Privati, Imprese - 21 Aprile 2023
Giornata Mondiale della Terra
Il suolo consumato e le sue conseguenze
Mai come quest’anno, la “Giornata della Terra” è “sentita”: discussioni, denunce e riflessioni, coinvolgono veramente una gran parte della popolazione. Non c’è da stupirsi. Cresce di giorno in giorno, infatti, la consapevolezza dell’importanza della salvaguardia e del rispetto dell’ambiente in tutte le sue diverse componenti, a partire dalla terra e dalle acque, fondamentali per la vita nostra e delle generazioni future.
La Giornata della Terra (in inglese Earth Day), solennizzata già da più di 190 Paesi, un mese e un giorno dopo l’equinozio di primavera, quindi il 22 aprile, è nata nel 1962, in seguito alla pubblicazione del libro manifesto ambientalista “Primavera silenziosa” scritto dalla biologa statunitense Rachel Carson e al relativo movimento universitario, per sottolineare la necessità della conservazione delle risorse naturali della Terra.
Da allora, la Giornata della Terra ha continuato a coinvolgere sempre più, anche sotto la spinta dell’accelerazione degli eventi naturali catastrofici (inondazioni, frane, incendi), dalle preoccupanti variazioni del clima, i sempre più lunghi e frequenti periodi di siccità, l’aumento dell’inquinamento e della desertificazione, il surriscaldamento del pianeta e, fra l’altro, il progressivo consumo del suolo.
In Italia, con una media di 19 ettari al giorno e una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo, il consumo di suolo nel 2021 è tornato a crescere, sfiorando i 70 km quadrati di nuove coperture artificiali in un solo anno.
Tali superfici sono sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio e da altre aree a copertura artificiale, all’interno e all’esterno delle aree urbane esistenti. Una crescita solo in parte compensata dal ripristino di aree naturali, pari, nel 2021, a 5,8 km2, dovuti al passaggio da suolo consumato a suolo non consumato (in genere grazie al recupero di aree di cantiere o di superfici già classificate come consumo di suolo reversibile).
Il cemento ricopre ormai 21.500 km quadrati di suolo nazionale, dei quali 5.400, un territorio grande quanto la Liguria, riguardano i soli edifici, che rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato (5.400 Km2).
Questa situazione emerge dal Rapporto 2022 del Snpa (Sistema nazionale protezione dell’ambiente), che fornisce il quadro aggiornato dei processi di trasformazione della copertura del suolo a livello nazionale, comunale e provinciale.
Tra il 2006 e il 2021, l’Italia ha perso 1.153 km quadrati di suolo naturale o seminaturale, con una media di 77 km all’anno, a causa principalmente dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali che, rendendo il suolo impermeabile, oltre all’aumento degli allagamenti e delle ondate di calore, provoca la perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici, con un danno economico stimato in quasi otto miliardi di euro l’anno.
Il suolo consumato pro capite in Italia, nel 2021, è aumentato di 3,46 metri quadrati per abitante e di 5,46 rispetto al 2019, confermando la tendenza di crescita. Si è passati, infatti, dai circa 349 metri quadrati per abitante nel 2012 ai circa 363 attuali. Tanto che la copertura artificiale del suolo è ormai arrivata al 7,13% (7,02% nel 2015 e 6,76% nel 2006), rispetto alla media Ue del 4,2%.
I valori percentuali più elevati del suolo consumato sono in Lombardia (12,12%), Veneto (11,90%) e Campania (10,49%). Gli incrementi maggiori di consumo di suolo nell’ultimo anno censito sono avvenuti in Lombardia, con 883 ettari in più, Veneto (+684 ettari), Emilia-Romagna (+658), Piemonte (+630) e Puglia (+499).
Invece, Valle d’Aosta, Liguria, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Basilicata e Calabria sono le regioni che, nel 2021, hanno avuto incrementi di consumo di suolo inferiori ai 100 ettari.
Il consumo di suolo è più intenso nelle aree già molto compromesse. Nelle città a più alta densità, dove gli spazi aperti residui sono spesso molto limitati, sempre nel 2021 si sono persi 27 metri quadrati per ogni ettaro di aree a verde. Tale incremento contribuisce a far diventare sempre più calde le nostre città, con il fenomeno delle isole di calore e la differenza di temperatura estiva tra aree a copertura artificiale densa o diffusa che, rispetto a quelle rurali, raggiunge spesso valori superiori a 3°C nelle città più grandi.
Il Veneto è la regione che ha la maggior superficie di edifici rispetto al numero di abitanti (147 m2/ab), seguita da Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Piemonte, tutte con valori superiori ai 110 m2/ab. I valori più bassi si registrano invece nel Lazio, in Liguria e Campania, rispettivamente con 55, 60 e 65 m2/ab, a fronte di una media nazionale di 91 m2/ab.
Un altro aspetto del consumo di suolo riguarda l’installazione di impianti fotovoltaici a terra. Nel 2021, oltre 17.500 ettari di suolo sono occupati da questo tipo di impianti, in modo particolare in Puglia (6.123 ettari, circa il 35% di tutti gli impianti nazionali), in Emilia-Romagna (1.872) e nel Lazio (1.483). E la transizione ecologica prevede un aumento di questa tipologia di consumo nei prossimi anni, stimato in oltre 50.000 ettari, circa otto volte il consumo di suolo annuale.
Le aree perse in Italia dal 2012 avrebbero garantito la fornitura complessiva di 4,150 milioni di quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana, che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori.
Una valutazione degli scenari di trasformazione del territorio italiano, nel caso in cui la velocità di trasformazione dovesse confermarsi pari a quella attuale anche nei prossimi anni, porta a stimare il nuovo consumo di suolo in 1.836 km2 tra il 2021 e il 2050. Se invece si dovesse tornare alla velocità media registrata nel periodo 2006-2012, si supererebbero i 3.000 km2.
Nel caso in cui si attuasse una progressiva riduzione della velocità di trasformazione, ipotizzata nel 15% ogni triennio, si avrebbe un incremento delle aree artificiali di oltre 800 km2, prima dell’azzeramento al 2050.
Sono tutti valori. Comunque, molto lontani dagli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030, che, sulla base delle attuali previsioni demografiche, imporrebbero un saldo negativo del consumo di suolo. Ciò significa che, a partire dal 2030, la “sostenibilità” dello sviluppo richiederebbe un aumento netto delle aree naturali di 269 km2 o addirittura di 888 km2.
Comunque, tutto il Pianeta è soggetto a fenomeni di degrado del territorio e del suolo rapidamente crescenti, che minano la fornitura dei servizi ecosistemici, sui cui si fonda la vita umana e che è il risultato di azioni di sovrasfruttamento indotte dall’uomo, causando il declino della sua fertilità, della biodiversità che ospita, con evidenti danni complessivi anche alla salute umana, azioni i cui impatti sono fortemente inaspriti dai cambiamenti climatici.
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