- 22 Ottobre 2020
Dimore storiche, gioielli italiani
Su 94 milioni di persone che ogni anno visitano, complessivamente, i musei italiani, 45 milioni sono coloro che accedono agli immobili privati di interesse storico-culturale aperti al pubblico, immobili che costituiscono una parte del patrimonio museale nazionale di rilevanza pari a quella pubblica.
Si parla delle “dimore storiche”: castelli, ville, palazzi, masserie, rocche, ma anche parchi, giardini, tenute agricole, beni antichi diffusi in tutto il Bel Paese, che attraggono un numero sempre maggiore di visitatori e contribuiscono sempre di più pure all’economia locale, grazie, fra l’altro, all’indotto che generano: dai restauri alle attività commerciali ed enogastronomiche.
In Italia, le dimore storiche sono 9.400, numero superiore a quello di tutti i Comuni della Penisola. Lo ha rilevato l’Osservatorio del patrimonio culturale privato italiano, frutto della collaborazione tra l’Associazione Dimore Storiche Italiane (Asdi) e la Fondazione Visentini, realizzata con la collaborazione di Confagricoltura e Confedilizia. Osservatorio che non solo rappresenta la fonte di riferimento per la corretta definizione del ruolo economico, culturale e sociale del sistema degli immobili privati di interesse storico-artistico in Italia, ma vuole anche divenire un valido supporto per le istituzioni, aiutandole nella definizione delle politiche da adottare per far sì che il patrimonio privato concorra all’effettiva ripartenza tanto del turismo quanto dell’artigianato.
Degli investimenti che si fanno e che si potrebbero fare, infatti, potrebbero beneficiarne soprattutto i territori che ospitano questi beni unici, soprattutto i piccoli borghi: secondo le stime più prudenziali, ogni euro investito nelle dimore storiche determina benefici almeno doppi per l’economia dei luoghi nei quali sorgono. L’indotto si riverserebbe su diverse filiere, creando un volano economico rilevante e, nel lungo termine, quello sviluppo sostenibile locale, che molti indicano come la strada da seguire. Uno sviluppo che avrebbe il valore aggiunto di conservare e valorizzare un patrimonio identitario riconosciuto a livello mondiale.
Il 54% di questi immobili privati di valore storico-culturale si trova in Comuni con meno di 20.000 abitanti e, nel 29% dei casi, addirittura in centri con meno di 5.000 residenti. Comunque, si tratta di un patrimonio che necessita di continui lavori di restauro e di manutenzione. Attività che, negli ultimi cinque anni, hanno sofferto considerevolmente la crisi, come conferma, fra l’altro, la perdita del 30% delle imprese del settore.
L’Osservatorio ha anche stimato in 1,8 miliardi di euro la perdita con seguente alla pandemia Covid-19 per quelle dimore che contano almeno una attività produttiva al loro interno e in 30.000 i relativi posti di lavoro a rischio. Il settore maggiormente sotto pressione è risultato essere quello correlato al vitivinicolo (con perdite di circa un miliardo di euro), seguito da quello degli eventi (meno 278 milioni di euro) e delle visite in dimora (meno 268 milioni di euro). Dati che non comprendono le perdite di tutto l’indotto che queste attività generano localmente.
“È doveroso superare ogni distinzione tra patrimonio culturale pubblico e privato” ha dichiarato Dario Franceschini, ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo, in occasione della presentazione dell’Osservatorio, sottolineando che “insieme costituiscono la nostra identità e contribuiscono all’attrattività del Paese”. Ha riconosciuto che lo Stato impone molti obblighi ai proprietari di dimore storiche e vincoli per la loro tutela. Per questo motivo, servono agevolazioni e contributi finalizzati al sostegno degli interventi sulle dimore storiche e per custodirne la vitalità.