Privati, Imprese - 27 Novembre 2023
Crolla il consumo del pane
Mai così poco pane sulle tavole degli italiani. Il suo consumo medio è crollato al minimo storico di 80 grammi a testa al giorno, il 33% in meno in poco più di un decennio.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti, secondo la quale il calo degli acquisti di pane ha avuto una accelerazione negli ultimi anni: ancora nel 2010 il consumo quotidiano medio era di 120 grammi a testa, a fronte dei 180 grammi nel 2000, i 197 nel 1990 e i 230 nel 1980.
Valori, fra l’altro, molto lontani da quelli dell’Unità d’Italia, nel 1861, quando ogni persona mangiava mediamente ben 1,1 chili di pane al giorno.
Con il taglio dei consumi – sottolinea la Coldiretti – si è verificata una svolta anche nelle abitudini a tavola.
Sale l’interesse per il pane biologico e, con l’aumento dei disturbi dell’alimentazione, sono nati nuovi prodotti senza glutine e a base di cereali alternativi al frumento.
Sempre più apprezzate, infatti, sono le varianti salutistiche e ad alto valore nutrizionale: a lunga lievitazione, senza grassi, con poco sale, integrale, a km 0. E ci sono anche 8,5 milioni di italiani che preparano il pane in casa, magari utilizzando farine di cereali antichi.
Il pane artigianale, che rappresenta l’84% del mercato (la spesa familiare in Italia per il solo pane ammonta a 6,7 miliardi all’anno) continua a essere preferito, anche se il suo consumo è in costante calo.
E il calo dei consumi mette in pericolo la sopravvivenza dei pani della tradizione popolare italiana, tra i quali ben sei sono stati addirittura riconosciuti dall’Unione Europea. Si tratta della Coppia ferrarese (Igp, Emilia Romagna), Pagnotta del Dittaino (Dop, Sicilia), Pane casareccio di Genzano (Igp, Lazio), Pane di Altamura (Dop Puglia), Pane di Matera (Igp, Basilicata) e Pane Toscano (Dop, Toscana).
Sono comunque centinaia le specialità tradizionali censite dalle diverse regioni.
Si va dal “Pane cafone” della Campania alla Biga servolana del Friuli-Venezia Giulia, formata da due pezzi di pasta uniti insieme in modo da formare un panino a forma di sferette unite; dal pane di Triora, il paese delle streghe in Liguria, che viene cotto per circa un’ora su delle tavole di legno cosparse di crusca, al pane di Chiaserna delle Marche, dal sapore leggermente acidulo.
In Lombardia, accanto alla classica michetta milanese, c’è pure il pane alla zucca di Cremona, impastato con una purea di zucca cotta al vapore; mentre dalla Val D’Aosta arriva il “Pan ner”, ottenuto da un mix di segale e frumento e dal Piemonte la “Lingua di Suocera”, nel cui nome è sin troppo evidente il riferimento alla lunghezza della lingua delle suocere.
Dall’Abruzzo viene il pane di grano Bolero, una varietà particolarmente resistente al freddo delle montagne e di alta quota è anche la Puccia pusterese del Trentino-Alto Adige, fatta con pasta madre arricchita da cumino, finocchio e trigonella.
Un simbolo della Sardegna, accanto al noto Carasau, è il pane Pintau, decorato con simboli ancestrali, che ne fanno una vera e propria opera d’arte. E affonda le sue radici nell’antichità anche il pane Rublanum della Calabria. Dal Veneto arriva il pane Bovolo, dalla particolare forma di chiocciola e dal Molise il pane di pregiato grano Senatore Cappelli.
L’aumento dei prezzi e una più diffusa sensibilità ambientale ha portato molti a cercare di ridurre gli sprechi, riutilizzando il pane avanzato per la creazione di ricette prese dalla tradizione contadina: dalla panzanella ai canederli, dal pancotto agli gnocchi di pane.
Pagnotte e panini restano però al terzo posto della classifica dei cibi più gettati nella spazzatura, nonostante che nel 2022 sia diminuita dal 21 al 16% la quota di famiglie che dichiarano di buttarlo.
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