Da quest’anno la nostra Banca sostiene il CAI Uget, realtà territoriale nata nel 1913 con oltre 100 anni di storia dedita alla tutela dell’ambiente ed in particolar modo alla conoscenza e allo studio delle montagne, soprattutto del loro territorio di appartenenza.
Questa collaborazione vuole diffondere un importante messaggio di sostenibilità, che riguarda la dimensione ambientale e l’inclusione sociale, tenendo conto dei bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura.
Un sodalizio appena iniziato che vedrà, oltre alla diffusione di importanti messaggi di sostenibilità, la messa in atto di importanti interventi di manutenzione di rifugi e bivacchi.
Abbiamo intervistatoRoberto Gagna, Presidente CAI Uget, e Sara Berta, Direttrice Scuola di sci alpinismo CAI Uget, per dar voce a coloro che vivono quotidianamente la montagna e approfondire quanto possiamo fare insieme a tutela dei nostri territori e delle persone che li abitano.
Roberto, dal tuo punto di vista, quanto è importante che realtà radicate sul territorio collaborino insieme?
Ritengo sia estremamente importante perché possono condividere conoscenze ed esperienze utili per l’“utenza” a cui si rivolgono.
Secondo te, quanto è importante che una realtà come un istituto bancario parli anche di tematiche legate all’ambiente e alla sostenibilità?
In questo momento dove il cambiamento climatico ci impone di affrontare con attenzione le tematiche legate all’ambiente e di sviluppo sostenibile, un istituto bancario territoriale può svolgere un ruolo importante.
Sara, come possono attività come le vostre contribuire allo sviluppo culturale e sociale del nostro territorio?
Il C.A.I. per suo Statuto all’art. 1 si occupa di “alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale”. Le sezioni del C.A.I. attive sul territorio, che al loro interno possono ospitare gruppi e scuole, hanno il compito di diffondere la conoscenza dell’ambiente montano. Lo fanno anche attraverso attività sociali che favoriscono la frequentazione della montagna.
Per te quanto è importate la montagna, l’ambiente e la natura nel percorso di crescita dei giovani?
La montagna, l’ambiente e la natura sono imprescindibili per un buon percorso di crescita dei giovani.
E per te, Roberto?
I giovani rappresentano il futuro del nostro pianeta: la conoscenza della montagna, dell’ambiente e della natura è indispensabile per un loro percorso di crescita.
Quanto è cambiata la percezione della montagna e dell’ambiente post Covid, secondo te Roberto?
Sicuramente dopo due anni di emergenza sanitaria per il COVID c’è più consapevolezza e per molti la montagna da meta turistica è diventata un luogo in cui abitare.
Dai tuoi ricordi di bambina, Sara, come è cambiato il tuo modo di vivere la montagna?
La vivo adesso come quando ero bambina, con gli anni le conoscenze sono aumentate e quindi sono consapevole dei cambiamenti avvenuti.
Roberto, pensi che le banche possano avere un ruolo attivo nella tutela e conservazione dell’ambiente e del territorio?
Le banche possono avere un ruolo attivo nel ridistribuire a livello territoriale le risorse dando vita ad un uso attento e oculato di quanto disponibile.
Quale consiglio/suggerimento vi sentite di darci come Banca e come persone per poter fare di più per le nostre montagne e per chi le abita
Roberto: Un rapporto di collaborazione come quello che si sta consolidando con il nostro sodalizio è un buon inizio per poter fare di più per le nostre montagne e per chi le abita e le frequenta.
Sara: La collaborazione tra Banca del Piemonte e la Sezione del CAI Uget mi sembra un buon passo per capire cosa sarà possibile fare per poter continuare a camminare assieme.
Sara, quali progetti possiamo realizzare insieme per far comprendere ai giovani l’importanza della tutela ambientale?
I soci del CAI, anche quelli giovani, hanno sicuramente una grande sensibilità verso questi temi ed una propensione alla tutela dell’ambiente. Un progetto che mette assieme montagna e tutela ambientale non può che coinvolgerli.
Come vedete la montagna del futuro?
Roberto: Sono ottimista ma dobbiamo lavorare; biodiversità, transizione ecologica, turismo di massa e sistema boschi e foreste sono tra le tematiche da affrontare e ripensare per una montagna che guarda al futuro.
Sara: La montagna l’ho sempre vista e la vedo per il futuro come un magnifico posto per fare stupende esperienze con vecchi e nuovi amici, ma anche come un rifugio per trascorrere tempo in solitudine quando la mia mente ne ha bisogno.
È triplicato il numero delle cantine italiane che presentano un’offerta di servizi per i viaggiatori eno-appassionati sempre più ricca e diversificata di esperienze appaganti e immersive. E determinante in questa crescita del settore enoturistico è il ruolo delle donne.
Lo ha rilevato l’indagine realizzata da Nomisma-Wine Monitor per Movimento Turismo del Vino, Città del Vino, Donne del Vino e La Puglia in Più, studio che, però, ha fatto emergere anche criticità all’interno di questo segmento, comunque in forte accelerazione.
La ricerca di Nomisma-Wine Monitor, che ha preso in esame 265 cantine e 145 comuni di distretti enologici, è la più estesa mai realizzata in Italia e fotografa un settore che registra un aumento significativo sia nel numero delle cantine sia nelle tipologie delle esperienze offerte.
“La tipologia di cantina turistica più diffusa in Italia è quella piccola e familiare (39% del totale), particolarmente presente in Campania, Puglia e Umbria. Seguono le cantine con rilevanza storica o architettonica (14%) che hanno una diffusione più alta in Veneto e in Piemonte. Le imprese con marchio famoso o storico sono il 12% del totale e sono particolarmente diffuse in Veneto e Sicilia. Piemonte, Toscana, Friuli e Sicilia si caratterizzano invece per imprese del vino con particolari bellezze paesaggistiche e naturalistiche (11%) mentre in Puglia e in Umbria è più alta la quota di cantine ben organizzate per l’incoming” ha commentato Roberta Gabrielli, di Nomisma.
Nel complesso, aumentano e si evolvono rispetto al passato le esperienze offerte in cantina, che coinvolgono il benessere e il relax dei visitatori; per esempio, con una maggiore dotazione di aree verdi, la ristorazione, con proposte di pranzo e degustazioni, gli aspetti culturali (mostre, corsi, visite guidate nei luoghi vicini), lo sport (itinerari in vigna, tour in bici, jogging) e quelli formativi/esperienziali (eventi legati al vino, wine wedding).
L’indagine Nomisma ha acceso i riflettori su un aspetto importante, che riguarda il ruolo delle donne nell’offerta e nella domanda eno-turistica. Infatti, benché le cantine turistiche italiane siano dirette soprattutto da uomini (55%), il managementdella wine hospitality è soprattutto femminile (73%). “La wine hospitality delle Donne del Vino – ha sottolineato Roberta Gabrielli – si differenzia per una maggiore diversificazione dell’offerta: non solo vino, ma anche attività legate al benessere, alla ristorazione (28%) e ai corsi di cucina (40%), alla ricettività (36%), allo sport (piscine 15%) e all’organizzazione di visite a luoghi limitrofi o di collegamento a eventi culturali (50%). In altre parole, le donne stanno efficacemente trasformando l’attrattiva vino in una proposta di soggiorno di uno o più giorni, con attività legate all’arricchimento culturale e alla rigenerazione che ha origine nella natura”.
Il report Nomisma-Wine Monitor ha tuttavia evidenziato anche alcune criticità. In particolare, il 44% delle cantine sono lontane dai circuiti turistici o enoturistici, problema particolarmente evidente in Friuli-Venezia Giulia, Umbria e Campania.
Inoltre, la metà delle cantine chiude al pubblico nel fine settimana e nei giorni festivi, chiusura che sovente riguarda anche molti uffici turistici: questo costituisce un serio problema dal momento che i flussi dei visitatori sono invece solitamente concentrati nei giorni di festa e durante il week end.
Un terzo aspetto problematico per le cantine turistiche riguarda poi la ricerca del personale: nel biennio 2021-2022, tre cantine su quattro hanno riscontrato difficoltà a trovare figure addette all’accoglienza turistica, in particolare in Veneto, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia, Puglia, Piemonte e Umbria”.
La ricerca si è infine soffermata sulle sinergie per lo sviluppo futuro del settore e ha approfondito l’identità delle Città del Vino, il network che promuove e valorizza il vino e la sua cultura per creare progetti condivisi e strategie di marketing turistico a livello nazionale ed europeo.
Per i 145 sindaci intervistati per l’indagine di Nomisma, infatti, essere Città del Vino significa promuovere e valorizzare il vino e la sua cultura (per il 76%); essere all’interno di una rete, di un progetto condiviso per poter creare strategie di marketing turistico (65%); avere una capacità di raccontare e di creare occasioni di promozione del territorio, dei suoi prodotti e delle sue aziende (48%).
Il Rapporto evidenzia anche gli ambiti in cui i Comuni possono migliorare per favorire l’enoturismo: potenziamento degli uffici di informazione turistica e loro apertura nei giorni festivi; sostegno alla formazione del personale anche per gli uffici pubblici in materia enoturistica; dotazione di strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale; maggiore condivisione delle collaborazioni e fare sempre più rete.
Camillo Venesio, Amministratore Delegato di Banca del Piemonte, premia insieme aWilma Borello, Presidente della Fondazione Venesio EF, i giovani talenti del territorio con borse di studio dal valore di mille euro.
“Cultura e istruzione sono i mattoni con cui costruire insieme il futuro, per questo siamo felici di offrire sostegno concreto ai giovani del territorio soprattutto in un contesto economico come quello attuale. Speriamo che questo riconoscimento aiuti davvero i ragazzi più talentuosi ad inseguire i propri sogni.”
Il Consiglio di Amministrazione ha approvato i dati economico-finanziari e patrimoniali al 31 dicembre 2022.
La tradizionale strategia di prudenza consente di avere tra le più elevate solidità patrimoniali in Europa.
Cet 1 ratio al 19,2% e forti indicatori di liquidità. Utile netto in deciso incremento a 10,5 mln.
L’Amministratore Delegato e Direttore Generale di Banca del Piemonte Camillo Venesio ha espresso “soddisfazione ed apprezzamento a tutti i collaboratori per i risultati raggiunti in contesti complicati, che confermano il valore della strategia sempre coerente con la sana e prudente gestione. Essa, tra l’altro, implica il non mettere in atto comportamenti che accrescano la redditività di breve periodo a scapito della solidità e liquidità di lungo termine.”
In Italia quasi l’80% degli abitanti vive in una casa di proprietà, ma oltre la metà (55%) non conosce la classe energetica del proprio immobile.
Gli italiani, però, stanno prendendo sempre più coscienza dell’importanza di questo dato; infatti, la classe energetica viene indicata come molto importante o fondamentale dall’80% di chi prevede il trasferimento in una nuova abitazione.
Questa è una delle principali evidenze emerse dall’ultimo sondaggio sull’efficienza energetica degli immobili italiani fatta da Immobiliare.it, portale leader immobiliare in Italia, in seguito al via libera del Parlamento Europeo alla direttiva che punta al passaggio di tutte le abitazioni alla classe energetica E entro il 2030 e alla D entro il 2033.
Fra l’altro, a partire dal 1° gennaio 2012, gli annunci di vendita e locazione di immobili devono contenere obbligatoriamente la classe e l’indice di prestazione energetica dell’immobile, riportati nell’Attestato di Prestazione Energetica (Ape).
Nonostante ciò, è solo negli ultimi mesi che la classe energetica ha cominciato a essere sotto la lente d’ingrandimento e, non a caso, tra chi dichiara di conoscere la classe energetica del suo immobile, il 45% si trova tra le classi A e la D, a dimostrazione che si trattava di persone sensibili al tema già al tempo del loro acquisto.
Il nostro Paese ha un patrimonio immobiliare ormai vecchio, con la maggior parte di immobili in classe F o G. Però, la sensibilità ai temi energetici è sicuramente in aumento, tanto che la maggior parte degli intervistati da Immobiliare.it ha risposto di essersi messo all’opera per migliorare l’efficienza energetica dell’abitazione in cui vive: inoltre, il 49% ha affermato di aver effettuato dei lavori migliorativi recentemente, mentre il 13% ha dichiarato di averli programmati nel breve.
Per quanto riguarda la presenza di impianti quali cappotto termico o pannelli fotovoltaici, emerge una netta differenza tra condomini e abitazioni indipendenti. Il 30% di queste ultime, stando al sondaggio, dispone infatti di cappotto termico, percentuale che arriverà al 36% contando le abitazioni che hanno già in programma i lavori per predisporlo, mentre toccherà il 40% la percentuale di case indipendenti con i pannelli fotovoltaici (oggi al 32,2%).
Nei condomini, invece, più di otto abitazioni su dieci non dispongono del cappotto termico (solo il 5% ha in programma i relativi lavori), mentre nove su dieci non hanno, attualmente, i pannelli solari.
Questa differenza è senz’altro legata, almeno in parte, alle difficoltà riscontrabili nella vita condominiale. Infatti, nel 47% dei casi il tema delle nuove installazioni non è mai arrivato in assemblea e nel 44% non è stato fatto nulla per il mancato accordo tra tutti i condomini. Poco meno del 10%, poi, ha rinunciato alle implementazioni per il mancato ottenimento dei finanziamenti richiesti dal condominio.
In merito alle altre tipologie di lavori in casa effettuabili per migliorare l’efficienza energetica, a livello di popolarità si colloca al primo posto l’installazione di una nuova caldaia e/o condizionatore a elevata efficienza: quasi i tre quarti dei rispondenti ha agito o agirà in merito.
Al secondo posto gli infissi, con il 62%, che li ha indicati come miglioramento necessario (Immobiliare.it ricorda che questi elementi sono spesso determinanti perché un’abitazione in classe G o F possa passare alla E). Poco più della metà degli intervistati, inoltre, ha installato o installerà a breve nuovi elettrodomestici di classe A o superiore.
“La nuova attenzione verso i temi energetici delle nostre abitazioni va letta positivamente ed è certamente in linea con la direzione di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050 – ha detto Carlo Giordano, esponente di Immobiliare.it – Però, ci sarà bisogno della massima attenzione da parte della classe politica del Paese per evitare situazioni di povertà energetica, ovvero la sovrapposizione di redditi bassi, costo energetico crescente e forte riduzione del valore degli immobili energivori”.
Con l’aumento del 17% fatto registrare nel 2022, l’export agroalimentare italiano ha conseguito il nuovo record annuale di 60,7 miliardi di euro, primato trainato dai prodotti simbolo della Dieta Mediterranea come vino, pasta e ortofrutta fresca, saliti sul podio dei prodotti italiani più venduti all’estero.
È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero 2022, che evidenziano un balzo a doppia cifra per l’alimentare, nonostante la guerra in Ucraina e le tensioni internazionali sugli scambi mondiali di beni e servizi.
La Germania resta il principale mercato di sbocco dell’alimentare italiano con importazioni di nostri prodotti per un valore complessivo di 9,4 miliardi, precedendo così anche gli Stati Uniti (6,6 miliardi), che hanno superano di misura la Francia, al terzo posto con 6,5 miliardi.
Risultati positivi sono stati conseguiti anche nel Regno Unito, dove, dopo le difficoltà iniziali legate all’uscita dalla Ue, l’export agroalimentare italiano è ammontato a 4,2 miliardi, rivelandosi più forte della Brexit.
Tra i prodotti italiani trionfanti all’estero, il re dell’export si è confermato il vino, con un valore stimato dalla Coldiretti vicino agli 8 miliardi di euro nel 2022, grazie a una crescita delle vendite a due cifre. Al secondo posto si trovano la pasta e gli altri derivati dai cereali, con esportazioni volate oltre i 7 miliardi di euro; mentre al terzo ci sono frutta e verdura fresche, con circa 5,5 miliardi.
Ad aumentare in modo consistente le vendite all’estero, l’anno scorso, sono stati anche l’olio l’extravergine di oliva, formaggi e salumi.
“Le conquiste dell’agroalimentare italiano sui mercati stranieri, però, potrebbero ulteriormente crescere – ha sottolineato la Coldiretti – con una più efficace tutela nei confronti della “agropirateria” internazionale, il cui valore è salito a 120 miliardi, anche sulla spinta della guerra che frena gli scambi commerciali con sanzioni e embarghi, favorisce il protezionismo e moltiplica la diffusione di alimenti taroccati, che non hanno nulla a che fare con il nostro sistema produttivo”.
In testa alla classifica dei prodotti italiani più taroccati, secondo la Coldiretti, si trovano i formaggi, a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano, le cui copie – dal parmesao brasiliano al reggianito argentino, fino al parmesan diffuso in tuti i continenti – hanno superato, in termini produttivi, gli originali,
Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi più prestigiosi sono clonati soprattutto il Parma e il San Daniele, oltre che la mortadella Bologna e il cacciatore.
Quanto agli altri prodotti agroalimentari italiani più taroccati all’estero spiccano gli extravergine di oliva, le conserve come il pomodoro San Marzano, oltre che i vini, dal Chianti al Prosecco. In particolare, quest’ultima Dop, al primo posto per valore alla produzione, è anche la più imitata. Ne sono esempi il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova, mentre in Brasile, nella zona del Rio Grande, diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione prosecco, nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur.
“Una situazione destinata a peggiorare – spiega Coldiretti – se l’Ue dovesse dare il via libera al riconoscimento del Prosek croato”.
A pesare sul futuro internazionale del Made in Italy a tavola sono anche il probabile arrivo delle prime richieste di autorizzazione alla messa in commercio di carne, pesce e latte sintetici, la minaccia delle etichette allarmistiche sul vino e, fra l’altro, il semaforo ingannevole del Nutriscore, che boccia le eccellenze tricolori.
“Si tratta di un sistema di etichettatura fuorviante, discriminatorio e incompleto che – spiega la Coldiretti – finisce paradossalmente per escludere dalla dieta alimenti sani e naturali, da secoli sulle tavole, per favorire prodotti artificiali, di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta. I sistemi allarmistici di etichettatura a semaforo si concentrano esclusivamente su un numero molto limitato di sostanze nutritive (ad esempio zucchero, grassi e sale) e sull’assunzione di energia, senza tenere conto delle porzioni, così escludendo paradossalmente dalla dieta ben l’85% del Made in Italy a denominazione di origine”.