Nell’ultimo anno, oltre la metà degli italiani (54%) ha diminuito o annullato gli sprechi alimentari, adottando strategie che vanno dal riutilizzo degli avanzi a una maggiore attenzione alla data di scadenza degli alimenti al momento dell’acquisto.
E’ molto diffusa anche la spesa a chilometro zero, dal campo alla tavola, con prodotti più freschi che durano di più.
E’ quanto emerge dall’indagine Coldiretti/Ixè diffusa in occasione dell’ultima campagna per la lotta allo spreco di cibo lanciata dal presidente cinese Xi Jinping, il quale ha voluto ricordare ed evidenziare il valore delle riserve alimentari nazionali.
Secondo l’indagine effettuata della Coldiretti, nelle case degli italiani si adottano già soluzioni multiple per contenere lo spreco di cibo.
La scelta più diffusa è quella di una spesa più oculata, acquistando soltanto quello che serve seguita dal ritorno all’antica tradizione italiana e contadina di usare in un pasto successivo quello che è avanzato sulla tavola, magari combinando le ricette come avviene per la classica frittata di pasta, la ribollita toscana, i canederli trentini o la pinza veneta.
Inoltre, in un caso su quattro, si cerca di fare più attenzione alla scadenza dei prodotti o ad acquistare solo la quantità che effettivamente serve per non lasciare cibo inutilizzato.
L’ultimo importante e significativo dato emerso dalla ricerca ha consentito di scoprire che un 7% sceglie di donare in beneficienza i prodotti alimentari non consumati.
Sono sempre di più gli italiani, secondo Coldiretti 4 su 10, che escono dal ristorante con la cosiddetta “doggy bag”, il contenitore per portare via il cibo non consumato ed evitare così che venga buttato. Questo a testimonianza che le nostre abitudini anche in occasione di pranzi o cene fuori casa, sono cambiate.
Tuttavia, c’è anche un 21% degli italiani che non lascia alcun avanzo quando va a mangiare fuori!
Banca del Piemonte, ha stipulato un accordo con Comat Servizi Energetici S.p.A., storica società torinese attiva nel mercato italiano dei servizi di efficientamento energetico.
La società offre servizi ed interventi, dedicati ai condomini, che consentono di beneficiare delle detrazioni fiscali introdotte dal Decreto Rilancio (DL 34/2020) e delle detrazioni già previste per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio:
• Superbonus: che eleva al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, per specifici interventi in ambito di efficientamento energetico, antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici;
• Sismabonus: per la riduzione del rischio sismico;
• Ecobonus: per la riqualificazione energetica degli edifici.
Le nostre Filiali e i nostri Gestori sono a disposizione per ogni richiesta di informazioni o per appuntamenti specifici.
Dal 2013, in Italia, le immatricolazioni delle auto di lusso sono cresciute ininterrottamente.
Marilyn Monroe diceva: “Se devo piangere, preferisco farlo sul sedile posteriore di una Rolls Royce piuttosto che su quello di una carrozza del metrò”.
Frase storica che viene in mente quando si esamina l’andamento dei segmenti del mercato automobilistico italiano.
Già, perché anche gli ultimi dati dimostrano che le auto di lusso (segmento F) non restano mai senza acquirenti, crisi o non crisi. Anzi. Nonostante le difficoltà generate dalla pandemia, le vendite di modelli quali le Ferrari 488 e Portofino, la Maserati Ghibli, le Porsche 911, Panamera e Taycan, l’Audi A8, la Jaguar F-Tipe, le Bmw Serie 7 e 8, tutte da 100.000 euro in su (molte molto più su), aumentano mentre il mercato generale cala. Così che la quota del segmento F o Alto di gamma cresce.
Nei primi otto mesi di quest’anno, infatti, nel nostro Paese, sono state immatricolate 3.043 auto di lusso, cifra che corrisponde allo 0,4% dell’intero mercato nazionale.
Tasso superiore a quello dello stesso periodo dell’anno scorso (0,3%), quando erano state registrate 3.918 immatricolazioni di questi gioielli a quattro ruote.
Rispetto ad allora risulta un calo del 22,3%, quasi la metà, però, di quello subito dal segmento A, formato dalle piccole o super-utilitarie o citycar, auto come la Panda, la 500,la Toyota Aygo, la Volkswagen Up, la Hyundai I10 e la Kia Picanto. Di piccole, infatti, ne sono state vendute 125.577, il 43,6% meno che nel gennaio-agosto 2019.
La loro penetrazione è scesa dal 16,7% al 15,4%.
Anche i segmenti delle utilitarie, delle medie e delle medio-superiori hanno evidenziato una perdita di peso a confronto dei primi otto mesi dell’anno scorso. Al contrario delle due fasce più alte del mercato, confermando che le crisi economiche si fanno sentire, anche nel settore automobilistico, soprattutto sulle famiglie con redditi bassi e medi.
Dal 2013, in Italia, le immatricolazioni di auto di lusso sono cresciute ininterrottamente: dalle 2.662 di allora alle 5.625 dell’anno scorso, a prescindere dalle congiunture. Il trend è stato questo, almeno finora. Ma soltanto all’inizio del 2021 si saprà se anche il 2020 mostrerà la continuità della tendenza favorevole, nonostante tutto.
Un paradosso italiano. Il nostro è tra i Paese meno scolarizzati d’Europa; ma, nello stesso tempo, oltre 5,8 milioni di suoi occupati (il 25%) sono “sovraistruiti”, cioè sono diplomati e laureati che svolgono un lavoro per il quale il titolo di studio richiesto è inferiore a quello che hanno conseguito.
Lo ha rilevato l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, segnalando che il fenomeno è in costante aumento; negli ultimi dieci anni, infatti, i “sovraistruiti” in Italia sono cresciuti di quasi il 30%.
Questa evoluzione è in massima parte dovuta alla mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste dalle aziende e quelle possedute dai candidati.
“Non va nemmeno dimenticato che grazie al ricambio generazionale – ha detto il responsabile dell’Ufficio studi della Cgia – in questi anni sono usciti dal mercato del lavoro tanti over 60 con livelli di istruzione bassi, i quali sono stati rimpiazzati da giovani diplomati o laureati senza alcuna esperienza professionale alle spalle. Tuttavia, la sovraistruzione non va sottovalutata, perché molto spesso attiva meccanismi di demotivazione e di scoramento, che condizionano negativamente il livello di produttività del dipendente interessato e, conseguentemente, dell’ azienda in cui è occupato. Il clima di sconforto che si viene a creare può innescare delle situazioni di malessere che, diffondendosi tra i colleghi, può addirittura interessare interi settori o reparti, con ricadute molto negative per l’impresa”.
Sebbene il problema della sovraistruzione continui a crescere, paradossalmente l’Italia figura tra i Paesi meno scolarizzati d’Europa. L’anno scorso, la quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore era del 62,2%, dato decisamente inferiore a quello medio europeo (78,8%) e a quello di alcuni tra i nostri principali competitori: la Francia (80,4%), il Regno Unito (81,1%) e la Germania (86,6%).
Non meno ampio è il divario per quanto riguarda la percentuale di coloro che hanno conseguito un titolo di studio terziario sempre nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni. Se nel 2019 in Italia la soglia era del 19,6%, la media europea si è attestata al 33,2.
A livello territoriale, è l’Umbria la regione con il più alto tasso di “sovraistruiti”, pari al 33% degli occupati. Seguono l’Abruzzo (30,3%), la Basilicata (29,4%), il Molise (27,8%) e il Lazio (27,2 %). In coda, invece, si trovano il Piemonte (22,2%), la Lombardia (21,7%) e il Trentino-Alto Adige (19,3%).
Secondo l’elaborazione della Cgia, in particolare, in Piemonte gli occupati “sovraistruiti” sono oltre 400mila, il 20% in più rispetto a dieci anni fa. Tra i laureati che svolgono un lavoro per il quale il titolo di studio richiesto è inferiore a quello che possiedono le professioni più diffuse sono quelle di tecnico informatico, contabile, personale di segreteria, impiegato amministrativo; tra i diplomati, invece, prevalgono i lavori di barista, cameriere, muratore e camionista.
Comunque, nonostante la disoccupazione giovanile sia alta e l’abbandono scolastico rimanga sostenuto (13,5% nel 2019, pari a 561mila giovani), anche ad agosto le imprese hanno segnalato di avere difficoltà a trovare il personale adatto per il 30% delle assunzioni previste, a causa appunto del mancato incrocio tra domanda e offerta.
L’Italia è il secondo maggior produttore di gelato tra gli Stati membri dell’Unione Europea.
Il gelato, un prodotto che conquista sempre di più, ovunque mettendo d’accordo tutte le generazioni. Che sia industriale o artigianale, si consuma oramai in tutte le stagioni. Ovviamente la stagione in cui vi è un maggior consumo è l’estate: la produzione aumenta e lo troviamo in mille gusti, dalle creme alla frutta. Una gamma che si amplia e si rinnova continuamente, soddisfacendo proprio tutti.
Il gelato è uno di quegli alimenti che identifica il nostro “Made in Italy”, anche se, negli ultimi due anni, il primato della produzione spetta alla Germania. Gli italiani restano comunque maestri e artisti del gelato.
Per quantità, ma non per qualità, l’Italia è il secondo maggiore produttore di gelato tra gli Stati membri dell’Unione Europea: nel 2019, ne ha prodotti 554 milioni di litri (il 18% del totale Ue), meno unicamente della Germania, arrivata a 635 milioni di litri, pari al 21% della produzione di tutta l’Unione.
Del crescente successo del gelato è appena arrivata una conferma anche da Eurostat, l’istituto europeo di statistica, il quale ha reso noto che, l’anno scorso, nella Ue sono stati prodotti oltre tre miliardi di litri di gelato, con un aumento del 6% rispetto al 2018, e gli Stati membri ne hanno esportati, nello stesso periodo, 222mila tonnellate in Paesi extra Ue, per un valore complessivo di 723 milioni di euro. Sempre nel 2019, invece, le importazioni di gelato da Paesi extra Ue sono state pari a 82mila tonnellate, per un valore complessivo di 180 milioni di euro.
La Francia, però, è il maggior esportatore di gelato nei Paesi al di fuori dell’Ue. L’anno scorso, ne ha venduti per 55mila tonnellate, pari al 25% delle esportazioni di gelato extra-Ue, precedendo così anche i Paesi Bassi, la Germania l’Italia e la Spagna.
La principale destinazione delle esportazioni è il Regno Unito, seguono la Svizzera e la Cina.
Le importazioni di gelato da Paesi extra Ue sono arrivate principalmente dal Regno Unito, dalla Serbia e dalla Svizzera.
In Italia, negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio boom di gelaterie artigianali e di agrigelaterie, che propongono gusti ricercati prodotti con le materie prime a km 0, garantendo così le materie prime fino alla coppetta.
Secondo un sondaggio Fipe, 9 italiani su 10 prediligono il gelato artigianale grazie alle sue caratteristiche organolettiche del prodotto, in primis il gusto e la bontà delle materie prime e la sensazione di refrigerio.
Il Piemonte può vantare diverse imprese produttrici di gelati di successo non soltanto in regione, ma conosciute e apprezzate anche all’estero.