Privati, Imprese - 22 Maggio 2023
Le api: così piccole, così importanti
Il 20 dicembre 2017, l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione con la quale ha dichiarato il 20 maggio di ogni anno la Giornata mondiale delle api. Lo ha fatto sulla base di un autorevole rapporto scientifico che ha portato alla ribalta internazionale il declino a cui stanno andando incontro le api e gli altri impollinatori ormai sull’orlo dell’estinzione a causa di diversi tipi pressione, molti dei quali prodotti dall’uomo: distruzione, degradazione e frammentazione degli habitat, inquinamento (in particolare da pesticidi), cambiamenti climatici e diffusione di specie aliene invasive, parassiti e patogeni.
La Giornata delle api ha quindi lo scopo di riportare all’attenzione generale l’importanza delle api e in generale di tutti gli altri impollinatori – vespe, farfalle, coccinelle, ragni, rettili, uccelli, finanche mammiferi – per la sicurezza alimentare, la sussistenza di centinaia di milioni di persone e per il funzionamento degli ecosistemi e la conservazione degli habitat.
Gli impollinatori sono animali che, visitando i fiori alla ricerca di nettare e polline, s’imbrattano di polline (gamete maschile, analogo allo sperma dei mammiferi) del quale sono ricchi le antere, cioè la porzione fertile degli organi sessuali maschili di un fiore. Passando poi ai fiori di altre piante, con il loro corpo trasferiscono il polline sullo stigma, parte più esterna del gineceo o pistillo (che rappresenta la parte femminile del fiore), fecondando l’ovario e consentendo così la riproduzione della pianta.
Circa il 70% delle 115 principali colture agrarie mondiali beneficia dell’impollinazione animale. In particolare, in Europa la produzione di circa l’80% delle 264 specie coltivate dipende dall’attività degli insetti impollinatori, il cui “servizio” solo in Italia ha un valore di alcuni miliardi di euro l’anno.
Tra gli impollinatori, le specie del genere Apis sono le più̀ numerose: oltre 20.000 in tutto il mondo, gran parte delle quali selvatiche. La più popolare è l’ape domestica, conosciuta come ape italica. Il valore di questa specie, originaria dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa, nelle stesse aree che hanno visto sorgere le civiltà̀ antiche, è legato oltre che all’impollinazione anche alla produzione di miele, cera, propoli e pappa reale.
Il polline è la maggiore risorsa di sostanze nutritive per le api. Tuttavia, a causa delle differenze nel contenuto dei nutrienti, i pollini derivanti da diverse specie floreali non hanno la stessa qualità per il miele. In media, un’ape visita in genere circa 7.000 fiori al giorno e ci vogliono quattro milioni di esplorazioni floreali per produrre un chilogrammo di miele. Un lavoro che genera un valore economico stimato in circa 153 miliardi di euro l’anno su scala mondiale, 22 miliardi su scala europea e 3 miliardi su scala nazionale, secondo stime Coldiretti.
In tutta l’Unione Europea si contano almeno 600.000 apicoltori, che gestiscono 17 milioni di alveari e producono circa 250.000 tonnellate di miele l’anno. In Italia, gli apicoltori censiti in Italia nel 2020 erano 65.000, avevano 1,950 milioni di alveari, con una produzione di miele stimata in circa 25.000 tonnellate.
Negli ultimi anni, gli apicoltori devono fronteggiare il grave fenomeno della riduzione del numero delle colonie di api e il declino delle loro popolazioni. Diverse le cause: oltre alla distruzione, il degrado e la frammentazione degli habitat, la semplificazione del paesaggio, l’eliminazione di fasce inerbite e siepi, di filati e boschetti, l’agricoltura intensiva, la morte delle api per fame per via della ridotta disponibilità̀ o qualità̀ delle risorse alimentari, gli attacchi di agenti patogeni, i cambiamenti climatici, i pesticidi usati in agricoltura per la difesa delle colture agrarie, il diserbo operato in aree urbane e periurbane, i prodotti chimici utilizzati negli alveari per combattere i parassiti e i patogeni delle colonie.
Però, è possibile adottare una serie di misure per ridurre i rischi di effetti negativi per gli impollinatori promuovendo un’agricoltura sostenibile, che aiuta a diversificare il paesaggio agricolo e adotta processi ecologici come parte della produzione alimentare.
Nel 2022, l’Italia ha registrato una produzione di circa 23 milioni di chili di miele, molto lontana dai 30 milioni del 2010. Se la carenza di piogge ha consentito voli di raccolta regolari da parte delle api, le alte temperature e la mancanza di acqua con fioriture anticipate hanno costretto gli apicoltori a partire prima verso le aree montane e a portare razioni di soccorso e acqua negli alveari già nei primi giorni di agosto.
Ma oltre alla situazione climatica dell’anno più caldo di sempre i “pastori delle api” hanno dovuto fare fronte anche all’esplosione dei costi per le tensioni internazionali generate dalla guerra in Ucraina: dai vasetti di vetro alle etichette, dai cartoni al gasolio.
Comunque, in Italia si consuma circa mezzo chilo di miele a testa all’anno, sotto la media europea, che è di 600 grammi. In compenso, il nostro Paese vince in biodiversità con più di 60 varietà di miele dai Dop fino a quelli speciali in barrique o aromatizzati, dal tiglio agli agrumi, dall’eucalipto all’acacia.
Il miele prodotto in Italia, dove non sono ammesse coltivazioni Ogm, a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina, è riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria. La parola Italia, infatti, deve essere presente per legge sulle confezioni di miele raccolto interamente nel nostro Paese, mentre nel caso in cui il miele provenga da più Paesi Ue, l’etichetta deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della Ue” indicando il nome dei Paesi e se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della Ue.
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