e sulla base del loro esborso atteso definiscono i costi dei prodotti, considerando anche possibili rischi in eccesso rispetto a quelli stimati, per garantire l’equilibrio dei bilanci. Al costo “puro” vanno aggiunti il lavoro delle risorse umane di sede (matematici, amministrativi, informatici, gestori, legali e tutte le altre figure che lavorano in una Compagnia) e dei distributori (Banche, reti agenziali, consulenti e tutti coloro che dedicano ore di lavoro a interagire con i clienti, effettivi o solo potenziali). Ogni fase della formazione del prezzo deve essere resa trasparente alle Istituzioni di controllo, così come i costi devono essere resi evidenti agli acquirenti. In sintesi, nella formazione del premio nulla è casuale, e tutto deve essere motivato e monitorato. Se i rischi coperti sono anche futuri, le normative impongono riserve (immobilizzazioni) di capitali che devono ammortizzare eventuali differenze tra le ipotesi di oggi e le prestazioni che dovranno essere garantite e pagate in futuro.
“Il settore assicurativo è sottoposto a un sistema di tutele rigorosissimo, a partire dalla formazione del prezzo, che in assicurazione viene chiamato premio.”
Calcoli e controlli rigorosi, ingenti capitali, molte professionalità, forti riserve e capitali immobilizzati. Anche per questo, le Compagnie assicuratrici non sono molte. È il costo di svolgere una funzione di utilità ed interesse pubblico.
Come usarle
Le assicurazioni sono più semplici delle polizze, e si basano su alcune logiche di fondo. Per i consumatori, è bene distinguere tra:
– Assicurazioni forfetarie o indennitarie. Le prime stabiliscono la cifra che verrà garantita per contratto, le seconde risarciranno i danni effettivamente subiti, non quantificabili prima che accadano.
– Assicurazioni di rendita o di capitale. Le prime servono per la pensione, perché garantiscono un flusso di denaro per tutta la vita, le seconde servono per far fronte a rischi che richiedono disponibilità immediate ed “una tantum” di denaro.
– Assicurazioni a forte contenuto demografico o basate su investimenti e denominate IBIPs (Investment Based Insurance Products, ossia prodotti assicurativi basati su investimenti). Le prime servono per far fronte a rischi che non sapremmo sopportare, le seconde a investire nei mercati finanziari ed hanno, rispetto agli investimenti veri e propri, un vantaggio di tipo fiscale.
– Assicurazioni a premio unico o a premio periodico. Nelle prima si paga una sola volta e si è tutelati per la durata contrattuale, le seconde richiedono versamenti periodici. Qui, la scelta è più legata alla comodità di pagare tutto e subito o un poco alla volta, ma la forma di tutela non cambia.
– Assicurazioni monoannuali o pluriennali. Le prime ci assicurano per un solo anno, e vanno rinnovate di continuo, con il rischio che i prezzi oscillino. Le seconde hanno una durata lunga, e servono a tutelarci per rischi che si protraggono nel tempo (premorienza, invalidità, spese sanitarie, integrazioni pensionistiche).
È sempre utile, inoltre, chiedere al proprio consulente cosa è incluso e cosa escluso nelle garanzie previste dal contratto, e se ci sono scoperti o franchigie, ossia piccole parti di rischio che l’assicurazione non risarcisce perché possono essere serenamente gestite dagli assicurati e quindi non richiedono il servizio assicurativo. Se ci sono franchigie o scoperti, le assicurazioni costano meno.
Conclusioni
Le assicurazioni sono, da sempre, al centro delle riflessioni filosofiche, politiche, economiche perché svolgono una funzione sociale insostituibile. Dovremmo, quindi, usarle di più ma usarle anche meglio, evitando di farle durare troppo poco, di assicurare importi bassi e di spendere il giusto per ciò che ci serve.
La pensione è un pensiero strano, che da un lato ci attrae e dall’altro ci spaventa. Il timore, generale, è quello di dover fare attenzione alle piccole e grandi spese, perché i soldi non saranno sufficienti.
In questo quadro, dovremmo almeno fare i conti con le nostre pensioni pubbliche, ma anche questo ci è difficile, perché ci è stato spiegato che le logiche sono complicate, i conti non tornano e così via.
In realtà, i conti tornano ma è altrettanto vero che le pensioni pubbliche sono poco adeguate alla qualità della vita che vorremmo. La previdenza funziona in maniera semplice e la pensione di ognuno di noi dipenderà da quanti contributi versiamo e verseremo. Se lavoriamo per tanto tempo o con redditi alti avremo pensioni sostanziose, diversamente accumuleremo pochi contributi previdenziali.
Il problema è che, seppur versiamo “tanto”, la durata dei versamenti è di poco inferiore al tempo di vita, lunghissimo, che passeremo in pensione. In teoria, dovremmo versare ancor di più ma questo abbasserebbe redditi già poco eclatanti e quindi?
Ministoria
La pensione è un concetto abbastanza recente, della fine del XIX secolo. Nasce a capitalizzazione: ognuno versa per sé e per il suo futuro. Le riserve future dei pensionati vennero tuttavia distrutte dall’inflazione della seconda guerra mondiale e 1000 lire, in nove anni, si ridussero, in termini di potere d’acquisto, a 22. In un Paese che esce malconcio dalla guerra, ma che è pieno di giovani e povero di pensionati, è naturale pensare che si possa risolvere il problema passando da “ognuno versa per sé” a un patto generazionale nel quale tanti giovani versano soldi per pochi anziani.
Ora le cose sono cambiate, abbiamo pochi giovani e molti anziani e non c’è riserva ma ripartizione. I soldi di chi lavora pagano, quasi “in diretta” le pensioni. I calcoli, tuttavia, rimangono “personali” (anche se come abbiamo visto la cassa non c’è). Di conseguenza, ciascuno avrà indietro una pensione corretta rispetto a quanto ha versato ma… la avremo davvero tutti? E quando? E come capire se sarà sufficiente?
“Siamo passati da ‘ognuno versa per sé’ a un patto generazionale nel quale tanti giovani versano soldi per pochi anziani”
Per chi, perchè
Il fatto che ognuno avrà una pensione che deriva dai versamenti ci dice che la pensione è un beneficio per chi ha lavorato e non per tutti. Chi non ha lavorato, o non a sufficienza, non ha pertanto diritto alla pensione ma solo, in caso di necessità, ad assegni di inclusione o redditi assistenziali.
La buona notizia, tuttavia, è che ogni lavoro prevede il versamento di contributi, e quindi ciascun lavoratore matura contributi previdenziali. La gran parte di questi contributi confluisce in INPS ma ci sono diverse casse professionali, relative a categorie diverse dal lavoro dipendente, artigianale o commerciante. Ogni categoria che si è dotata di una propria cassa previdenziale ha regole proprie, ma oramai tendenzialmente tutti i sistemi stanno confluendo verso modelli simili: ciascuno versa contributi, ed al termine del lavoro questi si trasformeranno in pensioni in maniera equa.
Di seguito faremo riferimento al mondo INPS. La possibilità di andare in pensione di solito è legata all’età, ma anche al numero di anni di versamenti. Tipicamente, ciascuno esamina la propria situazione per capire se si può andare in pensione di vecchiaia o in pensione anticipata. La pensione di vecchiaia si raggiunge ad una data età purché si sia versato per un certo numero di anni. La pensione anticipata, diversamente, non considera le età ma solo i versamenti, ancora differenziati per genere.
Questo è il criterio generale, che tuttavia varia in funzione dell’inizio del lavoro. La data che distingue i requisiti è il 1 gennaio 1996. Chi già lavorava avrà alcune possibilità, chi ha iniziato a lavorare dopo quella data ha un sistema un po’ diverso.
Requisiti per meno giovani
Chi ha iniziato a lavorare (più precisamente, a versare) prima della fine del 1995 può andare in pensione di vecchiaia a 67 anni con 20 anni di contribuzione o in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi se uomo e 41 anni e 10 mesi se donna.
Entrambi i requisiti sono mobili, nel senso che vengono aggiornati ogni due anni in funzione dell’allungamento della speranza di vita. In pratica, se la vita media si allunga di 3 mesi, l’età della pensione si sposterà in avanti di 3 mesi e così via. Se il numero di anni di versamenti non è sufficiente per conseguire il diritto, ci sono due possibilità: riscattare gli anni di laurea se la si è conseguita o proseguire i versamenti anche dopo la fine del lavoro, in maniera volontaria.
Requisiti per più giovani
Chi ha iniziato a lavorare (più precisamente, a versare) dopo la fine del 1995 può andare in pensione di vecchiaia a 67 anni con 20 anni di contribuzione o in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contribuzione se uomo e 41 anni e 10 mesi di contribuzione se donna. C’è però una ulteriore possibilità, che consiste nell’andare in pensione a 64 anni a condizione che si sia versato per almeno 25 anni e il calcolo della pensione sia almeno pari a 3 volte l’assegno sociale, ossia a 1.616 euro al mese.
Per agevolare questa possibilità, il calcolo della pensione comprende anche le pensioni complementari, quelle che potremmo avere se sottoscriviamo un fondo pensione. Anche in questo caso i requisiti sono mobili, nel senso che vengono aggiornati ogni due anni in funzione dell’allungamento della speranza di vita, ed anche qui se il numero di anni di versamenti non è sufficiente si può riscattare la laurea o proseguire i versamenti. C’è tuttavia una terza possibilità, ed è quella di maturare un importo complessivo tra previdenza pubblica e complementare che consenta di smettere di lavorare prima.
Se non si raggiungono i requisiti pensionistici “standard” bisogna aspettare 71 anni. In quel caso gli anni di contribuzione necessari sono solamente 5.
Le uscite di sicurezza
È strano dirlo, ma in Italia oltre ai sistemi di regole ci sono, spesso, possibilità temporanee di anticipare le età della pensione. Le più note sono Opzione Donna e Quota 103. Queste possibilità consentono di andare in pensione prima del dovuto, ma non in maniera “gratuita”. Ogni possibilità di andare in pensione “prima del dovuto” prevede, infatti, penalizzazioni negli importi o sistemi di calcolo che, a conti fatti, risultano poco convenienti, a meno che l’anticipo non sia così essenziale o necessario da pagarne un prezzo. Ognuno, naturalmente, deve valutare soggettivamente il costo di rimanere al lavoro o disporre di maggiore tempo per sé e le proprie passioni. Prima di fare scelte, tuttavia, sarebbe bene simulare con precisione la diminuzione dell’assegno pensionistico.
“Ognuno, naturalmente, deve valutare soggettivamente il costo di rimanere al lavoro o disporre di maggiore tempo per sé e le proprie passioni”
Qualche calcolo
Inutile negarlo: siamo generalmente affaticati, e l’idea di lasciare il lavoro e dedicarci alle persone che amiamo ed alle nostre passioni spesso è più attrattiva di quella di continuare a lavorare. Tuttavia, il numero di anni che passeremo in pensione è così elevato che prima di smettere di lavorare è necessario fare qualche calcolo per capire se quello che si avrà ci consentirà la vita che desideriamo.
I calcoli sull’importo pensionistico, nella realtà, si possono fare in maniera esatta solo alla fine del lavoro. Prima si possono, tuttavia, fare ipotesi accurate per indirizzare le proprie traiettorie verso la stabilità prima che sia troppo tardi. In tutti i casi, le logiche di calcolo sono molto semplici: i nostri contributi, obbligatori, che nei fatti vengono usati per pagare i pensionati di oggi, contabilmente generano un capitale, che si chiama montante contributivo. Per dare ad ognuno di noi una pensione equa, INPS divide questo capitale per il numero di anni medi che passeremo in pensione e ottiene una rendita, che ci verrà pagata mese per mese finché vivremo.
La tabella mostra l’esito di questa operazione. Tecnicamente, INPS pubblica divisori che rappresentano proprio il numero di anni nel quale ci si attende di pagare l’assegno a chi va in pensione alle età indicate. Ad esempio: il coefficiente 5,250% riferito ad un 65enne, significa che INPS stima di pagare la sua pensione per 19,04 anni. Dividendo il capitale maturato dai contributi per questa cifra, il nostro 65enne avrà indietro una pensione equa per lui e che non mette in crisi i conti del sistema.
Qual è tuttavia il risultato concreto di tutti questi meccanismi, regole, evidenze? Vale la pena di tradurre le regole in numeri, e di farci una idea di quel che potrà accaderci. Le tabelle che seguono indicano quanta pensione possiamo attenderci in percentuale sull’ultimo reddito.
Che fare?
La prima indicazione che ci sentiamo di dare è di non considerare i versamenti pubblici come un obbligo sgradito, ma come benzina per costruire un domani che sarà insufficiente ma comunque c’è.
È in ogni caso evidente che i calcoli saranno equi in termini aritmetici ma non consentono una vita qualitativamente prospera e serena. Quindi, e senza indugio, è bene dedicare parte del proprio risparmio alla costruzione di un futuro pensionistico più stabile, utilizzando le forme e gli strumenti messi a disposizione dal mercato finanziario e previdenziale. Inoltre:
Interessatevi della vostra situazione, visitate i siti della vostra cassa previdenziale pubblica, scaricate i vostri estratti conto contributivi, simulate tempi ed importi
Valutate l’adeguatezza degli importi alla vostra situazione attuale ed a quella desiderata, valutando, conti alla mano, che vita potreste fare con quelle somme mensili e ragionando sulla propria autonomia e indipendenza finanziaria. Non è infatti né giusto né rassicurante dover dipendere per tanti anni dai supporti del coniuge, dei figli, delle assistenze pubbliche
Se l’esito delle valutazioni non è rassicurante, pensate, da subito, alle strategie più adeguate per fare fronte ad una longevità che non può essere subita, ma va preparata con cura
Le uscite di sicurezza
È strano dirlo, ma in Italia oltre ai sistemi di regole ci sono, spesso, possibilità temporanee di anticipare le età della pensione. Le più note sono Opzione Donna e Quota 103. Queste possibilità consentono di andare in pensione prima del dovuto, ma non in maniera “gratuita”. Ogni possibilità di andare in pensione “prima del dovuto” prevede, infatti, penalizzazioni negli importi o sistemi di calcolo che, a conti fatti, risultano poco convenienti, a meno che l’anticipo non sia così essenziale o necessario da pagarne un prezzo. Ognuno, naturalmente, deve valutare soggettivamente il costo di rimanere al lavoro o disporre di maggiore tempo per sé e le proprie passioni. Prima di fare scelte, tuttavia, sarebbe bene simulare con precisione la diminuzione dell’assegno pensionistico.
“È bene dedicare parte del proprio risparmio alla costruzione di un futuro pensionistico più stabile”
Conclusioni
Le prestazioni offerte dal sistema pensionistico italiano sono eque, ma potrebbero non bastare o potremmo non averne diritto. Per questo andrebbero integrate con strumenti previdenziali adeguati e capaci di metterci al sicuro di fronte a un nuovo grande rischio della vita: quello di vivere più a lungo dei propri soldi.
Spesso siamo così affaticati da cercare prevalentemente leggerezza. Lavoro, figli, affetti, soldi… i motivi di incertezza sono tanti, e talvolta ci sembra che il fatto di avere una casa riscaldata, una cena accogliente e nessuna brutta notizia sia già una conquista. Così, non troviamo la forza e il tempo per proteggere le nostre piccole e grandi conquiste fino a che, al primo imprevisto, capiamo che avremmo dovuto prevenirlo o mitigarne le conseguenze.
Proteggersi non è un episodio ma un comportamento abitudinario. Vedremo, di seguito, cosa implica e a cosa prestare attenzione.
Pericoli o rischi
La prima cosa da tenere in conto è che pericolo e rischio sono due cose diverse. Il pericolo è una fonte potenziale di rischi. Guidare può essere pericoloso, salire su una scala traballante, sciare fuori pista o nuotare col mare mosso sono attività pericolose. Un rischio è l’esito possibile di una attività pericolosa e può essere in qualche misura stimato. Le stime riguardano due aspetti. Il primo è la probabilità, che ci indica quante sono le possibilità percentuali che il pericolo generi un danno. Il secondo aspetto consiste nella gravità del danno e ci fa capire se saremmo o meno in grado di fronteggiarlo.
“Un rischio è l’esito possibile di una attività pericolosa e può essere in qualche misura stimato”
Il percorso più logico
Per capire quali rischi possono riguardarci e quali no, è bene considerare alcune cose:
– chi o cosa è necessario proteggere
– da quali rischi
– per quanto tempo
– di quanti soldi dovremmo disporre se il rischio si verifica
Il chi e cosa ci indicano quali persone e cose vanno considerate. In genere, alcuni rischi riguardano noi. Tra questi, la possibilità di rimanere invalidi e non poter più lavorare. Altri rischi riguardano le persone vicine. Ad esempio, la non autosufficienza di un genitore. Infine, ci sono danni che non riguardano persone ma cose, e che avrebbero un grande impatto negativo sulla qualità del vivere. Ne fanno parte, ad esempio, il patrimonio immobiliare (la casa) e quello finanziario (cosa succederebbe se fossimo chiamati a risarcire un grave danno prodotto ad altri?).
I rischi dai quali proteggersi sono molti, ma non troppi, ed alcuni sono personali e non generali. Ognuno di noi dovrebbe immaginare se il venire a mancare di un reddito, della salute o di oggetti e cose di valore metterebbe in crisi la propria stabilità. In termini generali, dovremmo considerare:
i rischi legati alla salute, derivanti da malattie o infortuni
– la possibilità di venire a mancare lasciando altre persone con reddito insufficiente
– la perdita di reddito per invalidità
– la responsabilità civile verso terzi per danni che causiamo ad altri accidentalmente
– la possibilità di subire danni patrimoniali alla casa o alle cose a seguito di furto, incendio e smarrimento
– la probabilità di vivere molto a lungo in pensione, più a lungo dei propri soldi
– la sottrazione di soldi per furto di identità digitale
Per ognuno di questi punti dovremmo simulare per quanto tempo può durare quel rischio e, soprattutto, di quanto denaro avremmo bisogno per ritornare alle condizioni di partenza, “prima del verificarsi del rischio stesso”. La tabella evidenzia il percorso consigliato ma non bisogna preoccuparsi della compilazione perfetta. Serve, infatti, a riflettere prima di confrontarsi con chi ha esperienza e competenza sui rischi che corriamo.
La protezione è, innanzitutto, prendere il controllo sui propri rischi e porsi domande sulla capacità di sopportarne le conseguenze. Domandarsi quali rischi corriamo, chi proteggere e per quanto tempo non costa nulla, e consente maggiore sicurezza e serenità.
Il progetto protezione: le 3 fasi
Certo, dover far fronte a una grande spesa perché non si è pensato a un rischio non è mai semplice, specie se ricorre l’idea che “avremmo dovuto pensarci prima”. Per questo, è bene ricordarsi che gestire un rischio vuol dire qualcosa in più che fare i conti. La gestione di un rischio, infatti, è un percorso continuo che comprende 3 fasi: educazione, prevenzione, tutela.
– L’educazione aumenta il nostro sapere e si propone di aumentare le nostre capacità di valutare i rischi e conoscerne tipo e misura
– La prevenzione si occupa di ridurre la probabilità che i rischi si verifichino, adoperando comportamenti protettivi
– La tutela si occupa di assicurarci contro i rischi che non potremmo fronteggiare con i nostri soldi
“È bene ricordarsi che gestire un rischio vuol dire qualcosa in più che fare i conti, ma è un percorso continuo che comprende: educazione, prevenzione, tutela.”
Proteggersi non è un singolo atto ma un progetto, che parte dalla consapevolezza, dalla cultura del rischio, dal prendere coscienza dei nuovi pericoli e di cosa comportano. Molti rischi possono essere prevenuti adottando comportamenti quotidiani orientati alla sicurezza. Non tutto è però prevenibile e per questo bisogna tutelare il proprio benessere economico trasferendo le conseguenze economiche dei rischi assicurabili.
La gestione dei rischi: come decidere
L’educazione, ossia essere curiosi e voler sapere, riguarda tutto e tutti. La prevenzione è un atto di consapevolezza e un dovere civile, e dovrebbe diventare un’abitudine. La tutela, diversamente, non riguarda tutto e non è necessario assicurarsi sempre e contro tutto. Ci sono però rischi che devono essere assicurati.
Come capire cosa vale la pena di assicurare e cosa no?
Assicurarsi contro il raffreddore, ad esempio, sarebbe assurdo e il motivo è semplice: ci si assicura solo contro i rischi gravi, quelli che non possiamo fronteggiare da soli economicamente. Allo stesso tempo, se un rischio è così frequente da essere quasi certo, nessuno vuole assicurarlo. Le dimensioni del danno e quella della frequenza/probabilità, messe in relazione, ci aiutano a capire cosa fare con i nostri piccoli e grandi rischi.
La matrice ci guida a prendere decisioni efficaci. Se partiamo dal quadrante in basso a sinistra, ci sono piccoli rischi, poco frequenti e dannosi come, ad esempio, perdere le chiavi di casa. Succede di rado e il costo di un fabbro non ci mette in ginocchio quindi questo tipo di rischi non lo si assicura. Salendo di probabilità, abbiamo già accennato a raffreddori ed influenze: non producono grandi danni e quindi è inutile assicurarli. Spostandoci in alto a destra ci sono rischi così frequenti e dannosi che non possono essere assicurati. Obesità, alcoolismo, fumo, sport pericolosi sono rischi che scegliamo di correre, e non possiamo chiedere alle assicurazioni di venirci in soccorso se non lo facciamo prima noi. Ci sono, infine, rischi poco probabili ma altamente di impatto, quelli inseriti nella tabella poco sopra. Questi rischi non possono essere tenuti sulle spalle e vanno trasferiti ad una assicurazione. L’assicurazione con i piccoli premi di molti è in grado di coprire i grandi danni di pochi e questa capacità ha consentito alla specie umana di evolvere. Non è, tuttavia, un tema da affrontare con ingenuità o superficialità, e per questo è necessario un operatore affidabile dal quale farsi aiutare.
Una delle conquiste più alte dell’era moderna è data dall’assicurazione, che con il contributo di molti sostiene i rischi di pochi. Dovremmo però trasformare la protezione in una abitudine, che periodicamente ci mette a confronto con i rischi e seleziona quelli piccoli da quelli insostenibili.
Conclusioni
Proteggersi non è una singola scelta, ma un percorso, che richiede conoscenze, prevenzioni e tutele. La protezione è un percorso da affrontare con metodo, perché ha grandi impatti sulla serenità personale e familiare, sulla possibilità di fronteggiare imprevisti e di dormire sonni tranquilli. Per questo non va evitata ma “installata” all’interno delle attenzioni quotidiane, confrontandosi con chi dedica la propria esperienza e competenza a proteggere le persone e le cose a cui teniamo.
Grazie ai sistemi di welfare, gli Stati moderni si occupano del benessere dei cittadini. Il welfare italiano è diviso in due parti: assistenza e previdenza. L’assistenza protegge chi non ha i mezzi per vivere bene a causa di infortunio, malattia, invalidità o disoccupazione involontaria. La previdenza funziona diversamente: la pensione di ognuno di noi dipenderà da quanti contributi versiamo e verseremo. Se lavoriamo per tanto tempo o con redditi alti avremo pensioni sostanziose, diversamente accumuleremo pochi contributi previdenziali.
Lo stato ci aiuta, ma servono i requisiti
La pensione di inabilità e la pensione ai superstiti vengono in aiuto dei cittadini in caso di gravi evenienze, come un’improvvisa disabilità o il decesso prematuro; la pensione di vecchiaia (o anticipata), invece, ci supporta nell’affrontare la terza età. Queste pensioni non sono un diritto di tutti, servono infatti i requisiti. Per ottenere una pensione in Italia è necessario aver lavorato e versato contributi con regolarità per un determinato numero di anni.
Per ricevere l’assegno pensionistico di inabilità, ad esempio, occorre non essere più in grado di lavorare in maniera permanente ed aver versato contributi per almeno 5 anni di cui 3 negli ultimi 5. Per dar diritto ai familiari di ottenere la pensione ai superstiti, invece, il lavoratore deve aver contribuito per almeno 15 anni o per almeno 5 anni di cui 3 negli ultimi 5.
“Per ottenere una pensione in Italia è necessario aver lavorato e versato contributi con regolarità.”
Informarsi sulla propria posizione contributiva è un diritto, ma anche un dovere.
Diritti sì o diritti no?
Nell’idealità ciascuno dovrebbe poter scegliere a chi lasciare i propri soldi e i propri beni quando non ci sarà più. Nella realtà le cose non vanno così.
Per aver diritto alla pensione ai superstiti, ad esempio, occorre rientrare in precise categorie di seguito sintetizzate:
– il coniuge o l’unito civilmente, sapendo che se il coniuge passa a nuove nozze perde il diritto
– il coniuge separato
– il coniuge divorziato a condizione che sia titolare dell’assegno divorzile, che non sia passato a nuove nozze e che la data di inizio del rapporto assicurativo del defunto sia anteriore alla data della sentenza che ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
– I figli ed equiparati, tra questi:
i figli minorenni; i figli inabili al lavoro e a carico del genitore indipendentemente dall’età; i figli maggiorenni studenti, che non prestino attività lavorativa, che frequentano scuole o corsi di formazione professionale, nei limiti del 21° anno di età; i figli maggiorenni studenti, a carico del genitore al momento del decesso, che non prestino attività lavorativa, che frequentano l’università, non oltre il 26 anno di età.
In assenza del coniuge e dei figli i beneficiari potranno essere destinatari i genitori che abbiano compiuto il 65° anno di età, non titolari di pensione diretta o indiretta e a carico del lavoratore deceduto. In assenza del coniuge, dei figli o del genitore, allora avranno diritto alla pensione i fratelli celibi e sorelle nubili inabili al lavoro, non titolari di pensione diretta o indiretta, a carico del lavoratore deceduto.
Il welfare pubblico italiano tutela principalmente le famiglie formalizzate. Se conviviamo o non facciamo parte di famiglie formalizzate sarà necessario alzare il livello della nostra protezione.
Pensione pubblica di inabilità: quanto e come
I nostri contributi nei fatti vengono usati per pagare i pensionati di oggi ma nella contabilità creeranno un capitale finale, che si chiama montante contributivo.
Nella pensione di inabilità se l’età di invalidità è minore di 60 anni, il montante contributivo si ottiene sommando il maturato contributivo e una somma di contributi figurativi contabilizzati dall’assistenza fino ai 60 anni. Il montante contributivo viene poi moltiplicato per un coefficiente basato sulla speranza di vita a 60 anni di età se l’invalidità permanente accade a 60 anni o prima. Se invece avviene dopo i 60 anni allora non ci sarà componente assistenziale ed il calcolo deriverà dalla conversione dei propri contributi versati e capitalizzati con un coefficiente che stima la speranza di vita a quell’età.
I calcoli per stimare la pensione di inabilità non sono complicati e si possono effettuare utilizzando le informazioni presenti nel nostro estratto contributivo INPS e utilizzando i coefficienti di trasformazione presenti sul sito dell’Istituto.
“Il consiglio è però quello di farsi supportare da professionisti che ci possono aiutare a leggere ed interpretare meglio queste informazioni.”
Pensione di inabilità: alcune stime utili
Ogni situazione è differente, e le pensioni di inabilità possono variare enormemente in base alle caratteristiche di ciascuno di noi. Per poterci fare un’idea dell’apporto della previdenza pubblica, ci possiamo però far aiutare da alcune stime.
Considerando una persona con un reddito attuale di 30.000 euro, le tabelle ci indicano i tassi di sostituzione, ossia il rapporto tra pensione di inabilità e il reddito da lavoro.
Come mostrano le percentuali indicate, nel caso simulato, la pensione pubblica è sicuramente un supporto importante ma non sufficiente a recuperare interamente i redditi che verrebbero a mancare in caso di un’improvvisa invalidità permanente, ai quali andrebbero sommate le spese sanitarie e di assistenza.
Pensione pubblica ai superstiti: quanto e come
La pensione destinata ai superstiti di un lavoratore prevede un calcolo simile a quello per la pensione di inabilità. In questo caso non esiste però una componente contributiva assistenziale: l’intera pensione è finanziata tramite i propri contributi.
In pratica, i contributi versati sino al momento dell’evento rimangono tali e quel che si è maturato viene moltiplicato per il coefficiente relativo alla propria età o, se l’età al decesso è inferiore ai 57 anni, per il coefficiente relativo a quella età. Per questo, gli importi risultano decisamente inferiori rispetto a quelli delle pensioni di inabilità. Il calcolo risente inoltre della cosiddetta “prova dei mezzi”, una valutazione della situazione economica di un individuo o di un nucleo familiare, utilizzata per determinare l’accesso a determinate prestazioni o benefici sociali. In pratica, serve a stabilire se una persona ha diritto a ricevere un aiuto economico o un servizio, basandosi sul suo reddito e sul suo patrimonio.
La pensione superstiti viene quindi ridotta se i destinatari hanno una situazione reddituale giudicata sufficiente, ossia non meritevole di totale assistenza pubblica.
Pensione ai superstiti: alcune stime utili
Per poter capire meglio quanta pensione pubblica ai superstiti potremmo aspettarci, osserviamo alcune stime relative alla pensione indiretta di un lavoratore sposato, con un figlio, e un reddito attuale di 30.000 euro.
In funzione del tipo di famiglia (1 coniuge e 1 figlio) la prestazione sarà immediatamente ridotta del 20% (se la famiglia fosse invece composta da 1 coniuge e 2 figli non sarebbero previste riduzioni). Le stime ipotizzano poi che il reddito del coniuge sia pari a 30.000 euro: questo (per la prova dei mezzi) darà luogo ad una ulteriore riduzione della prestazione del 25%.
L’esito è quello mostrato nelle tabelle che anche in questo caso indicano il tasso di sostituzione, ossia il rapporto tra pensione indiretta garantita ai superstiti e reddito attuale del soggetto che viene a mancare.
Anche in questo caso ogni situazione è differente, e le pensioni superstiti variano in base alla contribuzione individuale. Le stime, ci mostrano però chiaramente quanto sia importante affrontare per tempo il tema della propria protezione e del benessere delle persone a cui vogliamo bene.
Che fare?
Ecco allora alcuni semplici consigli per agire e non subire grossi rischi come quelli affrontati in questo contributo.
– Il primo consiglio è quello di simulare la propria capacità di far fronte a una situazione grave ed inaspettata – Verifichiamo poi se abbiamo diritto o meno ad una prestazione assistenziale pubblica – Attiviamo un percorso di pianificazione che, confrontando obiettivi e risorse, ci aiuti a verificare il nostro grado di stabilità e, se insufficiente, ad aumentarlo
Conclusioni
Le prestazioni offerte dal Welfare statale sono importanti ed eque, ma potrebbero non bastare o potremmo non averne diritto. Per questo andrebbero integrate con strumenti assicurativi adeguati e capaci di metterci al sicuro di fronte ai grandi rischi della vita.
Viviamo in una società che ci spinge costantemente al consumo, rendendo sempre più facile accedere a beni e servizi con pagamenti dilazionati. La gratificazione immediata è diventata la normalità, mentre il concetto di attesa e risparmio sembra passare in secondo piano. Tra offerte, finanziamenti a tasso zero e carte di credito, il debito è spesso presentato come una soluzione semplice e conveniente. Ma siamo davvero consapevoli delle implicazioni di queste scelte? Abbiamo alcune piccole indicazioni utili ad affrontare il tema serenamente?
Cosa fanno i primi della classe?
Prima di valutare la fattibilità di aprire un nuovo mutuo o un finanziamento è utile fare la fotografia della situazione attuale in termini di impegni finanziari.
Valore del debito residuo, ipoteche presenti o garanzie, sono gli elementi essenziali per capire:
– quanto si è indebitati
– quante ipoteche abbiamo sui nostri beni reali.
La legge impone agli intermediari bancari e creditizi di fornire ai propri clienti, alla fine di ogni anno, una fotografia del debito residuo. Mentre per la seconda informazione è necessario recuperare i contratti fatti. Accade spesso che le persone abbiano ancora ipoteche aperte sui propri immobili per debiti ormai già chiusi. Quindi meglio controllare bene.
Le famiglie virtuose inoltre conoscono molto bene voce per voce tutti gli impegni finanziari che gravano sul bilancio familiare, quindi sul conto economico. Per fare questo è necessario capire:
– il valore dell’impegno finanziario mensile o periodico (la rata, o la somma delle rate se abbiamo più finanziamenti, per intenderci)
– il tempo necessario ad estinguere i finanziamenti in corso (tra 2 anni, tra 10 anni, ecc.).
Quest’ultima informazione è importante per capire per quanto tempo sarò vincolato a quel preciso impegno finanziario.
Questo è di solito ben chiaro per chi ha un mutuo, lo è un po’ meno per chi contrae finanziamenti, tipicamente più corti, più numerosi e quindi meno sotto controllo.
“Le famiglie virtuose conoscono molto bene voce per voce tutti gli impegni finanziari che gravano sul bilancio, quindi sul conto economico”
Un indicatore da tenere d’occhio
Un parametro importante da tenere sotto controllo per chi ha diversi impegni finanziari, è il peso (in termini percentuali) dei debiti rispetto al proprio patrimonio (attività finanziarie + attività reali, come gli immobili). Si chiama Indice di indebitamento.
A valori maggiori corrisponde una maggiore criticità.
Facciamo un esempio, la famiglia Verdi che ha appena acquistato una casa da 150.000 euro e contrae un mutuo per 120.000 euro, ha un indice di indebitamento pari al 80%. Via via che pagherà il suo debito, questa percentuale si abbasserà fino a diventare 0% quando il mutuo sarà estinto.
La famiglia Rossi è nella stessa situazione di quella precedente, in più decide di comprare un’auto da 30.000 euro contraendo un finanziamento per pagarla a rate. Ha di un patrimonio di 150.000 euro, ma altrettanti debiti per 150.000 euro. Il suo indice di indebitamento è quindi pari al 100%.
Gli eventi possibili
Ogni famiglia dovrebbe avere come obiettivo quello di tenere gli impegni finanziari entro limiti di sostenibilità economica, evitando che questo riduca spazi di manovra in caso di imprevisti.
In particolar modo le famiglie che hanno una rata che grava oltre il 30% del proprio reddito netto, essendo più esposte al rischio di insolvenza, dovrebbero fare attenzione se:
i tassi di interesse aumentano. Chi ha un mutuo a tasso variabile, deve monitorare continuamente la variazione di rata e la relativa sostenibilità. Chi invece ha un mutuo a tasso fisso, dovrebbe attendere condizioni migliori.
I tassi di interesse si riducono. La surroga andrebbe valutata nella sua convenienza sia per chi ha un mutuo a tasso fisso sia per chi ha un mutuo a tasso variabile. La convenienza dipende dalle nuove situazioni di mercato e dalla durata rimanente di rimborso.
L’inflazione aumenta. Quando l’inflazione aumenta, si produce un beneficio indiretto per i debitori, che pagando rate nominali (ad esempio 500 euro al mese per 20 anni), beneficiano di una riduzione del valore reale dell’impegno finanziario. Questo perché in termini reali, il valore sborsato è minore. Tuttavia, in caso di inflazione crescente, aumentano le probabilità di un aumento dei tassi di interesse ufficiali, al fine di rallentare l’economia, e quindi ricadiamo al punto 1).
In caso di difficoltà economiche nel sostenere i pagamenti degli impegni finanziari, è meglio andare dagli erogatori di prestito e mutuo e capire se ci sono alternative. La banca ha sempre interesse ad avere creditori che pagano!
Il futuro come sta?
Un aspetto importante nella verifica della sostenibilità di un mutuo è quello di verificare cosa accadrà nel nucleo familiare prima della scadenza del debito contratto. Esempi di eventi che impattano sul conto economico e quindi richiedono una maggiore attenzione nella valutazione di sostenibilità di un mutuo, sono:
– Nascita di un figlio (aumento dei consumi fino al +33%) – Spese per l’università di un figlio (aumento dei consumi da 9.379 in sede a 17.498 euro annui se fuori sede) – Perdita del lavoro – Pensionamento (riduzione fino al 50% rispetto al reddito da lavoro)
In conclusione, sapere che oggi una famiglia riesce a sostenere la rata di un mutuo o di un finanziamento dice poco sulla sua sostenibilità prospettica. Mentre capire quanto inciderà la rata del mutuo negli anni in cui uno o più eventi si verificheranno, è utile per agire e gestire per tempo eventuali criticità.
Io posso rinunciare a tutto tranne che ad indebitarmi
Molte famiglie non capiscono se si trovano in una situazione critica, altre si preoccupano eccessivamente e vivono le rate del debito con ansia e percezione di fragilità. Ci sono 4 indicatori, suggeriti dalla Banca dei Regolamenti Internazionali per capire se ci troviamo in una condizione di vulnerabilità finanziaria: (i) l’onerosità del servizio del debito, (ii) la percezione soggettiva di quest’onere da parte della famiglia, (iii) i ritardi nel pagamento delle rate, e (iv) il numero dei debiti contratti.
Le ricerche di Banca d’Italia dimostrano che oltre il limite di incidenza degli impegni finanziari sul reddito del 30%, detta soglia di onerosità, cominciano ad aumentare le probabilità di essere insolventi.
Questo non significa che se abbiamo oltrepassato questa soglia, certamente ci troveremo a non riuscire a pagare gli impegni finanziari, ma un crescente numero di pagamenti in ritardo e di debiti, risulta un allarme da tenere ben sotto controllo. Le armi a disposizione sono quelle del budgeting, che ci consente di monitorare e gestire con precisione le uscite programmate e le entrate, evitando al minimo gli imprevisti.
“Le armi a disposizione sono quelle del budgeting, che ci consente di monitorare e gestire con precisione le uscite programmate e le entrate, evitando al minimo gli imprevisti”
Il numero di debiti accresce la fragilità economica di una famiglia e merita un approfondimento. Oggigiorno è sempre più facile acquistare prodotti di consumo con finanziamenti a rate. Esborsi di 1.000€ e più, diventano facilmente accessibili, per cui pagare 42 euro al mese per 24 mesi (pari a 1.000€) sembra essere un metodo “intelligente” per fare acquisti. In realtà, nella maggior parte dei casi, queste rateizzazioni nascondono spese finali ulteriori, rinnovi automatici o penali molto pesanti nel caso si volesse chiudere la rateizzazione. Quindi sono da utilizzare in casi rari e solo dopo aver approfondito tutte le specifiche di contratto. Perché un alto numero di debiti di questo tipo “congela” le uscite.
La check list finale sul debito
Ricapitoliamo qui una check list finale per chi intende contrarre un debito, grande o piccolo, o chi lo avesse già contratto.
– Analizzare il budget familiare. Monitorare entrate e uscite mensili per capire quanto pesa il debito sul reddito. È fondamentale che la somma delle rate non superi il 30% del reddito disponibile. – Creare un fondo di emergenza. Accantonare almeno 3-6 mesi di spese essenziali per coprire imprevisti come spese mediche, riparazioni o perdita del lavoro. Questo evita di dover ricorrere a nuovi prestiti. – Mettere in priorità le spese e ridurre quelle non essenziali. Tagliare le spese superflue e rivedere le abitudini di consumo per liberare risorse da destinare ai pagamenti del debito e al risparmio. – Valutare la rinegoziazione o la surrogazione del mutuo. Se i tassi di interesse sono più bassi rispetto al momento della stipula, potrebbe essere utile rinegoziare il mutuo con la propria banca o trasferirlo a un’altra con condizioni migliori. – Consolidare i debiti se possibile. Se le rate sono troppo alte, valutare la possibilità di un consolidamento del debito per ottenere un’unica rata mensile più sostenibile. – Evitare di contrarre nuovi debiti. Fino a quando il peso delle rate in corso non è ridotto o stabilizzato, evitare nuovi finanziamenti per beni non essenziali. – Programmare pagamenti automatici. Impostare addebiti diretti per le rate del mutuo e del finanziamento per evitare ritardi e more che aggraverebbero la situazione finanziaria. – Aumentare le entrate, se possibile. Valutare opportunità di entrate aggiuntive, come piccoli lavori extra, per avere una maggiore sicurezza economica.
Conclusioni
In conclusione, la gestione del debito richiede consapevolezza, pianificazione e monitoraggio costante. Conoscere il proprio livello di indebitamento, valutare la sostenibilità delle rate e adottare strategie come rinegoziazione o consolidamento può fare la differenza nel mantenere un equilibrio finanziario. È fondamentale considerare anche gli eventi futuri che potrebbero influenzare la capacità di rimborso. Infine, evitare il sovraindebitamento e costruire un fondo di emergenza aiuta a prevenire crisi finanziarie familiari, garantendo una maggiore stabilità economica nel lungo termine.
Un detto recita: “Nella vita il denaro non è la cosa più importante, ma la sua mancanza ti impedisce di occuparti delle cose più importanti.” Che prezzo siamo disposti a pagare per poter ottenere ciò che riteniamo importante? Indebitarsi significa accettare un certo prezzo per avere oggi quello che potremmo ottenere domani con il semplice risparmio. Vediamo insieme quando vale la pena indebitarsi e quali variabili considerare.
L’indebitamento delle famiglie italiane: una fotografia
Nel 2022 il 26% delle famiglie italiane era indebitato. In sé il valore non sembra molto alto, ma se pensiamo che questo valore era il 20.9% nel 2010, notiamo un trend crescente degli ultimi anni (fonte dati Banca d’Italia).
Se i consumi sono in aumento per l’inflazione e i redditi non sono cresciuti di pari passo, da qualche parte dobbiamo prenderli questi denari.
Ma siamo sicuri che tutti i debiti siano uguali? Un mutuo per la casa o un prestito per la formazione possono essere considerati “debito buono“, poiché consentono di accedere a beni durevoli o investire nel futuro. Al contrario, il debito contratto per il consumo immediato, come l’uso eccessivo di carte di credito o prestiti per beni non essenziali, può trasformarsi rapidamente in un problema finanziario.
A fronte di una sostanziale stabilità della percentuale di famiglie con debiti per finalità di consumo (circa il 10%), è cresciuta quella dei nuclei indebitati per immobili (al 13,9% dal 12,1% del 2020) o per ragioni professionali (al 2,5% dal 2,1%). Si è invece ridotta l’incidenza delle famiglie con debiti per scoperto di conto corrente o su carta credito (al 4,6% dal 5,7%) e con debiti verso parenti e amici (all’1,4% dal 2,3%).
Cosa significa contrarre un debito
È importante capire il significato di indebitarsi. Come abbiamo già visto esiste un debito “buono” e uno meno buono, ma in entrambi i casi, si tratta di diluire nel tempo una spesa che non riusciamo a sostenere oggi e che al termine del tempo di restituzione del debito, sarà più salata. Il costo finale di questa operazione, che sia un contratto di mutuo o di finanziamento, dipende dal tasso di interesse che dobbiamo pagare. In particolare, il riferimento di partenza è il tasso ufficiale di sconto della Banca Centrale Europea (a gennaio 2025 è pari a 2.75% sui depositi), a cui andrà aggiunta una componente influenzata dalla durata del prestito, dalla situazione di mercato e da una percentuale trattenuta dall’intermediario (di norma oscilla tra 0.8% e 1.6%).
Facciamo un esempio per comprendere meglio: per un mutuo richiesto di 100.000 euro, di una durata di 10 anni, ad un tasso finale del 3%, andremmo a pagare 12 rate mensili di 977€. Il conto finale, dopo i 10 anni sarebbe pari al 17% in più di quanto ricevuto. Un aumento del tasso dal 3% al 4%, significherebbe pagare una rata mensile pari a 1.027€ e quindi il 23% in più di quanto ricevuto dopo 10 anni.
Per questo motivo, la soluzione di indebitarsi è una soluzione da ponderare accuratamente e va affrontata soltanto per acquisti realmente importanti e non prorogabili.
Per valutare il costo di un mutuo, o di un finanziamento, è necessario confrontare un particolare tasso: il Tasso Annuale Effettivo Globale (TAEG). Esso include oltre al tasso effettivo applicato dalla banca, anche le spese collegate al finanziamento come le imposte, le assicurazioni obbligatorie, le commissioni di incasso, i bolli statali e le spese di istruttoria della pratica.
Quando il debito diventa un problema?
Accedere al credito è spesso una necessità, ma può trasformarsi in un problema quando il peso delle rate supera la capacità di rimborso della famiglia.
Il dizionario italiano, alla parola “indebitamento” cita frasi di uso comune come “conduce vita dissipata e s’indebita; s’è indebitato fino all’osso, fino al collo, fin sopra i capelli”.
Una regola generale suggerisce che la somma delle rate mensili non dovrebbe superare il 30-35% del reddito disponibile. Banca d’Italia evidenzia che le famiglie che hanno un reddito netto inferiore al reddito mediano (ca. 2.000 € mese), possono andare in crisi anche con percentuali più basse.
Le situazioni che più frequentemente portano all’indebitamento eccessivo includono:
– Spese impreviste non coperte da un fondo di emergenza.
– Ricorso al credito per beni non essenziali senza una pianificazione adeguata.
– Condizioni economiche incerte, come perdita del lavoro o riduzione delle entrate.
La valutazione di sostenibilità dovrebbe essere fatta non solo in base ai dati dell’ultimo bilancio familiare ma anche in prospettiva negli anni futuri. Se, ad esempio, intendiamo contrarre un mutuo di 700 euro al mese e le entrate familiari ammontano a 3.000 euro al mese, ci dobbiamo domandare se questa situazione sarà la medesima per tutta la durata di rimborso del debito, oppure se ci saranno potenziali criticità.
Per fare un esempio concreto, si stima che quando nasce un figlio, i consumi familiari aumentano del 44% (fonte ISTAT). In tale situazione, la rata del mutuo che in assenza del figlio era sostenibile, sarà ancora sostenibile? Un altro esempio, se i redditi si riducono all’entrata in pensione dei coniugi, la rata del mutuo è ancora sostenibile o produce criticità? Queste domande vanno considerate prima di sottoscrivere un mutuo o un finanziamento.
Cosa accade durante la vita di un debito?
Per chi si trova già ad avere contratto un mutuo, è utile sapere che ci sono diversi modi di cambiare il piano di rimborso. Riportiamo qui di seguito le varie opzioni.
– La Rinegoziazione è la modifica di alcune clausole contrattuali (es. la durata residua, il tipo di tasso, ecc.). Deve essere realizzata insieme alla banca che ha erogato il finanziamento. Normalmente è utilizzata per i mutui, non è soggetta a costi, o questi sono limitati.
– La Sostituzione consiste nell’estinzione del vecchio finanziamento attraverso l’erogazione di uno nuovo; il nuovo contratto può essere sottoscritto anche con un ente finanziatore differente. Il nuovo finanziamento può avere un importo più alto, rispetto al capitale residuo da estinguere, per fornire nuova liquidità. E’ soggetta ai costi di estinzione del vecchio finanziamento e a quelli di apertura del nuovo.
– La Surrogazione è detta anche “portabilità”; è la possibilità di trasferire il proprio debito a un’altra banca che propone condizioni migliori, nel passaggio possono esser modificate le condizioni economiche, la durata, il tasso, ma non l’importo (il nuovo mutuo sarà d’importo pari al capitale residuo di quello surrogato). Si applica ai mutui, e per quest’operazione non sono previsti costi.
– il Consolidamento consiste nell’estinzione di più finanziamenti esistenti e la loro sostituzione con un nuovo mutuo o finanziamento. Questa operazione può avere un importo più alto, rispetto alla somma dei capitali residui da estinguere, per fornire nuova liquidità. E’ soggetta ai costi di estinzione dei vecchi finanziamenti e a quelli di apertura del nuovo.
“In caso di necessità è possibile modificare le condizioni del mutuo. Rinegoziazione, sostituzione, surrogazione e consolidamento sono quattro modi diversi per farlo.”
Indebitarsi con metodo
L’indebitamento è un modo per affrontare strategicamente gli aspetti economici e finanziari del proprio bilancio. Come tutti gli strumenti, esso richiede però una serie di indicazioni di comportamento che aiutano a salvaguardare il debito:
– Valutare la sostenibilità del debito: se percepiamo uno stipendio, controlliamo se il pagamento della quota si adatta al guadagno a disposizione ora e nei periodi a venire.
– Evitare il debito per spese superflue: se possibile, evitiamo acquisti per consumi non essenziali piuttosto che finanziare ogni spesa a credito.
– Consolidare i debiti: a volte l’accorpamento di più finanziamenti permette di ottenere un’unica rata maggiormente sostenibile, riducendo così il rischio.
– Monitorare costantemente il proprio indebitamento: sapere esattamente quante risorse sono destinate al rimborso dei debiti permette di prendere decisioni più consapevoli.
Conclusioni
Contrarre debiti è un’operazione da avvicinare con consapevolezza e attenzione. Il debito, se ben sfruttato, risulta molto utile al raggiungimento di importanti obiettivi, ma se utilizzato in maniera disattenta o eccessiva, mette a rischio la stabilità finanziaria. Per prendere un impegno di questo genere, è di fondamentale importanza considerare i costi, eseguire un’analisi di sostenibilità anche in base ai futuri flussi economici. La vera libertà economica non è rappresentata dall’assenza di debito, ma dal controllo e dalla gestione del debito stesso.